di Luciano Anelli
Venerdi scorso, presso l’Auditorium La Vallisa di Bari, è stato organizzato un incontro con Marco Revelli per presentare il suo ultimo libro, per Einaudi, “Finale di Partito”. Lo ha moderato Teresa Masciopinto. E gli interventi introduttivi sono stati di Franco Chiarello e di Magda Terrevoli, a nome delle due associazioni che hanno collaborato nell’organizzazione dell’evento (rispettivamente “Centosassi” e “Un desiderio in comune”).
Nel libro Revelli afferma che “Il partito era un involucro molto solido, con un corpo militante ampio e fidelizzato, con una capacità non solo di rappresentare politicamente ma anche di organizzare pezzi di società, il tempo libero dei proprio militanti, la formazione culturale che era partita con una forte vocazione pedagogica per molti versi. Quel modello di partito era congruente con il paradigma socio produttivo, corrispondeva ad un modello di organizzazione che si era originato fuori dalla politica e che aveva assunto un carattere universale. Questo modello novecentesco è finito esattamente come è finito il modello della fabbrica fordista. Il problema degli attuali partiti è il non aver compreso pienamente gli effetti della trasformazione in atto.”
Claudia Germano ha letto il seguente intervento di Guglielmo Minervini , a malincuore impossibilitato a partecipare: ”Il protrarsi della clausura terapeutica mi impedisce di condividere con voi questo stimolante momento di confronto.
Come l’ossigeno abbiamo bisogno di momenti comuni che consentano ai nostri pensieri di respirare insieme, per non perdere il filo, in quest’ora così grigia e smarrita.
L’analisi profonda e convincente del bel libro di Marco Revelli offre molte consapevolezze e aiuta a sollevare le domande giuste da cui far ripartire la ricerca.
La consapevolezza è che un epoca sia finita. E la crisi della forma partito sia più effetto che causa di questo mutamento. L’eclisse del modello fordista, su cui si è forgiata la nostra visione gerarchica e funzionale del mondo, ha travolto con se anche le forme con le quali la politica aveva dato struttura permanente alla propria presenza nella società. Quel modello non esiste più. Non esistono più quei partiti, non esiste più quell’idea di militanza, non esiste più quella costellazione di soggetti che articolavano in modo complesso le relazioni con la società. Finito. Imploso.
Siamo nel cuore di un passaggio strutturale, del quale scorgiamo in questa fase prevalentemente gli aspetti problematici e degenerativi.
Ad esempio, se dovessimo trarre un bilancio della transizione di questo ultimo ventennio con una fotografia della vicenda politica, così come si presenta ai nostri occhi proprio in questi giorni, dovremmo concludere che:
– da una parte abbiamo subìto la vulnerabilità della nostra democrazia alla più inquietante degenerazione della “democrazia del pubblico”, incarnata, in una forma estrema, dal berlusconismo;
– dall’altra dobbiamo amaramente concludere sull’incapacità di costruire dal basso forze politiche democratiche che incarnino un’alternativa reale e riconoscibile di governo, aperta a forme innovative di interazione con la società;
– dall’altra ancora la reazione grillina nelle forme della post-democrazia che pensa di affidare al click la soluzione di tutti i problemi.
Basta a legittimare conclusioni pessimistiche?
Penso di no.
Piuttosto, penso che quest’analisi debba radicare la consapevolezza della complessità della transizione. Siamo in mezzo al guado. E molte cose possono accadere. Anzi stanno già accadendo. Bisogna affinare lo sguardo.
Ad esempio, la cittadinanza attiva è una delle novità politiche più interessanti di questi ultimi anni. Apre a una rottura irreversibile: i cittadini come soggetti titolari dell’azione sullo spazio pubblico, come soggetti politici e non come esercito che giace alla base della piramide, attivabili solo su ordini dell’alto.
La cittadinanza attiva non è più solo quella che agisce negli spazi civici ma anche nei luoghi politici: esige, si indigna, occupa, promuove, incide.
