Mamma vado a vivere a Milano
di M. Gabriella Genisi
E’ successo all’inizio di settembre, mentre preparavo la cena. Melanzane sì, stavo friggendo le melanzane quando Serena è entrata in cucina come un turbine, e dopo avermi stampato un bacio sulla guancia mi ha comunicato trionfante la sua decisione: “Mamma, vado a vivere a Milano.” “Ma come, quando…”- ho balbettato io stringendola forte. Tra un mese – ha detto lei, senza possibilità d’appello. Era felice, glielo leggevo negli occhi, io invece volevo soltanto piangere.
Ora va detto per essere onesti che mia figlia avendo 19 anni è adulta a tutti gli effetti, ma che volete, per me è sempre la pupina mia, il cucciolo della nostra casa. Insomma ve la faccio breve, vedi e scopri la decisione era stata presa da un po’, l’iscrizione alla facoltà risultava già fatta, nello specifico Facoltà di Farmacia che a Milano è a numero aperto, a Bari invece a numero chiuso, e quindi come dire pure emigrante obbligata. Con la complicità del fratello aveva richiesto perfino la Postepay senza limiti da far ricaricare a papà, e prenotato due posti a/r sul volo 347 Easy jet per Malpensa. In pratica qualsiasi cosa avessi obiettato era inutile. “Ma almeno potevi prendere Linate” – ho sussurrato. “Saranno ottanta chilometri da lì… “Qual’ è il problema” – ha ribattuto lei decisa– ci sono le navette ogni 10 minuti, e poi era un low cost. Con tutto quello che spenderemo adesso…” E mi ha zittita così.
Due giorni dopo siamo partite per Milano un po’ come Totò e Peppino, alla ricerca della casa, e qui sono cominciate le nostre avventure. Noio vulevòm savuar.. Mentre facevamo un giro di acquisti in centro unicamente a scopo terapeutico, durante le pause sedute ai gradini del Duomo o al Mc Donald’s in Galleria telefonavamo ai numeri presi da Internet sul sito www.kiji.com.
Le telefonate ero io a farle in verità, permettete che una mamma del Sud intuisca già dalla voce al telefono se uno è: A) stupratore; B) rapinatore; C) spacciatore. Dopo dieci telefonate avevo trovato soltanto una stanza in condivisione con un ragazzo gay quando noi cercavamo una singola, un appartamento con 6 ragazzi e un unico bagno, e un monolocale completamente fuori zona. Finalmente alla 13esima telefonata, qualcuno con la voce tipica del cumenda da film anni 80 mi informa che praticamente ha quello che io cerco. Stanza singola in palazzo signorile, luminosa, zona Città studi costo 450 + le spese.
E’ la casa che fa al caso nostro penso e quasi non mi sembra vero d’aver risolto. “La prendo” dico precipitosamente al tizio che giustamente mi informa che va benissimo, la stanza è mia, però prima devo versare tre mesi di caparra, tre mensilità anticipate, e almeno vederla insomma.. Recupero Serena che prova braccialetti d’argento da Tiffany e ci precipitiamo a cercare un taxi visto che il tipo ha altre persone che sarebbero interessate all’affare, e speriamo almeno di batterle sul tempo. Dopo circa 15 minuti siamo in via Edoardo Bassini praticamente a due passi dal Politecnico e dalla fermata del tram. Curiosamente però sotto il portone c’è una piccola folla di gente, ragazzi, ragazze e qualche genitore. Mi bastano due minuti per fare una rapida indagine e scoprire che sì, sono lì tutti per la stanza singola del cumenda. Ovviamente lui è su che sta facendo vedere la stanza a un gruppo di 6 persone e quando arriva il nostro turno ci raccomanda di non preoccuparci assolutamente degli altri visitatori perchè la stanza è già nostra. Ovviamente però per definire è preferibile risentirci domani. Non so qual è il suo gioco, ma capisco che è uno zaraffone come si dice dalle parti mie, e devo rimettermi subito a fare telefonate oppure mi toccherà tornare a Milano anche la prossima settimana. Ho 3 numeri segnati sull’agenda e comincio da quelli. Con il primo va male perché chiedono la settimana corta, con gli altri due va meglio e infatti fisso due appuntamenti. Il primo è per le 18.15 in via Reina costo 520¬ + le spese stanza singola di 25 mq con letto a soppalco, il resto in condivisione con due ragazzi. Borbotto un po’ perché avrei preferito due ragazze, ma Serena è affascinata dall’idea del letto a soppalco e non mi sta a sentire. Arriviamo con 10 minuti di anticipo e il portiere ci fa accomodare. Il palazzo è bellissimo, antico con dei marmi verdi e neri sul pavimento. L’appartamento è al quinto piano e ci si arriva con uno di quegli ascensori a gabbietta con la panchetta di velluto e i pomoli di ottone che sembrano essere stati lustrati il giorno prima. Tutto sembra talmente perfetto che viene quasi da chiedersi dov’è la fregatura, ma sono così stanca che mi attacco al campanello e aspetto che qualcuno venga ad aprire. Appena entrata però mi bastano due secondi circa per capire dov’è l’inghippo. L’appartamento sembra una komune hippy degli anni 70, straordinariamente lurida, disordinata e colorata. A me basta vedere i fusti di petrolio usati come tavolini, la cabina telefonica che funge da armadio, un vecchio frigo orizzontale da bar dipinto di giallo e la vecchia cucina a gas che potrebbe esplodere da un momento all’altro per girarmi sui tacchi ed andarmene, ma Serena incredibilmente si è già innamorata della stanza col letto a soppalco e dice che per lei va bene, possiamo firmare. Cerco di prendere tempo – non vuoi pensarci un momentino amoredimamma – ma lei scuote la testa caparbia e insiste col dire “no a me piace, a me piace. Sono sgomenta e non so come cavarmi fuori dall’impiccio mentre pelustro il cucinino pieno di piatti sporchi e il bagno, incredibilmente pulito in verità, quando il ragazzo che ci ha aperto la porta mi informa che dovremmo andare perchè attende un altro visitatore ma ci risentiamo in tarda serata. Giuro, c’è mancato poco che l’abbracciassi.
