Liuba Soncini, emilana del ’64 data in cui ricorda lei stessa era morto Palmiro Togliatti, ma anche anno di un’ottima vendemmia.
Al primo evento parteciparono anche i suoi genitori, ma del secondo ne ha sentito solo parlare! Single è rimasta folgorata dallo studio delle lingue straniere fin dalla prima media. Così ha finito per laurearsi in lingua e letteratura inglese a Bologna. L’abbiamo intervistata percè socia del’associazione EWMD (European women management development) di cui lei orgogliosamente si fregia di fare parte.
Sei stata una delle fondatrici dell’associazione? Chi ne è l’ideatrice?
La delegazione di EWMD di Reggio è stata fondata da un manipolo di temerarie che, stufe di raccontarsela fra di loro, hanno deciso di trovare il modo di trasformare la loro voglia di contare di più, soprattutto nel mondo del lavoro, in un impegno sociale. Sono dirigenti d’azienda, imprenditrici, responsabili di settore nella pubblica amministrazione. Direi che la forza sta nel gruppo, anche se la nostra Presidente, Nadia Caraffi, è una forza della natura. Io ho conosciuto l’associazione tramite Nadia e mi sono accorta di condividere gli stessi obiettivi. Mi è piaciuta l’idea che nel programma ci fossero anche momenti di formazione. Visto che già io smanettavo sul web, sia per lavoro che per diletto, mi è stato proposto di diventare la web coach della delegazione. E questo mi ha dato l’opportunità di acquisire nuove competenze.
Quando è nata nell’84 non c’era ancora internet. Quali erano allora gli obiettivi?
EWMD nasce da una semplice constatazione: in Europa le donne studiano, si laureano brillantemente, accettano gavette pesanti, entrano nelle aziende o nelle istituzioni ma…si fermano ai piani bassi e in funzioni spesso di servizio o di supporto. Ci sono molte ragioni naturalmente per cui questo accade ma EWMD decise di affrontarne alcune lavorando sullo sviluppo della managerialità, prima di tutto trovando le risorse in se stesse, non necessariamente attraverso l’acquisizione di tecnicalità rivolte allo stretto ambito professionale. Cioè fornendo occasioni di potenziamento della motivazione, dell’autostima e della capacità di autorappresentazione. Per esempio, più volte le donne che abbiamo coinvolto nelle nostre iniziative ci hanno comunicato di voler imparare a parlare in pubblico. Anche dopo il laboratorio di comunicazione e emotività effettuato a maggio scorso, sono arrivate richieste di ripetere l’esperienza, di lavorare ancora su quei temi. E’ come se queste donne si sentissero “afone” e quindi vogliono imparare a parlare. In realtà riteniamo che abbiano bisogno ancora di sentirsi autorizzate a farlo…quindi, forse, hanno solo necessità di incoraggiamento e il gruppo questo può darlo.
E’ vero che nell’84 non c’era ancora Internet, ma il concetto di RETE le donne lo posseggono eccome; lasciamo perdere la vulgata sulle invidie e il pettegolezzo e constatiamo come da sempre, essendo deboli, abbiano dovuto costruire relazioni di sostegno e di scambio parentali e amicali che le sostenessero individualmente. Gli uomini hanno i club ma sono altro; basta pensare a quanto è diversa la parola amicizia per un uomo rispetto a quello che significa per una donna.
Ci sono molte donne giovani che si interessano di tecnologie nella vostra associazione o è più imprenditoriale?
Le donne giovani sono affaccendate a sopravvivere tra lavoro e famiglia e tutto il resto; l’associazione riunisce soprattutto le più grandicelle che essendo spiriti indipendenti e dinamici intendono coltivare assieme quel granello di audacia utile a far crescere tutte noi. La tecnologia è solo uno degli ambiti da aggredire, certo quello più orientato al futuro professionale.
Nella tua esperienza, il numero di queste sta crescendo? E se sì, perché?
