Una donna dallo sguardo intenso, la cui identità è destinata a rimanere sconosciuta.
Nulla trapela di lei. La sua storia personale è evanescente, così tristemente simile – pur nella diversità particolare – a mille altre, confusa nella nebbia che avvolge la realtà femminile saudita.
Dal pesante niqab nero che ne cela i lineamenti spiccano occhi scuri, grandi e tristi, uno dei quali appare visibilmente contuso.
L’immagine, simbolo della campagna anti-violenza promossa dalla King Khalid Charitable Foundation, è accompagnata da una didascalia che risulta più eloquente di qualsiasi discorso: “Certe cose non possono essere nascoste”.
Nobile intento, quello della famiglia di re Khalid – al potere dal 1975 al 1982 – che nel 2001 ha deciso di istituire una fondazione a suo nome per contrastare ogni tipo di abuso e fornire assistenza legale alle donne e ai bambini tuttora oggetto di maltrattamenti e limitazioni da parte degli uomini.
“Una donna su sei subisce quotidianamente violenza fisica o psicologica e nel 90% dei casi circa si tratta di soprusi perpetrati ad opera di mariti o padri”, precisa Samar Fatany, giornalista impegnata nella difficile lotta per l’emancipazione femminile.
”Dagli studi promossi dal Programma Nazionale per la Sicurezza Familiare si evince che parecchie donne arabe non conoscono i loro diritti e altrettanti uomini tendono costantemente a travisare gli insegnamenti religiosi”, prosegue.
Certo, negli ultimi tempi l’Arabia Saudita ha dimostrato la volontà di progredire sul cammino delle riforme paritarie. Nel 2011, ad esempio, ha concesso alla popolazione femminile il diritto di voto alle elezioni amministrative previste per il 2015 e proprio quest’anno una rappresentanza di 30 donne ha avuto legittimamente accesso al Consiglio della Shura.
Nonostante l’importanza inopinabile di tali innovazioni, molti problemi restano ancora da risolvere in ambito sociale. Le donne infatti continuano ad essere escluse dal mondo lavorativo (sebbene oggi alcune privilegiate abbiano ottenuto l’autorizzazione governativa a esercitare autonomamente la professione legale). Non possono né uscire di casa da sole, ovvero senza un “custode” maschio al fianco, né tanto meno espatriare, in mancanza di previa permissione da parte di un congiunto o del marito (il quale può essere comunque raggiunto via sms dallo stato in caso di una loro anomalia comportamentale).
In un simile contesto socio-culturale lo spot per combattere la violenza dilagante diffuso dalla Khalid Foundation ha avuto un effetto prorompente in tutto il territorio saudita e, più in generale, ha colpito profondamente l’opinione pubblica mondiale.
E’ la prima volta che nel mondo arabo la sofferenza femminile viene affrontata in modo così diretto e immediato. Una mossa che nasce dalla maggior consapevolezza che le donne stanno acquisendo di se stesse e dell’oggettività circostante.
Uno slancio significativo verso la parità di genere che non va assolutamente sottovalutato o, peggio ancora, minimizzato.
Una sfida che l’occidente deve invece raccogliere facendone tesoro. Poiché la violenza contro le donne non contempla confini geografici, etnie, differenze culturali ma nasce sempre da una medesima matrice: l’ignoranza.
Di sé (per quanto riguarda le donne) e degli altri (per ciò che invece concerne gli uomini).