Intanto si erano fatte le otto di sera, avevamo l’aereo il giorno dopo e ci restava solo un altro appartamento da visitare, un bilocale in condivisione con Francesca 24 anni studentessa di ingegneria. Potete facilmente immaginare il mio umore di che colore era mentre suonavo il citofono, ma incredibilmente l’appartamento era proprio quello che cercavamo, tranne che nel prezzo ovvio. Vabbè, preso.
Tornate in patria sono iniziati i preparativi per la partenza, qualcosa a metà tra il corredo per la sposa e l’armamentario per una missione in Afganisthan.
Pigiami, maglie della salute, 12 paia di calze e mutande, piumino, piumone, copripiumone, coprifedera e coprimaterasso, pentoline, carta Domopak, marmellate fatte in casa, e un grande quantità di cose rintracciabili anche a Milano.
A farla breve ci siamo presentate una domenica pomeriggio alle 14 in aeroporto, con 3 colli dal peso ciascuno di 35 kg + un bagaglio a mano, senonché una strega di hostess ha impedito che potessimo spedirli se non previo pagamento di un extra assurdo che si aggirava sui 500 euro. Mi sono così imbestialita che ho preso le valige, le ho caricate nel mio Suv che finalmente ha trovato il suo perché, e 8 ore dopo ero a Milano e raggiungevo la pupa nella nuova abitazione. Mattina dopo ore 10 puntata all’Ikea per acquistare un pouff letto per ospiti eventuali, una libreria Billy colore rosso, un cuscino in piuma d’oca Gosa Pjini e una set di scatole per armadio, e ore 12 partenza per Bari.
Che dirvi, la mia piccola è lì da due settimane, mi manca da morire ma la sento 25 volte al giorno con la scheda you&me che ho provveduto ad attivare e in più tutte le volte che ha un urgenza, dalla lavatrice da fare al chiedermi se può mangiare le mele rosse che le ha regalato il vecchietto che abita accanto, “o mi succede come a Biancaneve?”
Cuore di mamma sua..
2 commenti
Bellissima descrizione live, per me un’esperienza passata, da sopravvissuti per fortuna…ed ora? Non so se sarai così fortunata, nel senso che fra cinque anni tua figlia potrebbe trovare un lavoro a “casa”, Nel frattempo infatti la sua casa sarà praticamente altrove. L’Italia non ama i suoi giovani così tanto come potrebbe sembrare. I miei sono uno in Tunisia e uno in Turchia, dopo numerose disillusioni e traslochi in Italia. Io non conosco le loro case all’estero, che sono ancora in condivisione con altri giovani professionisti emigranti come loro… Per fortuna hanno conservato i loro sogni…ma alle mamme, purtroppo, questa consapevolezza non basta per essere felice!
Una storia che ricorre frequentemente e che noi mamme (soprattutto quelle del Sud) dobbiamo affrontare con coraggio anche se perplesse.
Anch’io ho una figlia che parteciperà a più test di ammissione ( cinque per l’esattezza) per l’ingresso si spera ad una delle facoltà scientifiche della medesima città di Bari.
La scelta di partecipare a più bandi di ammissione alle facoltà universitarie, è resa necessaria per aumentare le possibilità di inserimento almeno verso una di queste, il che ha avuto un certo peso in termini economici.
Spero che in futuro questo discutibile sistema di selezione possa cambiare e che i giovani possano poter liberamente scegliere a quale corso di laurea iscriversi e riservare semmai la selezione sul campo di battaglia.