Ma siamo davvero convinte che diventare madri oggi sia una questione di scelta?
Spesso mi capita di leggere articoli, libri e post in cui si dichiara apertamente e con toni entusiasti che la maternità è una libera scelta, sottolineando la dimensione di libertà che le donne pensano e talora credono fermamente di aver conquistato dopo anni di dure lotte femministe e di liberalizzazione tese a raggiungere la cosiddetta parità di genere.
Ma siamo davvero convinte che diventare madri oggi sia una questione di scelta?
E non faccio tanto riferimento alle situazioni di infertilità di uno o di entrambi i partner che rendono impossibile la procreazione, salvo il ricorso a metodiche di fecondazione assistita. Mi riferisco piuttosto alle donne, potenzialmente fertili, che decidono di avere o non avere figli, che pensano di scegliere e agire liberamente su un versante molto intimo e personale come è appunto quello della maternità.
Come descrive in modo chiaro e puntuale Jessica Valenti nel suo ultimo libro “Why have Kids?” (“Perché avere figli”, edizione italiana curata da Vera Tripodi), ci sono dei validi motivi per ritenere che gran parte delle donne si approcci alla maternità oppure ne prenda le distanze (aggiungo io) senza essere pienamente consapevole dei condizionamenti socio-culturali.
Già quando nasciamo, genitori, nonni e parenti si immaginano come saremo da grandi, con tanto di vestito bianco, anello al dito e pargolo al seguito, magari facciamo anche due o tre, giusto per mantenerci fedeli al mito della famiglia italiana tradizionale. Con la crescita, le cose non cambiano, anzi semmai diventano sempre più presenti aspettative e pressioni intorno a noi, perché l’eventualità di avere figli risponde anche al desiderio e all’aspettativa (spesso tacita ma assolutamente chiara e presente ugualmente) di molti genitori di diventare nonni e quindi di poter concludere il ciclo vitale con la soddisfazione di provare pure questa esperienza.
Se poi andiamo oltre le mura domestiche o strettamente familiari, la situazione non cambia molto: tutto converge verso la maternità.
Infatti è convinzione comune che la donna raggiunga la sua completezza e la sua massima espressione con la maternità, che viene considerata come una tappa naturale e normale nella vita di ciascuna donna e quindi di una coppia. Nel caso in cui ciò non avvenga, allora le conclusioni a cui frettolosamente la gente comune arriva è che ci siano difficoltà di fertilità oppure che la donna in questione, piuttosto che l’uomo, sia “egoista”. Nella nostra cultura, fortemente cattolica, non si riesce a concepire come una donna possa scegliere di non avere figli. In tal caso, il pensiero comune la immagina come una donna con una vita “vuota” e/o a rischio di pentimento a medio-lungo termine.
Come scrive Jessica Valenti, “questa mania di dare per scontato che tutti saranno genitori e di considerare le donne in stand-by rivela un aspetto centrale della genitorialità. Non abbiamo scelta”.
Infatti se e quando una donna adulta, magari anche impegnata affettivamente e quindi con un rapporto di coppia in essere, concepisce dei figli, non ci si chiede e non le si domanda il motivo di ciò. Lo scenario cambia, invece, se una donna sceglie di non avere figli: in questo caso è più facile domandare o domandarsi il perché di questa scelta. E già da questa differente reazione comprendiamo come le due scelte non siano socialmente considerate allo stesso modo e quindi plausibili, normali e accettabili ma, al contrario, vi sia una stigmatizzazione nei confronti della non maternità.
Inoltre la scelta di non avere figli è sicuramente più attaccata e criticata quando ad assumere questa posizione sono le donne piuttosto che gli uomini. Infatti mentre socialmente si può contemplare che un uomo possa scegliere di non essere padre e di investire tempo, risorse ed energie in altro, per una donna la questione cambia. Sarà la convinzione popolare che “l’istinto materno” sia qualcosa d’innato, sarà che la donna adulta viene associata alla funzione di madre, sta comunque di fatto che la scelta di non avere figli è spesso è attaccata, criticata, non condivisa e giudicata come “strana” ed ”egoista” soprattutto se a compiere questa scelta di vita è il “gentil sesso”.
La realtà, però, è che esistono donne che non vogliono avere figli.
Gli anglosassoni hanno coniato il termine “childfree” per sottolineare la scelta consapevole e fortemente desiderata di non avere figli, da distinguere dalla condizione di “childlessness”, ovvero mancanza di figli (desiderati).
Nei primi anni 2000 gli studiosi di marketing evidenziarono la presenza di questo target di persone e quindi di coppie “Dual Income No Kids” (DYNK).
