“New domesticity”, così è stata ribattezzata oltreoceano la nuova tendenza a ritornare al focolare e al “fai da te” at home.
Fra le prime a parlarne è stata Lisa Miller nel New York Magazine (“The Feminist Housewife”), in cui traccia il profilo e il bilancio di coloro che hanno scelto di lavorare a casa e da casa.
Si tratta di un fenomeno che sta dilagando non solo in America ma anche in Italia, dove sono tante le testimonianze, per lo più di donne, che si stanno muovendo in questa direzione con soddisfazione e convinzione.
Fra queste, vi sono donne che lavorano e che riescono a trovare spazio e risorse per dedicarsi ad attività di riscoperta delle cose “fatte in casa”: dall’utilizzo dell’aceto (miscelato spesso con aromi o altre sostanze) in sostituzione dell’ammorbidente, al pane fatto in casa magari con la pasta madre così da evitare lieviti industriali, alle conserve e marmellate fatte secondo le ricette delle nonne e molto altro. Non è più così inusuale neanche trovare vasi di pomodori, insalate o altri ortaggi sui balconi di casa, laddove pur non potendo avere e curare un vero e proprio orto, non si vuol rinunciare alla soddisfazione e al desiderio di produrre personalmente ciò che poi si mangia.
Vi sono anche donne che, per scelta o perché indotte dalle circostanze critiche sul fronte lavorativo, “hanno battuto in ritirata”, dedicandosi ad attività in casa, da cui talvolta ne è nata una nuova professione.
In questi ultimi mesi ho avuto modo di conoscere non poche donne che, insoddisfatte della propria condizione lavorativa, hanno coraggiosamente deciso per un’inversione di marcia dedicandosi ad attività domestiche che fino ad allora avevano costituito una passione o un interesse e da cui poi ne hanno tratto anche un lavoro.
Mi viene in mente Elena, intervistata per Dols, che ha lasciato l’avvocatura per dedicarsi al cake-design producendo fantastiche opere d’arte per eventi e amanti del buon gusto sia culinario che estetico; un’altra ragazza che, all’arrivo della sua prima figlia, costretta a lasciare il lavoro per il consueto e ingiusto ostruzionismo che si viene a creare in questi casi, non si è persa d’animo e ha convertito una situazione critica in un’opportunità, iniziando a creare un laboratorio di pasticceria at home, peraltro “molto più compatibile con una figlia piccola” di tanti altri lavori fuori casa, come lei stessa tiene a precisare.
Il ricordo va anche ad un’altra mamma che, all’arrivo della terza figlia, si è vista costretta a lasciare il lavoro di barista perché incompatibile con la gestione di una famiglia allargata e dopo un primo periodo di dedizione totale ai figli, ha deciso di ripartire recuperando la passione per la sartoria che le aveva trasmesso sua nonna e così con macchina da cucire, forbici, ago e filo, ha ripreso a creare piccoli oggetti originali e molto apprezzati, come anche lavori su commissione, riuscendo a integrare il lavoro con l’accudimento e la gestione dei figli.
Sono in molti a interrogarsi sul perché di questo fenomeno, che sembra interessare prevalentemente le donne. E c’è chi come Emily Matchar che nel suo articolo sul Washington Post si interroga se questa scelta possa trasformarsi da piacere in dovere e se dunque, aggiungono altri, non porti ad una regressione rispetto al faticoso e lungo percorso di emancipazione della donna.
Questo fenomeno segna il ritorno delle donne al ruolo di casalinghe?
Intanto cerchiamo di comprendere quali possano essere i motivi che hanno indotto molte donne in questa direzione.
In primo luogo, il ritorno alle origini e quindi al “do it yourself” nasce dall’esigenza di tornare alla semplicità e alla genuinità, nella prospettiva di scegliere cibi sani, di ridurre i consumi e di recuperare le tradizioni in risposta all’industrializzazione degli ultimi decenni. Ad oggi le persone sono molto più informate e consapevoli sul fronte alimentazione e salute e consapevoli degli effetti non sempre salutari e benefici dei prodotti industrializzati, preferiscono tornare alle tradizioni familiari, garanzia di genuinità, di sicurezza e anche di bontà.
Infatti è in crescente aumento la richiesta di prodotti biologici, il numero di aziende agricole e di contadini che vendono al minuto, come anche di gruppi di acquisto solidale (GAS). In molte città funziona anche il baratto, forse una delle più antiche forme di commercializzazione, teso proprio allo scambio di prodotti semplici e genuini.
Sicuramente anche la crisi economica dei tempi odierni gioca un ruolo importante, sia perché produrre in casa non è solo garanzia di genuinità ma spesso si accompagna anche all’opportunità di ridurre e contenere i costi, sia perché tante donne che scelgono questa nuova dimensione domestica sono spesso indotte anche da circostanze lavorative poco felici e gratificanti.
Non per ultimo, stare a casa ed eventualmente lavorare a casa implica anche ridurre o evitare costi aggiuntivi che si vanno ad aggiungere alle uscite familiari quando si lavora fuori casa, ovvero per la gestione dei figli (baby-sitter o dopo scuola), per la cura della casa, per gli spostamenti in auto, per l’abbigliamento da ufficio…
In conclusione, in un periodo storico e sociale molto critico e particolare in cui vi è stanchezza, delusione e disillusione generale verso il mondo del lavoro, verso le scarse opportunità e garanzie offerte alle donne e verso questa grande industrializzazione che nel corso dei decenni ha trasformato radicalmente l’alimentazione di tutti noi, sono in molte a optare per un ritorno alle origini e alla semplicità delle cose, a partire dal cibo fino ad arrivare alla gestione e creazione di prodotti per la casa, ai vestiti e così via.
Personalmente non vedo in tutto questo una regressione ma semmai un recupero di tradizioni e la ricerca di semplicità in risposta ad una vita frenetica e poco a dimensione umana.
Non per ultimo, per molte donne il ritorno a casa rappresenta un riscatto e un modo per ripartire in risposta a delusioni o frustrazioni lavorative, in una società ancora maschilista e svalutante nei confronti del potenziale femminile.
Non è allora che, in una prospettiva femminista, ancora una volta le donne si fanno portavoce di un malcontento generale e della necessità di cambiare rotta?
2 commenti
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Wow, come direbbero colà. Sarebbe fantastico, se questa fantastica scelta non riguardasse solo le donne. Stando così le cose, io la chiamerei ricollocazione della forza lavoro femminile e restituzione al vecchio ruolo.