La mia esperienza nell’ambito delle tematiche femminili è abbastanza recente. La delegazione di Reggio attualmente è composta da 27 socie, più tante altre donne che sono interessate alle nostre attività. Abbiamo anche delle giovani donne e speriamo che nel tempo anche altre possano partecipare. Credo che la tecnologia, intesa come strumento di lavoro, di connessione fra persone, di potenziamento delle proprie competenza, possa essere il filo che unisce le diverse generazioni di donne. Il compito che, come associazione, possiamo porci è far conoscere alle nostre associate questi nuovi strumenti e di incoraggiarle a superare il digital divide.
Perché alle donne non piace la tecnologia?
Alle donne non piace la tecnologia da prestazione (che piace tanto ai maschi si sa, ma anche ai “markettari” perché incrementa i consumi) ovvero “l’ultimo modello che…” presenta sempre una funzione in più del precedente anche se questa è assolutamente inutile, ridondante, macchinosa. A noi piace molto la parola SMART ed è lì che, crediamo, ci giochiamo il cambiamento sociale supportato dalla tecnologia.
Le donne devono comprendere l’utilità della tecnologia per migliorare la loro quotidianità. La tecnologia è uno strumento non è il fine.
“Stay hungry stay foolish… but don’t forget children”: noi non dimentichiamo mai di portarci dietro “i figli”, ovvero il futuro, la nostra comunità, anche se cerchiamo di conquistare nuovi territori e nuove risorse.
Ci parli del Convegno da voi orghanizzato a Novembre? Quali gli obiettivi?
Il convegno sarà dedicato al Divario Digitale di Genere. E’ un progetto molto impegnativo, organizzato insieme alla facoltà di Ingegneria Informatica dell’Università di Modena e Reggio. L’obiettivo che ci siamo prefissate è di sensibilizzare le giovani ragazze, con un occhio particolare alle studentesse che frequentano gli ultimi anni delle scuole superiori, sulle potenziali prospettive di carriera nei settori legati all’innovazione tecnologica e incoraggiare le inclinazioni per ingegneria come percorso universitario ( le ragazze attualmente sono solo il 9% degli iscritti) e più in generale incoraggiare le inclinazioni verso la tecnologia al fine di evitare un tremendo spreco di talenti.
Il progetto è strutturato in due convegni e una Summer School nel 2014.
Le attività che verranno svolte in questi tre momenti sono finalizzate a far comprendere che le donne possono svolgere un ruolo significativo come utenti attive, creatrici e produttrici di tecnologia e protagoniste dell’innovazione. Le donne utilizzano meno degli uomini le ICT e questo ha dirette conseguenze sulla competitività nel mondo del lavoro. Su questo problema vogliamo sensibilizzare le istituzioni locali, Comune e Provincia prima di tutto, ma anche tutta la nostra comunità. Spesso sono le stesse famiglie a scoraggiare le ragazze ad intraprendere studi scientifici, per preconcetti e stereotipi ancora duri a morire.
Ti senti una Wister o meglio cosa vuol dire per te essere una Wister?
L’esperienza del seminario di Padula è stata coinvolgente, oltre che istruttiva. Generalmente sul lavoro, ognuno fa per sé e non c’è una grande coesione e solidarietà fra colleghe donne. Conoscere le Wister ha significato toccare con mano che ci può essere una modalità differente di relazione, paritaria e finalizzata alla condivisione di contenuti e obiettivi. La coesione di questo gruppo, composto da donne provenienti da tutta Italia con età, professionalità, competenze e storie diversissime, rappresenta per me una speranza. Se non accettiamo le modalità di comportamento imperanti, possiamo aprirci a nuove prospettive, anche professionali. E’ interessante osservare il modo in cui le Wister lavorano, è un’organizzazione “liquida” in cui si mettono insieme tante intelligenze diverse, ma con una progettualità e, soprattutto, una capacità operativa incredibili. Per me è una vera e propria palestra professionale e il bello è proprio la possibilità di imparare e trasmettere conoscenze contemporaneamente. Non è un rapporto verticale insegnante/capo e allieve/ancelle, ma tutte quante imparano e insegnano insieme.