Specialisti di varie discipline sono oramai giunti alla conclusione che lo stress sia “il male del secolo” e che come una “piaga sociale”, contagi e interessi più o meno tutti, seppur in modi differenti e a livelli diversi.
Il fatto stesso che il termine “stress” sia entrato a far parte del linguaggio comune, e non solo scientifico, seppur talvolta anche in modo inflazionato e non sempre appropriato, denuncia l’esistenza dilagante e pervasiva di questo fenomeno. Tuttavia forse proprio perché così comune e generalizzato, lo stress è troppo spesso “normalizzato” e sottovalutato, ovvero non preso sufficientemente in considerazione nonostante abbia ripercussioni gravi e importanti in termini di salute psico-fisica.
Infatti lo stress compromette l’equilibrio psicofisico individuale sia quando si presenta in fase acuta sia quando è cronico, determinando così il rischio di sviluppare patologie stress-correlate.
Comunque il fatto che siamo una società “stressata” è cosa risaputa come del resto noti e ampiamente discussi sono i fattori socio-culturali che determinano questa epidemia di stress, sebbene a tutto ciò non corrisponda un’attivazione generale e sociale per frenare e prevenire questo disagio esistenziale che, in taluni casi (e non pochi), sfocia in disturbi psichici e fisici di significativa rilevanza, con costi importanti a livello personale, familiare e anche sociale.
Vorrei piuttosto soffermarmi a riflettere sullo STRESS DI GENERE, ovvero su come reagiscono le donne allo stress.
Infatti in linea con quanto sostiene la medicina di genere, che riconosce una diversa risposta alle malattie come anche alle cure in base al genere di appartenenza, anche allo stress donne e uomini reagiscono in modo differente.
Numerosi studi attestano che le donne siano più sensibili allo stress, con maggiore propensione a sviluppare disturbi d’ansia, dell’umore ed altre patologie psico-fisiche correlate allo stress.
Nel suo libro “The stressed sex: uncovering the truth about men, women and mental health”, Daniel Freeman, psicologo clinico dell’Università di Oxford, sostiene che le donne soffrirebbero di stress fino al 40% in più rispetto agli uomini.
Secondo una prospettiva biologico-medica, ciò è associato ad una maggiore predisposizione genetica delle donne allo stress.
Infatti gli uomini e le donne hanno una diversa reazione bio-chimica allo stress: mentre i primi reagiscono in modo più attivo per l’attivazione delle catecolamine, le donne, invece, rispondono in modo meno reattivo.
Inoltre mentre i livelli di catecolamine si abbassano velocemente negli uomini in risposta alla riduzione del fattore di stress, nelle donne sia i livelli di catecolamine come anche quelli di cortisolo rimangono elevati anche a termine della situazione di stress, determinando così il prolungamento della condizione di stress.
Tuttavia se allarghiamo il focus, osserviamo che la maggiore sensibilità del genere femminile a sviluppare reazioni di stress è dovuta anche a fattori psico-sociali.
Infatti rispetto al passato, la donna di oggi è spesso impegnata sul fronte lavorativo e talora con un carico di ore e di impegno paritetico a quello dell’uomo, senza però che a questo corrisponda lo stesso riconoscimento in termini di possibilità di carriera e di onorario. Pertanto possiamo facilmente comprendere come il forte impegno lavorativo, spesso da conciliare con quello domestico e familiare, senza una corrispondente risposta in termini di riconoscimento e valorizzazione, generi inevitabilmente frustrazione, tensione, abbattimento e stress.
Secondo una ricerca condotta dalla Prof.ssa Beatrice Bauer di SDA Bocconi in collaborazione con Assidai relativa allo “Stress da lavoro nel mondo femminile”, è emerso che tra le principali cause di stress, le donne lavoratrici segnalano la difficoltà a conciliare famiglia e lavoro (nel 50% dei casi) e l’eccessivo carico di lavoro (nel 42%).
Tuttavia se pensiamo che la condizione di stress vada a migliorare nelle donne casalinghe, ci sbagliamo: secondo uno studio di Forbes, lo stress delle donne, siano esse lavoratrici che casalinghe, tende ad essere comunque elevato a prescindere dalla condizione lavorativa, a causa soprattutto della mancanza di supporto e collaborazione da parte del partner.
Il mancato ri-equilibrio della ripartizione dei compiti domestici e familiari, fa sì che nella realtà attuale gran parte del carico familiare e domestico gravi ancora sulle spalle della donna, seppur impegnata sul fronte lavorativo. Tutto ciò porta ad acrobazie e corse rocambolesche, destreggiandosi fra diversi e molteplici impegni e incastri, in una corsa affannosa contro il tempo, tanto da meritarsi l’appellativo di “mamme acrobate” e “multitasking”.
Daniel Freeman, infatti, individua proprio nella difficoltà di conciliazione famiglia e lavoro, la principale causa dello stress delle donne.
A tutto ciò si associa, per contro, una forte riduzione, spesso addirittura assenza, di tempo libero per sé, per cui le donne di oggi sono spesso affogate e fagocitate dai mille impegni, con scarsa disponibilità di tempo e di energie per sé e per attività di piacere e di relax (“Un po’ di tempo per me”, Marina Piazza).
Infine teniamo di conto che le donne sono sicuramente coloro che subiscono maggiormente il pressing sociale alla perfezione (estetica e non solo): “devi essere in forma”, “devi essere giovane”, “devi essere attraente”… E tutto ciò non può che contribuire a determinare una condizione di stress, tensione, insoddisfazione e frustrazione, fino in taluni casi all’insorgenza di vere e proprie manifestazioni patologiche.
Tuttavia se da una parte lo stress è riconosciuto come un disagio esistenziale importante e multi-sistemico tale da poter compromettere il funzionamento psicofisico della persona e poter determinare l’insorgenza di patologie gravi come anche da incidere pesantemente sull’economia del Paese sia per i costi sociali in termini di salute e cure sia per l’assenteismo da lavoro per patologie stress-correlate (secondo l’OMS in Italia il costo di giornate di lavoro perse a causa di malattie stress-correlate incide in misura di 5 miliardi di euro all’anno), il problema (che chiamerei “piaga sociale”) sembra ancora essere sottovalutato, in quanto non si registra ancora un adeguamento dei piani sanitari come anche un’organizzazione sociale tesa a prevenire e intervenire tempestivamente in tal senso.