Molti non capiscono come una persona di sesso maschile possa infierire con le parole e la forza fisica su altre portandole all’umiliazine ed all’ annientamento psico- fisico
Conosciuta per caso sul web, anzi rintracciata da un post su facebook.
Ho scoperto una bella persona ed una grande storia anche se dolente e l’ho intervistata.
Non ho voluto tagliare niente di ciò che ha raccontato perchè le sue parole danno la misura di ciò che molti non capiscono: come una persona di sesso maschile possa infierire con le parole e la forza fisica su altre portandole all’umiliazine ed all’ annientamento psico- fisico. Rivolta alle donne, ma soprattutto ai molti uomini che leggono dols.
Alessandra Sasha Arcoraci nasce a La Spezia, nel 1976, primogenita di un coppia, per l’epoca, stranamente assortita. La madre veniva dalla Repubblica Ceca, ma non era però della generazione delle “donne dell’est” che venivano a cercare fortuna, perchè era di buona famiglia, serena, e culturalmente lontana da quello che una volta si chiamava semplicemente “maschilismo”.
E tuo padre? La tua famiglia?
Mio padre, ma non amo definirlo così…, veniva dalla Sicilia, aveva lavorato spesso fuori confine, in Iran e Iraq, in Danimarca, in Francia, in Cecoslovacchia. Per un fortuito caso, La Spezia è a metà strada. I segnali che qualcosa non andava e che lui fosse particolarmente geloso non tardarono ad arrivare, ma mia madre al principio non li capì. Credo che la sua formazione e la cultura dalla quale proveniva non le consentissero di farsi un quadro chiaro della situazione. Io nacqui l’anno successivo a quello in cui si sposarono. Dopo di me, a soli tredici mesi di distanza, nacque mio fratello, e dopo qualche anno, un altro fratello.
Hai avuto un rapporto difficile con tuo padre?
Non so raccontare come si arriva ad essere annullati… ma tornando indietro i primi ricordi che ho di mio padre sono tutt’altro che belli, peraltro di belli… credo di non averne proprio. Scuola elementare, banalmente i primi tempi ” se porti dieci e lode ti do un bacino”… io arrivavo con i dieci e lode… i bacini presto finirono e io mi trovai incastrata in un gioco dal quale non sono ancora uscita “l’eterna dimostrazione“, non vali in quanto persona, ma in quanto puoi dimostrare al mondo quanto è bravo il papà ad aver creato una figlia così… Contorto? Non troppo. Quando si è piccole e femmine…. il meccanismo innescato non si spezza più. Era solo l’inizio però. Perchè allora ancora non vedevo ciò che accadeva fuori di me.
Ci sbattei di muso in terza elementare… un giorno che tornando a casa, all’apertura della porta, trovai macchie di sangue sul pavimento. Dovessi dirvi che cosa provai allora, non so. Provo ad immedesimarmi in quella bambina… ma non riesco… è lontana. Mi fa tenerezza e pena. Vorrei stringerla forte e proteggerla. Ma è lontana, e non lo posso fare. I primi tempi, forse fino verso i miei dieci anni, venivamo chiusi nella cameretta quando litigavano. Io sentivo le urla e i rumori. Mi sono sempre chiesta cosa sentissero i vicini di casa…………… Poi smisero. La tavola, la cena, erano spesso il momento in cui tutto iniziava. Dal nulla. Un birra calda. Un uomo in spiaggia che ha guardato mia mamma. Il postino. Il marito di un’amica (così vennero eliminate le amiche…). Il professore. Chiunque. O qualunque cosa. Iniziava con un’espressione della sua faccia, sedeva di fronte a me… ce l’ho stampata davanti. Una sorta di sogghigno, e poi via. Urla sempre più forti, insulti tremendi, di quelli che ti levano un pezzo di anima, costretta sempre ad essere in difesa su tutto, a giustificarsi del niente. E’ una meccanica che non si può spiegare. Chi mi dice che lei non ha reagito, che doveva difendere i figli, … non sa cosa dice. Io c’ero, ed io ero forte, l’unica di cui lui avesse paura, perchè ero più furba di lui, e anche se mi annullava, i miei libri mi salvavano, la scuola e la cultura mi lanciavano una