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    Home»Costume e società»Case per le donne: nessuna utopia
    Costume e società

    Case per le donne: nessuna utopia

    DolsBy Dols15/07/2013Updated:10/11/20144 commenti8 Mins Read
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    Mentre a Berlino si pensa a case per le donne dove abbattere i costi, in Italia si preferisce l’isolamento e la conseguente depressione.

    di Anna Stopazzolo

    Berlino è famosa e continuamente celebrata dai media come “città dei single”, specialmente donne che sono più di 600 mila unità e dove le separazioni e divorzi dividono quasi un terzo dei matrimoni. E’ così che si assiste negli ultimi 5 anni ad nascere delle nuove famiglie monoparentali e i relativi problemi legati al mercato immobiliare.
    Il mercato immobiliare della città è stato relativamente tranquillo fino a un paio di anni fa e non era difficile trovare appartamenti a prezzi modici rispetto alla media di altri capitali europee quali Londra e Parigi.
    Ma l’attrazione per Berlino negli ultimi mesi, ha visto un incremento notevole , facendo così galoppare i prezzi delle case che sono aumentati persino del 20%. La concomitanza con la crisi economica ha inoltre ridotto notevolmente le entrate delle famiglie tedesche sempre più costrette a dover accedere a mutui per pagare la casa, obbligando, direi fortunatamente, molti cittadini a dover pensare a nuove soluzioni abitative in cui utenze e costi vengano divisi tra gli inquilini.

    In questo contesto, negli ultimi anni, si sono sviluppate nuove forme di abitare condiviso…sarà che un po’ l’anima tedesca è naif, sarà che effettivamente abitare con altri coinquilini abbatte notevolmente i costi ma sempre più giovani coppie, genitori single o semplicemente single decidono di prendere in considerazione questa opzione.
    Uno dei progetti più famosi a Berlino e in tutta la Germania è il “Mietshäuser Syndikat” che, con più di settanta progetti e venti iniziative, ha un semplice obiettivo: acquistare le case ed edifici vuoti nella capitale che altrimenti sarebbero soggetti alla demolizione (la città è ricca di edifici completamente abbandonati), dividerne i costi di acquisto, scavalcare le minacce di sfratto e le trattative con il Comune.
    Tutto ciò per il desiderio e la necessità di vivere in collettività, in modo del tutto indipendente, con prezzi accessibili per molti e così riqualificare anche parti della città che erano lasciate a se stesse.
    Ho avuto l’occasione di intervistare partecipanti a questo progetto, persone che vivono in queste co-hausing. Tutti i partecipanti al progetto finanziano personalmente l’acquisto della casa stessa con la quat dell’affitto mensile affinché possa estinguersi il debito in banca e si possa diventare effettivamente padroni di una casa.

    La filosofia è proprio questa: evitare la svendita di case o la demolizione che inevitabilmente deturperebbero il territorio per avviare un progetto di vita con circa altri 15-20 coinquilini con cui dividere le utenze ma anche le cose più semplici dalla spesa al bagno e per ciò vivere in modo più sostenibile possibile.

    Gli intervistati facevano proprio riferimento a come questo tipo di alloggi sharati abbattano le spese a carico dei singoli e massimizzino  ogni singolo si trova con un enorme quantità e varietà di cibo a disposizione.
    La promozione del Social Housing è stata avviata in Germania nel 2002 ed è supportata da uno degli atti legislativi più importanti, il “Condominium Act” ovvero una serie di crediti e prestiti agevolati per il riscatto di questi edifici comunali che altrimenti sarebbero stati abbattuti.
    Berlino a causa della grande distruzione compita dalla seconda Guerra Mondiale e il successivo boom economico dispone di enormi spazi completamente vuoti o edifici, come ad esempio ex-fabbriche che sono completamente lasciate in balia del degrado.
    Obiettivo principe di questo tipo di edilizia è offrire alloggi in locazione per famiglie monoparentali, donne sole con figli, anziane o disabili. Nel caso tedesco invece è questo regolamentato da una cornice legislativa data dalla legge “Gesetz über die Soziale Wohnraumförderung (WoFG)” che promuove questo tipo di edilizia ed altre misure a sostegno delle famiglie che si trovano in posizioni di svantaggio sul mercato immobiliare per la fornitura di alloggi di locazione.

