di Nadia Boaretto
17/6/2013
Nel giro di una settimana questa è la seconda intitolazione di giardini nel centro di Milano a una donna. Oggi la dedica va a Camilla Cederna, il cui nome inciso nel marmo spiccasullo sfondo sontuoso della facciata dell’Università Statale, in Largo Richini.
L’assessore alla Cultura Filippo Del Corno apre la cerimonia con queste parole: “Milano ricorda oggi una donna di grande sensibilità civile, libertà di pensiero, impegno e coraggio. In un momento difficile e molto complesso nella storia della nostra città, in cui si scontravano grandi ideali e forze disgregatrici, Camilla Cederna non ha mai perso la bussola che orienta ogni vero giornalista: la ricerca continua della verità, tenendo sempre saldo il contatto con gli umori e le energie della società in cui viveva… Per questo è particolarmente significativo che le sia dedicato questo spazio verde appena fuori dall’Università Statale… Un luogo di pausa e riflessione, per i giovani che la frequentano ma non solo, dinanzi all’epicentro milanese della conoscenza e del pensiero”.
Con ciò si celebra una forma di giornalismo-inchiesta che volle far luce sui punti oscuri, anzi spesso volutamente oscurati, degli anni di piombo e delle trame eversive.
Nando Dalla Chiesa ricorda un episodio che ci avvicina ancora maggiormente la figura di Camilla Cederna, partecipe fin dalla nascita di Società Civile negli anni ’80. Ai tempi del maxiprocesso non usava che i familiari si costituissero parte civile contro gli accusati mafiosi, anche a causa dei costi delle pratiche legali.
Questo aspetto emerse nel corso di una telefonata, seguita a distanza di pochi minuti da una chiamata in cui Camilla Cederna, mossa da indignazione, annunciava di aver dato il via ad una sottoscrizione che nel giro di dieci minuti aveva raccolto 3 milioni.
Questi divennero infine 300 milioni che permisero alle vittime della malavita organizzata di difendersi. L’importanza del maxiprocesso è nota a tutti: il suo esito sortì la prima condanna ai capi mafia.
Interviene Natalia Aspesi, che ricorda i suoi esordi nella carriera giornalistica. Si descrive come una giovane pasticciona che trovò in Camilla Cederna una guida generosa e rigorosa. Proprio dal rigore partiva il suo insegnamento, in primis controllare a fondo ogni notizia. Si parla di un’epoca che non ha ancora conosciuto le vicende drammatiche della città meneghina.
Era una Milano borghese, ricca, un po’ sciocca, di salotti. Un’atmosfera oltre che un luogo geografico, un ambiente che Camilla raccontava con leggerezza e grazia. Nessuno è più in grado di raccontare in quel modo. Al tempo in cui Camilla stava seguendo la vicenda di Calabresi si andava a casa sua e non mancava mai il tè con il centrino, in compagnia della madre. Eppure la borghesia della quale faceva parte le si rivoltò contro. E qui Natalia Aspesi ricorda quali frasi crudeli pronunciasse Montanelli quando Camilla cominciò a interessarsi ai primi moti. È stato difficile dedicarle un luogo, ci sono voluti 16 anni, benché si tratti di una giornalista che ci ha trasmesso una tranche di storia di Milano. Per altri nomi invece c’era sempre un pronto ascolto, e questo brucia un po’ e indigna anche a distanza di tempo. Aspesi ringrazia quindi il Comune e rievoca un articolo del 1973 in cui Camilla Cederna intervistava un signore che stava arricchendosi costruendo case. Lo descrisse con feroce dolcezza. Si chiamava Silvio Berlusconi e allora non aveva ancora le televisioni, ma lei ne fece un ritratto che va benissimo oggi. Lungimiranza? Il consiglio a chi vuole fare il giornalista è di leggere la meravigliosa prosa di Camilla Cederna da cui emana la sua passione civile.
Le nipoti Giulia e Giovanna Borgese ringraziano le autorità per questa dedica in un meraviglioso giardino dove Camilla ha studiato.
Mentre si scioglie il gruppo degli astanti, porgo a Natalia Aspesi il progetto “Un albero da frutto e una panchina per le vittime di femminicidio”. Non avessi mai pronunciato questo termine! La giornalista suggerisce piuttosto di chiamarlo omicidio e al mio invito di scoprire le iniziative di Toponomastica Femminile su Facebook dichiara con orgoglio di non usarlo mai. In effetti femminicidio è un termine cacofonico, forse di suono ostile a causa di ciò che rappresenta. E se dicessimo muliericidio? Su ciò non mi ha risposto.
Ho comunque distribuito il nostro volantino con il logo di Toponomastica Femminile e la presentazione di Albero/Panchina a Tommi Sacchi, collaboratore di Boeri, a Gianni Barbacetto, a Basilio Rizzo, a un giornalista di Radiopop, a Giulia Borgese nipote di Camilla Cederna e a Nando dalla Chiesa. Conto che lo leggeranno e alla prima occasione chiederò che cosa ne pensano. Ancora una volta quindi… à la prochaine!