Presenze sportive femminili nella toponomastica nazionale
Prima parte. Le atlete nella toponomastica.
di Loretta Junck
Se la presenza femminile nelle targhe stradali del nostro Paese è ancora molto limitata, quella delle sportive è assolutamente sporadica.
Da una ricerca condotta dal gruppo di Toponomastica femminile risulta che le atlete cui è stata intitolata un’area di circolazione nelle città italiane sono pochissime e che spesso si tratta di donne morte tragicamente in giovane età.
Come Luciana Massenzi, nuotatrice italiana scomparsa a vent’anni insieme a tutta la squadra di nuoto italiana nel disastro aereo di Brema del 1966, al cui ricordo Roma ha dedicato un viale in un parco cittadino.
O come Giuliana Treleani, profondista, cui è stata intitolata una strada a Cagliari; perse la vita in un incidente d’auto a soli ventisei anni nel 1971.
Destino condiviso da Roberta Serradimigni, atleta sassarese, morta a soli trentadue anni nel 1996: la ricorda una targa nella sua città, che le ha dedicato anche un Palazzetto dello Sport.
Genova ha intitolato una via alla ginnasta olimpionica Renata Bianchi (Cornigliano 1926 – 1966) e forse anche in questo caso la scomparsa prematura ha avuto un qualche peso, dal momento che i risultati sportivi ottenuti alle Olimpiadi di Londra e di Helkinsi erano stati buoni, ma non eccellenti – Renata Bianchi con la squadra femminile si classificò all’8° posto a Londra e al 6° a Helsinki.
E proprio mentre stiamo ultimando questa ricerca ci giunge la notizia di stampa relativa all’intitolazione a Grosseto di un palazzetto dello sport alla giovane ginnasta Valentina Infantino, scomparsa prematuramente qualche anno fa.
Finora le uniche atlete che hanno ottenuto un riconoscimento sicuramente solo per i suoi meriti sportivi sono state Ondina Valla, cui sono state intitolate strade a Bologna, Viterbo, Potenza e Rubiera (RE) e Cleo Balbo, cui è stata dedicata una via a Trofarello, in provincia di Torino,
Trebisonda Valla, detta Ondina (Bologna 1916 – L’Aquila 2006), è stata la prima donna italiana a vincere una medaglia d’oro ai Giochi olimpici. Ottenne il miglior risultato nella corsa degli 80 metri ostacoli a Berlino nel 1936. Atleta versatile, vantava risultati eccellenti in diverse specialità. Nel 1937 stabilì il primato nazionale del salto in alto (m. 1,56) che mantenne per diciannove anni, quando le fu sottratto da Paola Paternoster.
Cleo – ma il suo vero nome era Clementina – Balbo (Torino 1919 – 1984) si avviò allo sport con l’atletica leggera, tesserandosi per il Dopo Lavoro della Venchi Unica e divenne specialista nella distanza degli 800 metri, in cui detenne il record italiano. Ritiratasi dall’atletica nel 1940, iniziò a praticare la scherma, sport nel quale ottenne buoni risultati, tanto da partecipare nel 1947 al Campionato Mondiale di scherma in cui vinse una medaglia di bronzo. Il Comune di Trofarello, in cui aveva vissuto molti anni, nel 1986 le dedicò una via cittadina.
A Parma, la sala scherma del Centro Polisportivo Campus “Ercole Negri”, porta il nome di Carla Bigi, fiorettista azzurra degli anni ’50 e ’60.
Nata a Parma nel 1930, maturò giovanissima la passione per la scherma, a diciassette anni disputò le prime gare e cominciò la sua ascesa sportiva. Come atleta del Centro universitario sportivo italiano, partecipò alle Universiadi del 1955 a S. Sebastiano (Spagna) dove vinse il titolo mondiale. Vinse poi la medaglia di bronzo a Torino nel 1959, si classificò quarta alle universiadi di Parigi e Bucarest, vestì la maglia azzurra per Roma 1960, oro al Trofeo internazionale Baracchini di La Spezia ex equo con Antonella Ragno. Scomparve nel 1998.
In rete però non abbiamo trovato molto su di lei. Infatti, digitandone il nome su Google, oltre alla notizia della sala a lei intitolata, compare solo l’indirizzo di un blog che, al 3 novembre 2010, pubblica un post intitolato “Un grave lutto nello sport parmense”. Ma vi si annuncia non la scomparsa dell’atleta, bensì quella del marito di lei, Enzo Sforni, fondatore e presidente del Cus di Parma. La campionessa di scherma vi è nominata solo di striscio, ricordando il “matrimonio sportivo” del defunto, e quindi in quanto moglie di un uomo importante, nonché in quanto “figlia di Ugo Bigi, fondatore dell’omonima autoscuola”.
Anche particolari di questo genere contribuiscono a farci intuire quanto sia difficile, per una donna, venire valorizzata per i propri meriti – e quindi non per essere “figlia di” o “moglie di” – in un ambiente tradizionalmente misogino come quello dello sport.
E che tale definizione non sia dettata da un pregiudizio lo dimostra la carenza di donne con funzioni dirigenziali nelle istituzioni sportive. Finora l’unica eletta ai vertici di una federazione del Coni è Antonella Dallari, presidente della Fise (Federazione Italiana Sport Equestri) dal settembre 2012.
Significativa l’intervista che nel gennaio del 2013 le ha dedicato il settimanale D di Repubblica, in cui la neopresidente lamenta il ritardo italiano quanto a presenza femminile a livello dirigenziale nello sport, forse anche perché sono le donne stesse che stentano “a mettersi in gioco fino in fondo”.