    Accanto questi programmi, ve ne sono altri che ricadono sotto il nome di “case per le donne”, ovvero progetti di vita mirati solo o quasi esclusivamente esse.
    La storia di questi alloggi è fondamentalmente la realizzazione d’ideealternative nate con i piani utopistici come il “Garden City” già nel 19° secolo.
    Ebenezer Howard già alla fine dell’ottocento, aveva teorizzato una linea di pensiero utopistica che avrebbe dato in seguito il nome al movimento delle “città giardino” che avevano come obiettivo la decongestione delle grandi città attraverso il decentramento della popolazione in città-satellite immerse nel verde.
    Il fondatore di questo movimento aveva pensato a una serie case con un centro condiviso dove porre in comune alcuni servizi pubblici. In seguito a questo movimento, furono poi un gruppo di donne austriache, che dopo la prima guerra mondiale, avviarono delle residenze protette per giovani e meno giovani che però avessero una cosa in comune: cercare un modello alternativo, una risposta diversa ai problemi sociali irrisolti e creare uno spazio per la loro vita auto-organizzata e non influenzata dai ruoli socialmente imposti.
    Nel caso specifico di Berlino, le donne sono tipicamente i soggetti più fortemente discriminati dal mercato immobiliare come ad esempio le ragazze madri le quali spesso non sono in grado di affrontare le spese di contratto e le utenze di un appartamento. Da qui sorge l’esigenza di creare abitazioni in città comuni women-oriented.

    Questi movimenti femminili alternativi criticano fortemente il tradizionale rapporto di genere imposto dalla società che continua a limitare le opportunità per le donne costringendole a ruoli predeterminati e circoscrivono le loro opportunità di vita indipendente.
    La natura e la portata di tali restrizioni sono continuamente cambiate nel tempo e questi nuovi progetti permettono alle donne di opporre resistenza contro le limitazioni poste dalla società stessa. Per ciò tutto lo sviluppo di queste nuove forme è sempre più nel contesto delle aspirazioni di emancipazione femminili.
    I progetti prevedono un edificio in cui a ogni donna è assegnata una camera singola o un appartamento con uno spazio determinato preferendo così gli spazi comuni. Vi è un forte utilizzo dei cosiddetti “canali di collegamento” ovvero connessioni pratiche tra le diverse stanze in particolare cucina-nursery o soggiorno-cucina in modo da facilitare gli spostamenti, il lavoro di cura dei
    bambini o delle persone a carico. Tutto ciò favorisce la conciliazione tra lavoro e famiglia, un accesso più diretto ai giardini o spazi aperti soprattutto per donne con bambini aumenta i contatti con il vicinato e così il senso della comunità.
    Nel caso berlinese, l’esempio più famoso è Beginenhof , ideata nel 2007 dalla sociologa Jutta Kamper che ha inaugurato questo co-housing unico nel suo genere.

