Tenere vive la dignità e la speranza: uscire da una crisi con una visione diversa. Rossella Bifero e la vicenda di Firema.
Ecco una storia straordinaria. Nei risultati e nei modi per ottenerli. Rossella Bifero non parla mai, nel raccontare questa vicenda, di sé, del suo essere donna. Ma è questo che si può leggere tra le righe: i criteri, i modi, la visione. Troviamo molta lontananza dai comportamenti che conosciamo in tanti manager: soluzioni decisioniste, autoritarie, semplificatorie senza ricerca di alternative, distruttive di valore, delle persone, delle prospettive future. E troviamo molto della visione che conosciamo in tante donne manager. Visione che parte dall’intendere l’azienda come come costruzione comune di tutte le parti in causa. E il ruolo manageriale non come esercizio di potere ma come governo dell’azienda, orientato alla responsabilità, al tener conto di tutti i portatori di interesse, operando le necessarie mediazioni. Così il ruolo di Rossella Bifero nella Direzione del Personale è stato “di motivatore e collante tra l’obiettivo e le persone; ma anche di controparte rispetto alle difficoltà causate ai singoli dalla crisi e punto d’ingresso di tutti i disagi che il personale viveva”. Troviamo in questo agire soprattutto la considerazione delle persone come soggetti. Da rispettare, da valorizzare nelle loro capacità di crescere in competenza e responsabilità. Ecco: l’azione di questa manager fa leva soprattutto sulla responsabilità diffusa. Chiede, e molto -lavoro, impegno, rischio e scarifici- ma in una prospettiva di un ritorno per tutti. “Va raccontata la tenacia dei lavoratori, che si sono ripresi la loro dignità, dimostrando che si può essere, magari solo in parte, artefici del proprio destino, attraverso il lavoro condotto con serietà, senza aspettarsi ‘miracoli’ calati dall’alto”. Purché ci sia, va detto, un management che consenta a tutto questo di esprimersi e, anzi, gli dia valore. La ‘rinascita’ dell’azienda è così passata attraverso la “consapevolezza dell’importanza del lavoro del singolo e della sua dignità”.
E c’è qualcos’altro da dire: Rossella Bifero agisce con coraggio, non si fa prendere dal panico, fa le cose che si devono fare. Si fa forte della fiducia in se stessa. Nessuna arroganza, nessuna presunzione, ma consapevolezza di sé, di poter essere all’altezza. Se pensiamo a quanto vediamo succedere correntemente nelle aziende oggi, possiamo farci una domanda: un uomo avrebbe fatto così? un uomo avrebbe saputo fare così? (Luisa Pogliana)
Qui di seguito un articolo di Rossella Bifero (pubblicato su www.bloom.it)
La storia degli ultimi tre anni di Firema rappresenta un buon esempio di come la ripresa delle aziende e la loro attitudine a confrontarsi con la crisi passi per la capacità di reazione delle persone, ciascuno secondo il proprio ruolo ma tutti focalizzata sull’obiettivo ripresa.
Proverò a spiegare il mio punto di vista partendo da un episodio che è tra i più significativi della mia vita professionale.
L’anno scorso ho incontrato a Milano, quasi per caso, l’allora direttore tecnico di ATM, uno dei massimi esperti di trasporto ferroviario in Italia, un gentile non più giovanissimo ingegnere milanese, temutissimo da tutti i miei colleghi, per le impietose viste tecniche presso i nostri stabilimenti. Firema ha progettato e realizzato, in ATI con Ansaldo, il treno della metropolitana di Milano, “il Meneghino”.
Quando mi sono presentata come responsabile delle risorse umane di Firema, questo signore, dopo avermi guardata con attenzione, direi scrutata, mi ha detto: “Complimenti! Avete fatto un buon lavoro; sono tornato dopo un po’ di tempo in Firema e ho trovato un ambiente cambiato, le persone sono attaccate al loro lavoro, consapevoli della importanza dello stesso, ne sono orgogliose. Avete ridato dignità al lavoro delle vostre maestranze”.
