Tutti ammiriamo i gioielli di corallo. Pochi sanno che tra donne e coralli c’è un rapporto speciale e che il corallo è stato per la donna un’occasione di emancipazione.
Questa pietra è il prodotto di una comunità di piccoli polipi che costruiscono, intorno al proprio corpo molle, uno scheletro di carbonato di calcio con funzione protettiva, che poi si colora di rosso per l’ossido di ferro. La parola stessa “corallo” probabilmente deriva dal greco “koraillon”, che significa proprio “scheletro duro”. I polipi crescono uno accanto all’altro, cosicché le secrezioni di calcare si fondono tra loro formando le famose barriere coralline. E’ lo scheletro calcareo ad essere usato come materiale per la costruzione di gioielli e sculture artistiche.
L’aspetto e la colorazione del corallo varia poi in relazione al luogo e alle profondità in cui si trova. Il corallo rosso è l’unica specie che vive nel Mediterraneo. In Giappone si pescano varietà di corallo differenti per pregio e valore, come il corallo dal colore bianco sfumato in rosa.
Secondo Ovidio il corallo rosso sarebbe nato dal sangue che sgorgando dalla testa di Medusa, decapitata da Perseo, al contatto con la schiuma del mare, aveva pietrificato alcune alghe che col sangue erano divenute rosse. Il corallo è anche un antichissimo amuleto di valore apotropaico, allontana il malocchio, mentre per i cristiani ricorda il sangue di Cristo.
Nei secoli scorsi la pesca del corallo fu molto fiorente lungo le coste del Mediterraneo, in particolare nella zona di Torre del Greco, dove è documentata sin dal XV secolo. Ma è verso la fine del 700, sotto il Regno dei Borboni e poi durante la dominazione francese di Gioacchino Murat, che s’incrementò. Nel 1789 Ferdinando IV di Borbone promulgò il Codice corallino, con l’intento di regolamentare la pesca del corallo; nel 1790 fu costituita a Torre del Greco la Reale Compagnia del Corallo. Nel 1805 Paolo Bartolomeo Martin, francese di origini genovesi, chiese al re il permesso di impiantare a Torre del Greco la prima fabbrica per la lavorazione del corallo; il re accordò il permesso, a condizione che impiegasse per la maggior parte donne, che a Torre del Greco spesso vivevano in condizioni di miseria, per l’assenza dei loro mariti, imbarcati per anni, ed erano costrette in qualche caso a prostituirsi. Già un anno dopo lavoravano in fabbrica un centinaio di donne, e alla fine del secolo su quattromila persone impiegate, tremila erano di sesso femminile. Il lavoro femminile era preferito non solo perché era l’unica manodopera reperibile, a causa dell’assenza dei loro uomini, ma anche per la loro abilità e delicatezza nel tagliare i rami di corallo più sottili, nel bucare, infilare e confezionare collane. Le donne potevano anche scegliere di lavorare a casa, per accudire contemporaneamente i bambini, o di lavorare part-time: grazie al corallo, ebbero la possibilità di riscattare la loro vita dalla povertà e dall’emarginazione. In fabbrica sempre alle donne era affidata la sorveglianza: erano le cosiddette “maestre”, responsabili della lavorazione, che per le loro particolari mansioni percepivano anche uno stipendio considerevole. Nel 1878 sorse in città addirittura una Scuola per l’incisione e la lavorazione del corallo, ancora oggi esistente, presso la quale nel 1933 fu istituito l’omonimo museo.
Oggi la pesca del corallo è fatta esclusivamente da corallari subacquei, e la città di Torre del Greco, abbandonata la pesca, si dedica completamente alla lavorazione del corallo, di cui resta uno dei più importanti centri al mondo.
Le fasi di lavorazione sono lunghe e delicate; prevedono innanzitutto la scelta del corallo grezzo, che viene lavato e diviso secondo dimensione, forma e colore; segue la fase delicata del taglio, poi la foratura che oggi si esegue con un piccolo trapano che buca il corallo da parte a parte, se serve per essere infilato in collane; poi la pietra viene sgrossata, arrotondata, depurata, lucidata.
La lavorazione è ancora oggi effettuata soprattutto grazie alla manodopera femminile. Le famose “corallare” rappresentano per Torre del Greco una risorsa impareggiabile, sono lavoratrici di grande bravura ed esperienza, e grazie al loro lavoro sono stati realizzati veri e propri capolavori. Si può dire che tutta l’economia di Torre del Greco ruota intorno al corallo e intorno alle donne. Fino agli anni ’50 era ancora possibile vedere per le strade della città donne che, fuori dalle loro case, su piccoli banchi bucavano i coralli con trapani ad archetto, con i loro bambini accanto, che sono stati allevati respirando aria di mare e corallo. Molte portavano i figli anche in fabbrica. Ancora oggi la loro abilità fa di Torre del Greco una “capitale” nel mercato italiano del corallo, nonostante la forte concorrenza dei prodotti asiatici.
A Napoli la storica casa Ascione, fondata nel 1855, per la lavorazione dei corali e dei cammei, ha istituito un Museo del corallo, di cui è direttrice la prof.ssa Caterina Ascione, storica dell’arte e appassionata studiosa del corallo.
E allora, come gruppo Toponomastica femminile, ci chiediamo: perché il Comune di Torre del Greco non ha mai pensato finora di dedicare una strada, un vicolo, un largo a queste donne benemerite dell’economia locale?
Nella città su 361 strade, di cui 45 sono dedicate a uomini, 16 portano il nome di donne, e sono 9 Madonne, 5 nomi femminili non identificati e 2 sante, Teresa e Caterina Volpicelli, napoletana, fondatrice di un ordine religioso.
Un “Largo delle corallare”, una “Via della bucatora” renderebbero merito a queste umili, tenaci, esperte lavoratrici.