    La studiosa dopo la morte del marito e all’età di 75 anni decise di avviare questo progetto motivata dal fatto che molte donne berlinesi, quasi più di 600 mila, sono single, vedove o divorziate.
    Nel 2007 i lavori di progettazione furono assegnati all’architetto Barbara Brakenhoff famosa in tutta la Germania per i suoi edifici colorati e con forme vivaci. Nello specifico del progetto Beginenhof, la facciata ondulata non ha pareti ma vetrate colorate che nei giorni di sole riflettono i giochi di luce. Ho visto personalmente quest’opera e da lontano spicca per la modernità e la luminosità essendo inserita in un contesto di palazzi d’epoca.
    L’edificio è stato inserito nel quartiere di Kreuzberg, centro più eclettico di Berlino e vere anima della città con gradi spazi verdi comuni; l’architetto avviò i lavori progettando 53 piccoli appartamenti ultra moderni collegati tra di loro con una grande sala comune, giardino, appartamenti per gli ospiti (solitamente di sesso maschile) ed una grande terrazza solarium nel tetto.
    All’apertura del bando per l’assegnazione degli appartamenti, più di duemila donne fecero richiesta per acquistare un appartamento in questo edificio, la sociologa Kamper personalmente avviò una serie di “colloqui” con tutte le candidate per poi arrivare a selezionarne un numero limitato che sarebbero state le acquirenti degli appartamenti.
    Oggi cinquantatre donne-single tedesche provenienti da tutta la Germania vivono sotto un unico tetto dove gli uomini sono accettati solo come ospiti temporanei.
    Sebbene le inquiline siano di diversa età e stato civile sono tutte accumunate da un alto livello di istruzione; i rapporti tra le persone sono estremamente valorizzati e sono basati sulla solidarietà ed il rispetto reciproco.
    La fiducia è fondamentale: ogni vicina ha una chiave di riserva della casa accanto che può essere utilizzata in momenti di emergenza. Gli spazi comuni e plurifunzionali permettono la condivisione di molte attività che vanno dalle passeggiate ai corsi e ancora acquisti biologici e serate letterarie.
    Questa “comune” ha la specificità di non essere legata a nessuna ideologia, anzi, al contrario, l’atteggiamento tollerante verso diversità e varietà di orientamento politico è un invito alla convivenza con persone con diversi background e di diverse generazioni.
    Queste società trasversali permetto la condivisione sotto lo stesso tetto di lesbiche, madri, pensionate, donne disabili, donne in carriera che decidono di convivere e limitare parzialmente la presenza di uomini nella loro vita.
    Reti sociali come queste offrono un quadro di protezione ed un aiuto costante per gli individui in una città talmente dispersiva che non permette di metterli in contatto, facendo sì che spesso cadono in solitudine e
    depressione. Esperienze come queste creano sinergie incredibili che consentono alle donne di riscoprire forze troppo messe da parte o dimenticate.
    Come mai ancora oggi in Italia è così difficile dare vita a tali energie? E soprattutto abbattere il muro di vergogna e pregiudizio per il quale due donne che abitano sotto lo stesso tetto equivalgono a omosessuali?
    La crisi economica e le difficoltà che ogni famiglia italiana vive, non potrebbero essere ridotte se alcune servizi comuni venissero divisi e quindi massimizzati

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    Dols è sempre stato uno spazio per dialogare tra donne, ultimamente anche tra uomini e donne. Infatti da qualche anno alla voce delle collaboratrici si è unita anche quella degli omologhi maschi e ciò è servito e non rinchiudere le nostre conoscenze in un recinto chiuso. Quindi sotto la voce dols (la redazione di dols) troverete anche la mano e la voce degli uomini che collaborando con noi ci aiuterà a non essere autoreferenziali e ad aprire la nostra conoscenza di un mondo che è sempre più www, cioè women wide windows. I nomi delle collaboratrici e collaboratori non facenti parte della redazione sono evidenziati a fianco del titolo dell’articolo, così come il nome di colei e colui che ci ha inviato la segnalazione. La Redazione

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    4 commenti

    1. alterini luciana on 15/07/2013 14:14

      è un’iniziativa che mi piace e mi interessa

      Reply
    2. Valeria Vaccari on 15/07/2013 15:01

      A Milano è stato appena assegnato un edificio in Via Marsala denominato Casa delle Donne;http://casadonnemilano.blogspot.it
      Informatevi!

      Reply
      • caterina-torre-hp
        Caterina Della Torre on 15/07/2013 16:51

        Ne siamo informate. Ma tu ha letto l’articolo? Ti sembra che la casa delle donne berlinese abbia qualcosa in comune con quella di Milano? Cmq su queste pagine e’ stato pubblicato un articolo su quella di Milano. Basta cercare nel motore di ricerca in alto a destra.

        Reply
        • Anna Stopazzolo on 16/07/2013 14:22

          credo proprio sia un altro progetto! questo è molto più complesso…oltre ad essere una visione di vita che esclude completamente gli uomini(possono entrare solo come ospiti momentanei) è proprio un approccio diverso. Queste donne dividono una serie di servizi in nome della sostenibilità e solidarietà. Molte donne inoltre sono politiche, docenti, giornaliste per cui non hanno bisogno di aiuto che può arrivare da una casa che offre ospitalità a donne in difficoltà. Loro hanno proprio scelto questo modello di vita

          Reply
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