La Legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” – malgrado la conferma referendaria del 1981, sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della Consulta – è ancora oggetto di discussioni e di attacchi. Oggi – 12 maggio – a Roma, patrocinata dal Campidoglio, con Alemanno a fare la majorette, seguito da altri rappresentanti del “cambiamento parlamentare”, c’è stata la cosiddetta marcia per la vita. Ma marcia è piuttosto la cultura che accompagna queste sfilate.
Non si tratta di essere a favore o contro l’aborto ma, semplicemente, di sostenere il diritto all’autodeterminazione delle persone e il diritto alla salute riproduttiva, a una procreazione libera, responsabile e cosciente.
Il diritto alla salute (fisica o psichica, come dichiarato dall’OMS nel 1948 e come indicato nella legge suddetta) è garantito dall’art. 32 della Costituzione italiana.
Non esiste un’equivalenza fra il diritto – alla vita e alla salute – della donna, che è già persona, e la salvaguardia dell’embrione, che deve ancora diventare persona (anche secondo il Codice di diritto canonico – canone 96 – l’uomo è costituito persona mediante il battesimo).
Furono molte donne al governo, assieme ai movimenti delle donne, a permettere l’avvio di un dibattito sul ruolo della donna nella società e sulla necessità di rendere la maternità un evento non penalizzante. E’ la donna che può decidere se portare avanti oppure no una gravidanza.
“Diventare madre è una responsabilità enorme, una scommessa grandiosa, non può essere un caso, un incidente, un obbligo” (Lidia Ravera, 14/01/2000 Corriere della Sera).
La legge 194/1978 – conseguenza del formarsi di questa riflessione – ha fatto diventare la maternità una scelta libera, non più un destino o una condanna.
Si tratta di diritti, non di doveri. Quelli sanciti dall’art. 2 della Costituzione italiana, che recita “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
A questo articolo va ricondotto, in primis, il diritto alla identità personale, da intendersi come diritto a essere se stesse e se stessi, con le proprie idee, esperienze, convinzioni ideologiche, religiose, morali, sociali, orientamenti sessuali, che differenziano e – al contempo – qualificano la persona: è un articolo che tutela l’integrità della sfera personale e la libertà di una persona di autodeterminarsi nella vita privata.
La Costituzione italiana e le leggi, anche se lontane dal proprio credo, vanno rispettate. Il Concilio Vaticano II riconosce la laicità dello Stato, la Chiesa e i suoi fedeli non possono imporre la loro verità con la forza di una legge: nella costituzione pastorale Gaudium et spes, si sottolinea l’importanza di avere una giusta visione dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa, dichiarando che “La comunità politica e la chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra ciascuna nel proprio campo”.
Le alternative all’aborto si chiamano educazione sentimentale, educazione sessuale, profilattici, contraccezione di emergenza, politiche familiari, pari opportunità.
Questa è la vera difesa della vita.