Ancora. C’è una generazione di giovani che, a partire dal web, sta scrivendo una pagina totalmente inedita di cambiamento sociale e politico attraverso la social innovation: cambiare il mondo senza attendere che la politica lo permetta. L’azione per la tutela dei beni comuni e per la rigenerazione del legame di comunità sta crescendo come tratto comune della cultura di una nuova generazione. Nuova visione del mondo, nuova visione dell’impresa, nuova visione della responsabilità sociale, nuova visione della partecipazione politica. In nuce, per dirla con Revelli, si comincia a scorgere il nuovo paradigma.
Certo tutto è ancora embrionale. E contraddittorio. Ma basta a non legittimare conclusioni affrettate.
Allora non sono pessimista.
Stiamo all’interno di un mutamento epocale.
Probabilmente moriranno i partiti così come li abbiamo conosciuti: anzi a giudicare da quello che è accaduto in questi giorni, sono già morti.
Ma il bisogno di organizzare la nostra voglia di cambiare il mondo insieme: quello non muore. Cambia pelle. Cambia forma. Forse tra qualche tempo scopriremo anche che ha bisogno anche di cambiare nome.
Ed è il bello della democrazia. Di fronte alla crisi risponde in modo creativo. E ci spiazza. E ci porta dove non avremmo mai immaginato.
Ecco questi pensieri avrei voluto condividere con voi stasera.
E perdonatemi se questa camera sterile consente solo il vettore sterile dello scritto rispetto al più caldo e arricchente incrocio di sguardi.
Buona riunione a tutti.”
Ho scritto, allora, al termine dell’incontro, queste considerazioni in diversi diari di facebook: Abbiamo perso tempo, mentre segnali inequivocabili erano alla portata di chi doveva essere predisposto alla captazione. Ignorare le forme nuove (mica tanto. Il primo Obhama doveva insegnare)di comunicazione ha portato ai risultati noti. Gli arroccamenti hanno lasciato ampi spazi di ribaltamenti che potrebbero portare a nuovi dolorosi (per la libertà) ventenni ! Non si può perdere altro tempo. La situazione attuale di governo è il canto del cigno e non si può aspettare il funerale per arginare quanto la storia in passato amaramente ha già scritto. Ben vengano incontri, ma appartengono anch’essi ad un fare obsoleto. Non si può più aspettare la gente, ma bisogna andare fra la gente con ogni mezzo….anche questo !
Magda Terrevoli ha rilevato un neo nel libro, per il resto completo, cioè nessun accenno alle azioni delle Donne volte a modificare negli anni radicalmente la vita sociale del paese e quella dei partiti come le lotte a favore dell’Aborto, del divorzio, della 194…per arrivare anche alla doppia preferenza nelle elezioni. Ci sono uomini che si chiedono anche come cambia, o deve cambiare, la collocazione dell’essere “uomo” in una società paritaria e rispettosa delle differenze di genere. Esiste un gruppo in Italia Maschile Plurale che si pone tali domande.
E’ nato a seguito di un episodio e delle riflessioni conseguenziali, occorso all’attuale presidente nazionale del gruppo. Eccolo: “camminando per una strada di sera da solo mi accorsi che una donna che mi stava davanti a 100 mt appena si accorse della mia presenza inizio ad accelerare la sua andatura per paura.” . Magda ”Un uomo che ci segue ci mette paura…a questo ci hanno abituate. ad aver paura degli uomini,anche quando non ne dobbiamo avere. ci hanno abituate alla predominanza del pensiero e della violenza maschile. Poi ci hanno convinte che dovevamo essere come loro, ma noi non siamo come loro. Ci stiamo strette in quei canoni maschili. Noi vogliamo essere noi,con il pensiero femminile.
“Ho ascoltato queste dichiarazioni ieri, anche se ho constatato, dopo, l’ennesima invisibilità latente su tali discorsi. Comunque, a malincuore, devo anche registrare che, si siete state abituate ad aver paura se vi segue un uomo, ma anche avete imparato a copiare dagli uomini a non vedere e rendere invisibili quei pochi uomini che, nel rispetto delle differenze, si prodigano per far conoscere la Cultura femminile e il valore della diversità senza sopraffazione di alcun genere , tentando di contribuire al cambiare del paradigma che regola i rapporti Donna/Uomo con la conoscenza dell’invisibile (il pensiero delle donne) e non cercando la nuova dimensione dell’uomo sena sforzarsi di conoscere e capire quella sempre ignorata della donna ! Sono deluso ed amareggiato, ma…non demordo.