Non sono bastate le violenze fisiche e psicologiche. Non è servito uccidere. Perché in seno alla realtà femminile é davvero in corso un cambiamento di rotta.
Lento, forse, ma inesorabile. Un dato di fatto inviso a molti.
Alcuni uomini devono quindi aver capito che negare alle donne il diritto di vivere – privandole definitivamente della legittima possibilità di esprimere la debita uguaglianza pur nella innegabile diversità di genere – non avrebbe certo risolto gli enormi problemi che li affliggono. I femminicidi perpetrati in massa non hanno dato i frutti sperati.
Lungi dal rappresentare la panacea di tutti i loro mali hanno invece offerto all’altra metà del cielo l’opportunità di crescere nella consapevolezza di sé e se possibile di individuare un nuovo motivo di determinazione in quella che via via si è trasformata in una vera lotta per la sopravvivenza.
Troppo facile cancellare una donna dalla faccia della terra. Lei muore, lui – se tutto va bene – finisce in galera per qualche tempo. Poi, tutto ricomincia come prima, tranne che per la defunta, ovviamente.
E’ preferibile una punizione che serva da monito alla vittima designata per il resto dei suoi giorni. Un castigo che possa indurla a ricordare in ogni momento la “colpa” commessa, che la obblighi alla rinuncia delle proprie velleità emancipatorie e la costringa al contrario a vivere nell’isolamento – o comunque nell’emarginazione sociale – ma soprattutto nella vergogna.
Ecco dunque spuntare il vecchio caro acido. Quello di cui, da tempo immemorabile purtroppo, i carnefici indiani, pakistani o afghani conoscono molto bene gli effetti.
“Ti rifiuti di state con me? Allora sappi che nessun altro potrà più guardarti”.
L’acido, si sa, ha effetti devastanti su qualsiasi tipo di materia. Se gettato sul volto di una persona ne cancella completamente i lineamenti, dando origine a un ammasso informe di carne e muscoli.
Accantonando (momentaneamente?) il rischio conseguente a una pesante accusa di omicidio, le menti psicolabili di individui perseveranti nel rifiutare la fine di un rapporto (del quale, in base alla più contorta delle logiche, avrebbero dovuto reggere i fili) hanno concepito una tipologia di azione più sottile per vendicare lo sgarbo ricevuto dalla donna che, malgrado tutto, affermano – mentendo – di amare. Hanno perciò scelto di ricorrere a metodologie meno drastiche ma decisamente più sadiche come, appunto, quello relativo all’utilizzo dell’acido per sfigurare colei che “dovrà d’ora in poi rinunciare alla propria identità fisica” e sarà condannata a un’esistenza fondata esclusivamente sul ricordo.
E se un giorno la malcapitata si troverà a incrociare nuovamente il suo carnefice (magari occasionalmente per strada), questo non farà che risvegliare in lui la soddisfazione per l’opera compiuta.
Senza contare il fatto che altri – stimolati dalla novità rappresentata da un gesto di rappresaglia fino a pochi anni fa quasi sconosciuto in occidente – potrebbero scegliere di emulare i fautori dell’atrocità e diffondere il panico sociale.
Una realtà oggettiva sempre meno ricca di valori e di nobili ideali offre davvero il fianco a ogni tipo di efferatezza da parte di personalità disadattate, che possono in tal modo giungere a commettere orribili misfatti anche solo per il mero gusto di nuocere al prossimo. Per dispetto, ostilità, persino per divertimento o per noia (e qui saremmo davvero giunti in fondo al baratro del degrado). E a farne le spese sarebbero sempre e comunque le donne.