Il mondo dell’artigianato e delle micro e piccole imprese, poi, è quello che risente maggiormente di questa situazione.
Se avessimo avuto bisogno di ulteriori conferme alla drammatica sensazione che la nostra realtà pratese sta vivendo una situazione economica e lavorativa peggiore di altre zone del nostro Paese, oggi siamo stati accontentati: dallo studio della Camera di Commercio di Prato emerge, infatti, che la nostra economia sta davvero male!
Anche le imprese femminili, che fino ad ora avevano goduto di una relativa positività, si sono arrestate nella crescita e nello sviluppo. Mi torna alla mente l’intervento di qualche anno fa del Prof. Zamagni che, in visita nella nostra città, ribadiva la necessità di un cambiamento sostanziale: affermava il Professore che “oggi abbiamo perduto i concetti essenziali dell’economia. Libero mercato e welfare non riescono più a tenere insieme la società. Il sistema del “Welfare State” di Keyinesiana memoria oggi sembra non funzionare più poiché lo Stato ha meno competenze ed è immerso nel processo assai complesso della globalizzazione.”
Globalizzazione: parola che ci ha assalito e sopraffatto!
Certo, molte di noi, donne artigiane, non abbiamo avuto la capacità (e/o possibilità) di alzare la testa e guardare oltre: il lavoro ci ha assorbito per anni in modo completo. La difficoltà di conciliare i tempi del lavoro e quelli della vita familiare non ci ha certo dato modo di riflettere e meditare su dove stavamo andando…
Certo, la soddisfazione di vedersi realizzate e veder crescere la nostra Azienda ci appagava e ci faceva pensare che tutto sarebbe rimasto inalterato nel tempo. Eravamo convinte che, nonostante la fatica di continuare ad arrangiarci nel portare avanti famiglia e lavoro, “qualcuno” con più tempo e forse più mezzi, anche culturali, ci avrebbe aiutato e sostenuto nel cambiamento…
Insomma pensavamo davvero che qualche “maschietto”, perché certamente assai più libero di noi, con più tempo a disposizione (vedasi i tempi medi che le donne italiane devono dedicare alla casa e alla famiglia, dato che i nostri uomini ci lasciano questo privilegio) avrebbe potuto capire che tutto sarebbe cambiato…
Pensavamo dunque che molti di loro, che avevano tempo di parlarne e discuterne nelle interminabili riunione politiche ( spesso notturne) che venivano fatte, avrebbero avuto la capacità di guidarci, la capacità di gestire quella globalizzazione, che veniva ormai considerata inevitabile e inarrestabile.
Così purtroppo non è stato e anche noi donne, sicuramente, abbiamo avuto la nostra parte di responsabilità… E ora quale potrà essere il nostro contributo?
Credo che oggi dobbiamo continuare ad essere “donne di speranza”! Che intendo dire?
Molte donne hanno cominciato e concluso carriere di studio importanti e con la stessa fatica e l’impegno di quelle che hanno intrapreso delle attività lavorative artigiane stanno cominciando a dare il loro apporto al cambiamento culturale che dovrà avvenire nei prossimi anni.
Comincia a diffondersi un messaggio importante: in un libro che s’intitola “Valorizzare le donne conviene” tre economiste (Del Boca, Mencarini e Pasqua) affermano che “all’affermazione di principio per cui bisogna favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro per rispondere a principi di pari opportunità e di eguaglianza tra i generi, si aggiunge un’argomentazione ulteriore, decisiva, che potrebbe far convertire anche gli uomini alla causa della valorizzazione femminile: il lavoro delle donne fa crescere l’economia.”
Infatti, se messe nelle condizioni di farlo, le donne potrebbero contribuire alla sostenibilità del sistema pensionistico, il loro lavoro farebbe crescere il reddito delle famiglie, aumenterebbe la domanda di servizi, quindi produrrebbe nuovi posti di lavoro e una nuova ricchezza diffusa, con il conseguente incremento della domanda di consumi. Un vero e proprio circolo virtuoso che porterebbe, si è calcolato, a una crescita del prodotto interno lordo intorno al 9%, a parità delle altre condizioni.
Qualcuno dirà: Ma se non c’è lavoro come facciamo a inserirle nel mondo del lavoro? Anche questo è vero, ma un profondo cambiamento culturale dovrà esserci anche nel “fare impresa”.
Le difficoltà di “inserire” i giovani nelle imprese, un accesso al credito sempre più orientato agli interessi delle Banche e non alla considerazione della validità dei progetti ( e con una aggravante di difficoltà per le imprese al femminile), la difficoltà di fare rete fra le imprese, sono processi che sicuramente andranno verso una obbligata conclusione.
Perché dunque dovrebbero essere proprio le donne a dare un colpo definitivo a questo modo di agire e di pensare? Forse perché come ha detto Mrs. Moneypenny “perché le donne sono diverse. E ciò che rende diverso è il semplice dettaglio biologico di essere dotate di utero. (…)”
Sarà questa “speranza” che portiamo congenita nel nostro corpo che ci darà la forza di continuare con determinazione ad operare perché il lavoro sia ritenuto davvero un bene sociale prezioso. Come la Vita.