Una vita complicata ma piena di sorprese quella di Virginia Fiume, milanese dell’ ’83.
La multiformita della sua formazione, ne fa una vera giovane d’oggi Non è sposata, ma convive e da febbraio si è registrata nel registro dell’unioni civili del Comune di Milano.
Ha una laurea triennale in lettere moderne, presa nel 2007. Poi dopo tre anni di lavoro ha frequentato un master, nel 2010-2011, alla School of Oriental and African Studies di Londra, in antropologia dei media.
Tra i tuoi mille lavori quali sono quelli che hai amato di più?
Salvo i lavori tipo promoter, intervistatrice telefonica e segretaria fatti durante i primi anni di università, ho sempre avuto la fortuna di amare molto tutto quello che ho fatto. Sono una persona che si appassiona molto e metto tutto l’impegno possibile nei progetti in cui sono coinvolta. Dovendo scegliere, direi i due anni al fianco dello scrittore Giacomo Properzj. Con lui ho imparato il valore della ricerca accurata e della creatività. Ed è stata la prima persona “estranea” a cui ho letto quello che scrivevo. E’ cieco da più di 30 anni, eppure mi ha insegnato a guardare il mondo con occhi sempre nuovi.
All’estero qual è il paese che ti è piaciuto di più e dove ti sei trovata meglio?
La Palestina, perché ho sentito il calore della cultura mediterranea. E perché ho capito che il mondo è più complesso di quanto siamo abituati a pensare qui e il confine tra Oriente e Occidente una costruzione mentale e politica, più che una realtà.
Cosa vuol dire fare lo storyteller?
Significa ascoltare e raccogliere le storie e trasformarle in un racconto comprensibile da più persone possibili. Lo si può fare a livello professionale, per le aziende o per il proprio lavoro. O nel giornalismo, per dare voce a chi non ha voce.
Ma lo si può anche insegnare. Credo che l’essere umano sia un cantastorie nato, la comunicazione è quello che ci fa essere il tipo di animali che siamo. A volte questo istinto innato deve essere guidato. I social media offrono una grande possibilità, insieme ad altre forme di racconto. Al mio lavoro affianco, da poco, una attività di consulenza che ho chiamato “trova il tuo modo di usare i (social) media“. Molto spesso le piccole medie imprese investono tanti soldi nella creazione di siti internet o di altri strumenti, ma non sono consapevoli della storia che vogliono raccontare e degli strumenti che hanno a disposizione. Io provo a tirare fuori lo storyteller che è in loro e a metterli in contatto con chi può amplificare la loro voce.
E dei libri che hai scritto quale ami di più?
Li amo entrambi, ma so che il grande passo è il libro che devo ancora scrivere. ”Voglio un mondo rosa shokking” lo amo perché ha affrontato un tema, quello della conciliazione tra vita professionale e soddisfazione personale delle donne, di cui ancora nel 2007 non si parlava tanto. E lo amo perché è stata la prima volta che ho capito che potevo scrivere storie che interessavano a tante persone. Ma è nato quasi per caso.
”Il Manuale per viaggiatori solitari” è il mio primo esperimento “da sola”, oltre che il mio primo approccio con l’editoria digitale. E parla di un lato di me che amo molto: il lato curioso, intraprendente.
Ma spero di trovare il coraggio di mettermi alla prova con qualcosa di più complesso.
Perché hai cambiato tanti lavori? Necessità, insoddisfazione, curiosità?
Per ragioni sempre diverse. Perché sono una persona curiosa, perché amo viaggiare e cambiare scenario, perché a volte i progetti più interessanti ti capitano mentre stai lavorando a qualcos’altro. Oppure perché per arrivare a fine mese dovevo mettere insieme tasselli diversi. E poi perché penso di essere figlia del mio tempo: siamo generazioni “precarie” e io mi sento sempre in bilico. Cerco di farlo diventare un punto di partenza e, il meno possibile, qualcosa che mi paralizzi. Però il lavoro part time che sto facendo adesso, il coordinamento del magazine di politiche culturali S28Mag, lo faccio già da un anno. E mi piace.
Hai lavorato per Assoetica. Perchè hai lasciato?
Assoetica è un’organizzazione in continua trasformazione. Un progetto visionario di Francesco Varanini e Bruno Bonsignore che parla di etica nel mondo del lavoro con una visione umanistica, fuori dagli schemi dei “codici etici”. Non li ho lasciati del tutto, continuo a consigliarli dal punto di vista della comunicazione e a interagire – quando riesco – nel discorso formativo. Ma avevo bisogno di una maggiore stabilità economica, oltre che di lavorare ai miei progetti editoriali con un po’ di concentrazione.
Cosa consigli ai giovani d’oggi?
Di tenere sempre in mente la frase di un film meraviglioso, Scent of Woman – Profumo di donna di Martin Brest. A un certo punto un meraviglioso Al Pacino, che interpreta il tenente colonnello cieco Frank Slade dice al suo “attendente”: “Se smetti di essere curioso, sei bello che morto”. Non dobbiamo mai stancarci di essere curiosi e non dobbiamo mai dare per scontata nessuna spiegazione del mondo in cui viviamo.
Storie fatte di parole – www.virginiafiume.com
2 commenti
Ci vuole poco a commuovermi ormai, cara Gilla, spero che rimanga sempre quel rapporto vivo perché fatto di cose ancora da fare. Gpro
Aspetto un’altra storia ciao