liana. L’annullamento della personalità è la violenza peggiore, peggiore delle botte, perchè non ti consente di reagire. Ogni cosa diventa sopportabile perchè quella è la realtà. E’ come se oltre non esistesse altra possibilità, se non esistesse via di uscita, c’è una paura che ti immobilizza. E non è paura di qualcosa. E’ solo paura. Pura paura. Di tutto. Di niente. Non si possono raccontare i miei primi ventanni… sono fatti di milioni di episodi. Io non ho preso tante botte, sicuramente mio fratello, quello di mezzo, ne ha prese molte molte molte di più…, mia madre pure. Le botte arrivavano così.. perchè magari non aveva fatto goal… perchè non aveva marcato il giocatore.. perchè gli faceva male una gamba.. Io che ottenevo risultati splendidi nella scuola e nelle attività non venivo proprio calcolata. La mia borsa di studio delle medie semi sequestrata. Non era consentito comprare nulla. La mia amica del liceo mi passava le mutande che non le piacevano più… non è una bella scena? mi spiace per voi che la leggete, ma mi spiace di più per quella ragazzina adolescente che ora guardo da lontano. Mia madre prese botte per un maglioncino che mi comprò, costato 19.000 lire … le era piaciuto … me lo aveva preso. Ogni volta che l’ho messo sentivo la pelle bruciare. E oggi mentre ci penso, quella ragazzina piange dentro alle mie ossa. Violenza è fare il vuoto intorno a chi vuoi possedere, togliere piano piano le amicizie, vietare le telefonate o controllarle, controllare la quantità di denaro che hai nel portafoglio, obbligare a scrivere la sera tutto l’elenco di ciò che si è comprato. Violenza è dire che il prosciutto lo mangiano i maschi. Violenza è promettere ad una bambina di dodici anni che se faranno la giornata bianca e non la settimana, ce la farà andare… e poi vietarglielo la mattina stessa per il solo gusto di averlo vietato e dimostrare il proprio potere. Per la cronaca, mai andata in gita… e non per questione di denaro. Mia madre nel frattempo spariva piano. I confini all’epoca erano difficili da passare, non è come ora.. la comunità europea… c’erano difficoltà con i passaporti etc. etc…non si poteva nemmeno telefonare.. prenotavi la chiamata… e durava poco, perchè era costosa. Portò mia madre, dopo aver promesso che l’avrebbe fatto ogni sei mesi…, dopo sei anni… e poi altri cinque… a undici anni i miei nonni erano le cartoline e i giochi che spedivano. Ma qui giochi, vedendo come ci rendevano felici…., venivano sequestrati e buttati via.. perchè quei nonni non sono nessuno, e non li conoscete, e sono io che vi mantengo, e tua nonna ha il veleno nel sangue, come tua madre. La cecoslovacchia sempre nominata con disprezzo per sminuire mia madre e tutto ciò che era collegato. Non voleva che imparassimo la lingua… ( io lo facevo di nascosto con mia madre)…. Quando andavamo su, andavamo perchè lui aveva bisogno di prestazioni gratis… o vantaggiose, una tra tutte il dentista… I viaggi erano un incubo, progettato nei minimi particolari per renderci la “vacanza” indesiderabile, iniziava a litigare alla partenza, e il clima rimaneva pesante o insopportabile (erano botte) per tutte le quattordici ore del viaggio. E noi seduti dietro. Con lui che poi si girava, e chiedeva Eh, Eh.. chi ha ragione? …… Eh non rispondete eh? … e noi … noi tre… piccoli dietro, con lo sguardo perso, la bocca aperta senza suono, la paura… che succede ora?? E spesso succedeva… che tu non sapevi rispondere.. e allora toccava anche a te. Arrivavamo da mia nonna e lui ci aveva già messo in punizione.. non si esce e si sta chiusi in camera.. non potete parlare con nessuno… (sottointeso.. i miei nonni… e gli amici che nel tempo via lettera avevo..) … Oppure ci portava via… a correre… Già…. a correre… perchè io soffrivo d’asma.. ma sua figlia non poteva soffrire d’asma, li che sapeva tutto mi vietò la cura (che mia madre mi fece fare di nascosto), la cura era correre…. vi lascio