Presenze sportive femminili nella toponomastica nazionale
di Loretta Junck
In genere la presenza femminile nel mondo dello sport, mondo fortemente connotato al maschile, ha sofferto fino a un recente passato di poca considerazione e di scarsa visibilità.
D’altra parte, “non bisogna dimenticare il contesto in cui ha vissuto per secoli la donna nel nostro Paese, soggetta a pregiudizi di tipo culturale di difficile superamento, condizionata, come negli altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dalle sue prerogative di madre e sposa, prerogative che l’hanno relegata a un ruolo secondario della vita civile” (Angela Teja); solo recentemente sembra che qualche cosa stia cambiando, nella percezione dello sport femminile e nell’interesse che questo suscita.
Una breve visitazione della storia della partecipazione femminile ai Giochi Olimpici ci conferma questa realtà.
Nonostante l’opposizione del fondatore Pierre de Coubertin, che aveva pensato ai Giochi solo in funzione delle competizioni maschili, le donne parteciparono già alla seconda Olimpiade, che si tenne a Parigi nel 1900, con il golf e il tennis, e in questa occasione si distinse la tennista inglese Charlotte Cooper, che fu la prima campionessa olimpica. Ma bisognerà aspettare fino al 1912 per vedere il nuoto femminile fare il suo ingresso in ambito olimpico, pur nella riprovazione di molti. Grazie anche alla pressione di molte associazioni sportive femminili europee, le donne continuarono ad ampliare la propria presenza ai Giochi. L’atletica leggera fece il suo ingresso ad Amsterdam, alla IX Olimpiade, nel 1928.
Ma, significativamente, l’Italia tardò a inviare ai Giochi le proprie atlete. La prima partecipazione olimpica di un’italiana fu quella della grintosa tennista Rosetta Gagliardi, unica donna in mezzo a 169 connazionali maschi ad Anversa, nel 1920. Ma la prima italiana a vincere un oro olimpico fu Ondina Valla, alle Olimpiadi di Berlino del 1936. Il riconoscimento le fruttò immensa popolarità e il regime fascista la elesse ad esempio della sana e robusta gioventù nazionale.
Nei confronti dello sport femminile il fascismo tenne un comportamento ambivalente. Poiché se è innegabile che le donne, più che nel passato, furono incoraggiate all’attività fisica, è pur vero che l’ideale femminile del regime si ispirava a una concezione della donna relegata alla sua funzione di angelo del focolare.
“Ponendosi non solo come un fiore all’occhiello del regime ma anche come una potenziale sfida alla supremazia maschile da esso promossa, lo stesso successo della Valla ottenne reazioni tutt’altro che univoche nei circoli fascisti. In effetti, il fascismo, soprattutto una volta consolidato il suo potere e anche per rispondere ai severi moniti della Chiesa cattolica, tende ad avere un atteggiamento profondamente ambiguo rispetto allo sport femminile: alcune atlete eccezionali vengono incoraggiate poiché possono dar lustro al regime a livello internazionale, ma si ritiene che per la maggioranza delle donne possa bastare un’educazione fisica salutista, l’unica giudicata davvero compatibile con l’immagine relativamente tradizionalista della donna e delle sue funzioni che il regime sostiene.”. (Enciclopedia dello Sport.)
Oggi, come si è detto, la situazione sta cambiando…
La mostra “Donna è sport”, organizzata a Milano in occasione delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, ha evidenziato l’impetuosa avanzata femminile nella pratica sportiva. Presentando l’evento, il giornalista Alessandro Cannavò sottolinea sulla Gazzetta dello Sport che “tra il 1980 e il 2010 si è passati da una presenza nella squadra azzurra del 15% a quasi il 50% del totale” e ricorda che già nel 2003 suo padre Candido, direttore storico della Gazzetta, parlava di un “sorpasso di qualità” avvenuto per opera delle donne nello sport, sorpasso che non si è registrato in modo così imponente in nessun altro settore.
All’inaugurazione della mostra erano presenti il fior fiore dello sport femminile italiano, da Mabel Bocchi a Carolina Morace, da Novella Calligaris a Valentina Vezzali, da Manuela Di Centa a Stefania Belmondo. Commentando gli interventi delle atlete in quello che definisce con ammirazione “un talk show di grande livello”, l’articolista istituisce un confronto tra queste donne consapevoli e mature e “i campioni maschi super pagati e super coccolati, tenuti in campane di vetro lontani da ogni interferenza della vita vera, belli nei loro fisici scultorei e bamboccioni, che si pavoneggiano con i loro tatuaggi e passano il tempo libero con la play station”.
E conclude con queste significative parole:
“A sentire le donne dello sport sembra di stare su un altro pianeta. Donne che sono maturate perché devono ogni giorno lottare … Con l’intelligenza prima che col fisico. Donne vincenti: su tutti i fronti”.
Un omaggio al valore delle donne, prima che delle sportive.