Un quotidiano nazionale ha azzardato un’ipotesi alquanto divertente, in base alla quale l’ex premier tecnico Mario Monti (ora apparentemente scomparso dalla scena pubblica) si sarebbe reincarnato nell’attuale presidente del Consiglio Enrico Letta.
L’affermazione, se da un lato può far sorridere, dall’altro contribuisce senz’altro a evidenziare l’indiscutibile continuità di vedute, intenti e soprattutto di metodologia operativa tra i due esecutivi.
E se è vero che con le sue misure economiche restrittive Monti – uomo di fiducia del cancelliere tedesco Angela Merkel – ha non poco contribuito a impoverire l’Italia è altrettanto innegabile che Letta, come il predecessore, non sembri molto incline a battere i pugni sul tavolo per difendere, in Europa, gli interessi nostrani.
Interessi che andrebbero tutelati all’interno dei nostri confini, in base alle reali necessità del paese e non contrattati invece attorno a una tavolo di discussione insieme a rappresentanti di altri stati, ognuno dei quali, a differenza nostra, cerca di trarre il maggior vantaggio dalle debolezze altrui.
Chi dovrebbe rappresentare e difendere il popolo italiano ha al contrario gradualmente svenduto la sovranità nazionale per un pugno di elogi personali di convenienza e lo scenario appare attualmente del tutto invariato.
Certo, Letta è stato molto chiaro sulla necessità di onestà e trasparenza del suo governo. E di questo ha cercato di fornire una prova concreta
accettando le recenti dimissioni (per motivi abbastanza irrisori in confronto ai molti altri che da ogni parte emergono quotidianamente) di Josefa Idem dall’incarico di Ministro per lo Sport e le Pari Opportunità.
E in previsione del vertice europeo di Bruxelles, dove uno dei temi cruciali dell’incontro sarebbero stati i provvedimenti da adottare per combattere la disoccupazione giovanile, il premier ha diligentemente voluto dare il meglio di sé varando una serie di misure che in breve tempo dovrebbero consentire a 200.000 ragazzi tra i 18 e 29 anni di inserirsi stabilmente nel mondo produttivo. Un primo passo verso una ripresa che a quanto pare solo gli eletti sono in grado di percepire e che agli occhi dei comuni mortali resta
totalmente invisibile. Una piccola goccia che sparisce nell’oceano delle difficoltà attuali.
Comunque, tutto fiero del proprio operato (con cui, chissà, potrebbe magari strappare qualche consenso in più tra i membri della Ue), Letta ha presentato il progetto come se si trattasse di qualcosa di rivoluzionario, destinato davvero a rompere l’assedio recessivo imposto dalla crisi economica per gettare le basi di un nuovo percorso carico di opportunità.
La realtà, come sempre, è invece ben diversa. Anzi, paradossale.
Le aziende che assumeranno giovani a tempo indeterminato avranno infatti diritto a sgravi fiscali per un importo complessivo di circa 800.000 euro, che a rigore di logica dovrebbero essere equamente suddivisi tra le venti regioni italiane. Invece non è così.
Ancora una volta verrà infatti privilegiato il sud (500.000 euro), come se altrove i disoccupati fossero quasi inesistenti (taciti accordi con i potentati locali? ). Un’altra incongruenza emerge poi dai requisiti richiesti ai giovani aspiranti lavoratori, che dovranno pertanto essere a spasso da almeno sei mesi, non possedere alcun diploma di scuola superiore (da quando la mancanza di
cultura è meritevole?) e vivere soli o con qualcuno a carico. Ma se esistono ovunque adulti costretti a convivere con i genitori a causa dell’impossibilitàfinanziaria di affrontare una vita autonoma come potrebbe mai farcela un under 30 per giunta disoccupato? Nessuno l’ha spiegato, ma forse al sud questo avviene. Sempre a nostra insaputa, s’ntende.
Insomma, ancora una volta l’impressione che si ricava da un simile comunicato è quella di una grossa bufala architettata per nascondere la gravità effettiva dei fatti. Un ennesimo compitino svolto a casa per dimostrare all’onnipotente e onnipresente mentore teutonico di avere compreso perfettamente la lezione impartita al nostro paese.
Quando l’Europa chiama, l’Italia risponde. E il governo si mette subito all’opera, almeno per offrire al suo sommo interlocutore l’illusione di
impegnarsi a fondo nell’azione, nella vana speranza di poter acquisire una più ampia credibilità.
Su tutte le altre forme di emergenza sociale ed economica, invece, vige ancora la regola del silenzio assoluto. Almeno fino a nuovo ordine (Monti docet). Nessun dubbio: affinchè le parole vengano seriamente (anche se superficialmente) tradotte in fatti occorrerà soltanto attendere il prossimo appuntamento internazionale.