Anche io mi sono sentita orgogliosa ed ho pensato che le nostre maestranze la dignità se la erano ripresa da sole.
Di lì a qualche giorno, l’allora amministratore delegato di TreNord, in una conferenza stampa, ringraziò ed elogiò Firema perché dei treni ad alta frequentazione regionale l’unico a non essersi fermato a causa delle condizione metereologiche particolarmente avverse (era l’inverno 2012) era stato il treno realizzato da Firema.
Credo che il senso e l’importanza di queste parole possano essere compresi ripercorrendo la storia della Firema dopo l’ammissione alla procedura di amministrazione straordinaria; mi limiterò ad alcuni degli episodi vissuti in prima persona.
Firema è entrata in amministrazione straordinaria, procedura tipica delle grandi aziende in crisi, in base ad un decisione del Ministero dello Sviluppo Economico del 2 agosto 2010, un venerdì pomeriggio, quando c’era già aria di ferie e vacanze.
All’epoca il mio ufficio si trovava nei capannoni della produzione, ed alla notizia, giunta da Roma, fu invaso, non solo dai rappresentati sindacali ma anche da tanti operai che sconvolti chiedevano cosa stesse succedendo, cosa tutto ciò significasse, che cosa sarebbe accaduto.
Per quanto all’epoca non fossi il responsabile del personale, ma avendo purtroppo già vissuto l’esperienza Alitalia, dovetti spiegare in prima persona cosa sarebbe accaduto.
A seguito dell’amministrazione straordinaria la gestione dell’azienda sarebbe passata dalla storica famiglia proprietaria ad un commissario di nomina governativa, lo stipendio di luglio, che includeva la quattordicesima ed i recuperi IRPEF, in quanto non ancora corrisposto, non sarebbe stato pagato, come sarebbero andati al fallimento, in quanto debiti, ferie ed altre spettanze a quel momento maturate, il TFR, a termine rapporto, sarebbe stato pagato dall’INPS secondo le proprie procedure e tempi.
A queste parole lo sguardo dei presenti dapprima fu attonito e sbigottito, poi i volti di tutti divennero furiosi ed increduli e la prima reazione fu di rispondere che non era e non poteva essere così che “la famiglia dei proprietari non avrebbe abbandonato la gente”.
Tuttavia di lì a qualche giorno le cose andarono anche peggio, ai rappresentati sindacali, ormai allo sbaraglio, fu consegnata una lettera di apertura di procedura di cassa integrazione straordinaria, furono inviati a tutti i 910 dipendenti lettere di messa in CIGS fino a diversa comunicazione.
Fu poi anticipato che gli oltre 90 dipendenti con contratto di apprendistato non sarebbero stati, di lì a breve, confermati. Si trattava dei giovani dell’azienda tecnicamente ben formati e garanzia di continuità per il futuro, lasciati, per di più, privi di ogni sostegno, non erano previsti ammortizzatori sociali. Furono risolti con effetto immediati tutti i contratti di somministrazione.
Personalmente poi, il 16 agosto, allontanatami per qualche giorno, fui richiamata in azienda, il nuovo direttore generale volle vedermi per comunicarmi che dei 21 dirigenti 16 erano stati licenziati, esclusi il direttore amministrativo, il direttore della progettazione e il responsabile della sicurezza, incluso, ahi me, il direttore del personale, mio responsabile e anche, soprattutto, mio amico.
Una situazione esplosiva resa ancora peggiore dal fatto che, essendo la cassa integrazione non anticipata dall’azienda (quasi del tutto priva di liquidità), ma pagata direttamente dall’INPS, i dipendenti, posti in CIGS, rimasero quasi otto mesi senza alcun sostegno economico, i primi pagamenti della cassa integrazione arrivarono a dicembre 2010.