A detenere il primato di denatalità, sulla base dei dati statistici, sembra essere la Germania (25%), seguita dai Paesi del Nord Europa, dove si sta diffondendo una vera e propria cultura fatta di club, associazioni, iniziative e libri che rivendicano la scelta di non avere figli. L’Italia, per quanto stato conservatore e tradizionalmente cattolico, si sta avvicinando alla percentuale dei Paesi del Nord Europa con un aumento progressivo di “coppie DY
NK”.
Jessica Valenti sostiene in modo chiaramente provocatorio che “le donne intelligenti non fanno figli”.
Nella mia esperienza personale e professionale ho avuto modo di conoscere donne che hanno fatto questa scelta di vita, senza che ad oggi ne portino tracce di pentimento, rimpianto o di colpa ma, al contrario, convinte di aver portato avanti una scelta coerente con quello che sentivano e sentono più giusto per se stesse. Altre, invece, vivono in modo meno sereno questa scelta, in quanto soffrono maggiormente dei condizionamenti sociali che le vorrebbero madri, oltre che mogli o compagne.
Comunque entrambe queste due tipologie di donne concordano nel considerarsi poco comprese ed accettate dalla società e nel vedersi e sentirsi spesso delle “mosche bianche”.
Se ci fosse veramente accettazione di quelle che sono prima di tutto scelte personali e individuali, mi chiedo se queste donne vivrebbero in modo più sereno la scelta “childfree”. Mi chiedo anche, in tal caso, se la percentuale di donne che intraprendono la strada della maternità sarebbe la stessa o subirebbe qualche variazione…perché i condizionamenti sociali possono essere più invasivi e incisivi di quanto pensiamo!
5 commenti
Concordo con quanto affermato da Jessica Valenti che in maniera provocatoria ritiene “intelligenti” quelle donne libere di decidere di non avere figli e quindi maggiormente forti e determinate e noncuranti del giudizio di una società che le vorrebbe madri a tutti costi. Spesso questa scelta è dettata anche da una condizione di vita precaria, da incertezze economiche e da assenza di un partner ideale e quindi la scelta “chilfree” si rende necessaria se fatta con consapevolezza.
La società quindi, deve accettare questa nuova condizione femminile senza pregiudizi di sorta impegnandosi al contrario perchè la donna sia maggiormente garantita e tutelata.
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è vero anche il contrario però: la società non condiziona solo nel momento di scegliere di avere un figlio, anche nel momento in cui la propria vita precarissima fa decidere di non averne per non terminare completamente pazzi e frustrati.
Sara, concordo nel ritenere che la società, lo stato e direi la politica, lasciano da sole le donne e le coppie in materia di maternità (a prescindere da dove convergano le nostre scelte), laddove invece, come scrive giustamente Maurizio Ferrera nel suo libro “Valore D”, dovremmo comprendere che la questione figli non è solo un fatto intimo e personale ma anche sociale. Infatti se le donne e le coppie fossero maggiormente sostenute con sussidi e ausili sociali, ci sarebbe sicuramente un aumento del tasso di natalità ad oggi fra i più bassi in Europa, e questo implicherebbe non solo maggiore soddisfazione personale e di coppia ma anche maggiore occupazione femminile, più posti di lavoro (almeno nel sociale e nella cura dell’infanzia) e quindi un incentivo per l’economia del Paese. Infine puntare sulla qualità della vita e quindi sul benessere e sulla soddisfazione delle persone, costituisce una prevenzione primaria per la salute e quindi minori costi per lo Stato.
Purtroppo, anche io ritengo che noi donne non siamo poi tanto libere di scegliere riguargo alle nostre vite, o meglio, le nostre scelte sembrano costantemente meritevoli dell’attenzione dell’opinione pubblica: vicini di casa, parenti, conoscenti, negozianti del quartiere o finanche persone incontrate per caso alla fermata dell’autobus…
Da quando siamo appena adolescenti, già tutti iniziano a farci interrogatori… Se non siamo fidanzate ci chiedono “Come mai?” e se poi dopo un po’ che siamo fidanzate non ci sposiamo, di nuovo la domanda: “Come mai?”. Per non parlare di quando, vedendo la fede al nostro dito e nessun passeggino al seguito, arriva inevitabile la domanda: “Come mai?”. E -giacchè nessuno è mai contento di farsi i fatti suoi, quando diventiamo madri di un figlio, ecco la domanda: “A quando il secondo?”.
Insomma, siamo subissate di domande a cui non siamo poi molto libere di rispondere come vogliamo, perchè -se non rispondiamo come l’altro si aspetta- dobbiamo pure iniziare a giustificarci…
Noi donne, però, dovremmo smettere di sottovalutarci e iniziare a credere davvero al nostro libero arbitrio, cercando dentro di noi le risposte alle grandi domande che ci pone la vita e smettendo di dare conto agli altri! Possiamo farcela…!