No more, non più. Non più (a)more. No amore e, tanto meno, passione. In tutti i sensi. Il femminicidio non è un omicidio passionale – questo dobbiamo ficcarcelo nelle teste – ma è un’emergenza sociale e, come tale, va affrontato: a cominciare con l’utilizzo di una adeguata terminologia. Dal FEMMINICISMO al FEMMINICIDIO il passo è breve e che sia una questione di vita o di morte è un’equazione perdente nel sociale, vincente, purtroppo, nei numeri delle statistiche. Autopsie che confermano violenze sessuali, colpi di arma da fuoco sparati da familiari o similari, nude mani che attanagliano le gole: armi del delitto che risiedono sempre, immancabilmente nella coscienza sociale.
Ha avuto un buon successo la mia campagna stampa contro la violenza di genere andata in onda su Dol’s. Non me ne compiaccio. Avrei preferito scrivere di un “quotidiano” diverso, umano, quello che ognuna di noi si meriterebbe di vivere. E, invece, no: i numeri convalidano. Numeri di morte, sangue e ignoranza. Sì, è l’ignoranza del contesto insospettabile, quello “normale” in cui si consuma l’omicidio di genere. Quello generato da gelosia, rifiuto, incomprensione, perdita della testa, dicono i giornali. Anzi, è quello che ormai comunemente passa per omicidio passionale. Passione, dal latino patire. Sì, appunto, ma qui è la vittima che patisce la passio sulla propria pelle, cioè sulla propria vita. Questione di vita o di morte, questa passione, in cui, però, è la seconda che prevale. Cronache in primo piano che soddisfano la più bieca piega dello scoop giornalistico. Un tragitto dell’ignoranza, quello che passa dal femminicismo al femminicidio che, a volte, viene anche definito “mistero” nei titoli dei mass media.
No: è un film dell’orrore, altro che mistero! Svegliatemi, per favore. Svegliateci. Svegliamoci. Affinché noi donne possiamo uscire da questo incubo. E, sempre per favore, dopo averci svegliate, non chiamateli più omicidi passionali. La passione… è tutta un’altra cosa!!!
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