Per portare all’attenzione della pubblica amministrazione la vicenda dell’azienda, a fine ottobre, i rappresentati sindacali salirono sui tetti di una delle palazzine uffici e ci restarono per giorni, accampati sotto delle tende. La protesta richiamò, tra gli altri, gli inviati di “Striscia la Notizia”. E quello è stato, per me, uno dei momenti più complicati. Eravamo presenti in azienda soltanto io, un mio collaboratore ed il responsabile della sicurezza (si sa il “personale” non protesta ma deve sempre essere presente), al rifiuto da parte del responsabile della sicurezza, su indicazione del commissario straordinario, di lasciare entrare e filmare lo stabilimento e i treni fermi in attesa di essere completati e consegnati, tutte le persone che erano fuori, i dipendenti di Caserta ma anche tanti curiosi richiamati dalla presenza della televisione, nonostante il personale di sorveglianza, entrarono in azienda. Il responsabile della sicurezza, preoccupato, mi contattò, dicendo che avendo negato agli operatori di “Striscia” di riprendere i treni fermi, le persone erano infuriate e mi avvisò che tutti stavano venendo verso il mio ufficio, che peraltro era vicino ai treni, mi consigliò di non uscire e di tenermi lontana dalle finestre. Convinta che la situazione era delicata e che bisognava provare a gestirla, uscii dall’ufficio ed andai incontro agli operatori televisivi che erano accompagnati dai rappresentati territoriali del sindacato, tutti con volti ed espressioni tesi e preoccupate. In mezzo ad una folla che urlava, trovammo un accordo la televisione poteva entrare ma il sindacato si impegnava a portare fuori dall’azienda tutti gli altri.
Momenti come questi si sono anche ripetuti. I dipendenti hanno chiuso l’ingresso all’autostrada, bloccato la stazione di Caserta e l’ingresso alla Reggia, presidiato l’entrata del Ministero dello Sviluppo Economico, si sono incatenati ai cancelli della fabbrica.
Fin qui la crisi, una crisi violentissima, che è stata in primo luogo una crisi economica ma anche una crisi che ha comportato la rottura non solo dell’organizzazione ma dello stesso modello di azienda, Firema ha smesso di essere l’azienda di famiglia, famiglia a cui andavano tutti “gli oneri e gli onori”.
Gli episodi raccontati servono per rendere il clima di disperazione di chi lavorava in Firema, ma va anche raccontata la ripresa e la tenacia dei lavoratori, che si sono ripresi la loro dignità, dimostrando che si può essere, magari solo in parte, artefici del proprio destino, attraverso il lavoro condotto con serietà, senza aspettarsi “miracoli” calati “dall’alto”.
Da qui in poi incomincia la “rinascita”, che ha assunto la forma della “consapevolezza dell’importanza del lavoro del singolo e della sua dignità”.
Il Commissario riuscì a negoziare un accordo con Ansaldo, tale che Ansaldo, azienda con cui Firema abitualmente lavorava in ATI e quindi con essa esposta, si faceva carico di anticipare il costo dei materiali necessari alla lavorazioni, Firema si impegnava a consegnare in tempi molto stringenti i treni ovvero i “Meneghino” e i Treni regionali. Questo consentiva di far rientrare le persone e riprendere a pagare gli stipendi almeno di quelli presenti.
L’accordo fu spiegato a tutti in diversi momenti di comunicazione, dal direttore Generale alle giovani prime linee, dallo stesso direttore generale a tutti i dipendenti riuniti in mensa, e ancora ai rappresentati sindacali di ogni stabilimento e ai relativi rappresentati provinciali e ai sindacati nazionali.
Tutti sono stati richiamati all’importanza dei portare avanti le commesse, per dare credibilità all’azienda, presentandola come affidabile, si è cercato di coinvolgere tutti nell’obiettivo di rispettare l’accordo e di consegnare dei buoni prodotti.
Attraverso la comunicazione si è provato a far sì che tutti fossero consapevoli di essere artefici del progetto di garantire un futuro all’azienda e a al suo personale, e qui la dignità ridata al lavoro. Nuove e ulteriore commesse sarebbero arrivate solo se il personale avesse dimostrato che Firema era, nonostante tutto, in grado di rispettare gli impegni presi, era affidabile.
Il gruppo di giovani manager, l’età media era intorno ai 40 anni, con una catena di comando, ormai strettissima, ha costantemente richiamato le maestranze e i tecnici all’impegno assunto. Nonostante pressione di ogni genere si è assicurata la presenza, nell’ambito della rotazione della CIGS, del personale che garantisse continuità al lavoro, premiando l’impegno, il sindacato ha capito supportando lo sforzo che tutti portavano avanti.
L’agosto successivo alla crisi, per rispettare le scadenze, gli operai hanno lavorato tutti i sabati, senza ricevere il pagamento dello straordinario ma con il riconoscimento di sole ore a recupero, sebbene tutti fossero consapevoli che usciti gli ultimi treni non ci sarebbe stato, nel breve, altro lavoro. E di fatti così è stato. Uscito l’ultimo Meneghino l’azienda si è, nei fatti fermata, eccetto che per alcune commesse residuali.
Tuttavia è della scorsa settimana la notizia del raggiungimento di una serie d accordi che hanno a che fare con la commessa Meneghino e che dovrebbero consentire di riportare a lavoro quasi tutta la forza, per più di un anno.
Non sappiamo come andrà la dismissione di Firema, ma la tenacia di un commissario a portare lavoro per garantire dignità ai dipendenti, l’instancabile attività di comunicazione, un gruppo di giovani manager e la serietà e l’impegno dei dipendenti tutti porterà lavoro per i prossimi mesi.
Qualche altra parola sarebbe da aggiungere sul ruolo dell’ufficio del personale. In questa vicenda, ha svolto, nello stesso tempo, il ruolo di motivatore e collante tra l’obiettivo e le persone; ma anche di controparte rispetto alle difficoltà causate ai singoli dalla crisi e punto d’ingresso di tutti i disagi che il personale viveva. Ha detto Benigni, “quando non c’è lavoro perdiamo tutti, perché quando lavoriamo modifichiamo noi stessi, è quella la grandezza del lavoro. Nella busta paga troviamo noi stessi: quella paga non è avere, è essere”. Io credo che i dipendenti di Firema abbiano dato concretezza a queste parole. E sempre Benigni, qualche giorno fa, richiamando Dante, il canto XI dell’Inferno, ci ha ricordato a proposito del “lavoro”
“che l’arte vostra quella, quanto pote,
segue, come ’l maestro fa ’l discente;
sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote”
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Un commento successivo di Rossella, dopo aver letto la breve introduzione a questo suo articolo:
Ringrazio per aver voluto menzionare la mia esperienza e quella dell’azienda in cui lavoro. Il commento riassume e coglie pienamente il senso del mio intervento.
Condivido il vostro pensiero. Le donne non hanno uno “schema” complemetare di gestione ma uno schema alternativo rispetto a quello degli uomini. Mi sembra che in fondo portiamo in azienda quello che abbiamo visto fare alle nostre madri a casa, risolvere i problemi contemperando gli interessi di tutti i membri, nell’interesse dell’unicum che è la famiglia, ma senza poi dire di essere il “capo”. Le donne cercano la concordia, l’equilibrio, non la vittoria in sè e per sè da raccontare, perchè sanno che è questo che è il vero valore che può consentire la continuità. Le donne sono quelle che coltivano e non vanno a caccia, sfamano la prole senza esporre la preda. Non hanno il bisogno di battere qualcuno ma di realizzare un’obiettivo utile per la comunità che poi è la vera vittoria.
E per questo motivo che poi non si raccontano perchè in fondo, come le nostre “madri”, pensano di non aver fatto niente di straordinario, niente che vada raccontato, ma solo quello che bisognava fare, qualcosa di utile.
Conosco tante donne che hanno storie importai e di valore da raccontare, ma pensarenno che non c’è niente da dire perchè in fondo hanno fatto quello che dovevano.
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