immaginare. Lui diceva, si era fatto da solo, aveva capito tutto da solo, lui era come un dio, lui era un genio, nessuno poteva dire una cosa diversa. La balena è un pesce, chi l’ha detto agli scienziati che è un mammifero. Le ciliegie fanno i vermi perchè nascono dalle ciliegie. Solo due chicche… ma due di quelle che mi fecero prendere botte. A sedici anni mi obbligò ad uscire con un tizio, vantandosi di avermi dato un’educazione all’antica. Spiegai che il tizio voleva cose che io non volevo… lasciai il tizio… fui costretta a telefonargli e dirgli che io lo volevo.. ma che mio padre non voleva… e allora lo avevo lasciato, ma poi avevo insistito tanto… perchè lo volevo proprio…. Sciocchezza…. certo, una sciocchezza. Per te che leggi e sei un adulto. Io avevo sedici anni. A diciotto, mentre frequentavo la quinta liceo, trovai lavoro per il fine settimana, fu un caso. Abitavo sopra una discoteca, il titolare conosceva bene mio padre, giocando sul suo orgoglio e sui soldi, lo convinse a farmi andare. Facevo la barista. Mio padre colse la palla al balzo, e come faceva ormai da anni, si mise in mutua e usò i miei soldi per la famiglia senza lasciarmi nulla. Il venti per cento devi darlo a tuo fratello, il quindici per cento all’altro fratello, il resto… il resto veniva prelevato senza poter combattere. Le cose che mi venivano dette non si possono ripetere. E io intanto facevo tutto al cento per cento, per dimostrare sempre che ero brava. Che mi merito amore. Sono brava, faccio tutto, vedi, mi merito amore. In tutto questo la mia figura all’interno della famiglia era isolata e legata solo a mia madre, in una sorta di rapporto invertito, dove io proteggevo e consolavo. Dove io ero quella forte. L’abilità di questo genere di persone è tutta nel “divide et impera”. Creare atmosfere in cui la paura ti divide, perchè devi pensare alla tua sopravvivenza, ognuno per sè. Di lui non si parla. Del dolore non si parla. Della rabbia non si parla. Nemmeno oggi con loro ne parlo. E’ un tabù. Eppure guardo mio fratello, lo vedo vivere con quella rabbia di allora tutta compressa dentro, e quella tristezza di fondo che offusca la personalità e l’ esistenza. E chi lo conosce sa benissimo di cosa parlo. Certo, se fossimo stati uniti… saremmo stati quattro contro uno… strano pensarlo… oggi.
Come ne sei uscita?
Le vicende che mi portarono ad uscire da quella “vita” partono da mesi prima dell’evento. Una serie di violenze e sotterfugi, di discorsi che mio padre faceva di nascosto ai miei fratelli per deturpare l’immagine di mia madre e esautorarla di fronte a loro che crescevano…. Quella mattina io dormivo, ero tornata da lavorare alle cinque del mattino. Iniziai a sentire urlare. Sentivo mio padre rinfacciare a mio fratello di aver detto una cosa a mia madre. Cosa che avevo detto io, consapevolmente peraltro, pregandola di non usarla (non gliene faccio una colpa, sia chiaro). Ascoltavo. La situazione degenerava, sentii urlare. Ma ero abituata, non so come dirvi, la mia reazione era quella di rimanere protetta nel letto, e aspettare che finisse…. Poi mi alzai. Qualcosa scattò. Qualcosa si ruppe. Un io da dentro si fece sentire e disse basta. Incosciente. Totalmente incosciente. “Sono stata io. Io gliel’ho detto. E sono contenta di averlo fatto”. Non so come andò. Non mi ricordo null’altro. Mia madre era in terra, sanguinava. Aveva la faccia gonfia. Non capivo cosa era accaduto. Devi andare in ospedale. No. Devi andare in ospedale. No. Ti accompagno io. Ma… ( io avevo compiuto ventanni, ma a me la patente non era stato consentito di prenderla). Ti accompagno. Andiamo. Andiamo, prendiamo la macchina. Lei guida. Lui impaurito o forse meglio, smarrito davanti a quella sicurezza che non aveva mai visto in una delle sue vittime, provò a dirmi, lascia, la accompagno io. Risposi, per l’ultima volta, lascia tu. Aveva il naso rotto, da operare. Andiamo via. Torniamo dalla nonna. Io mi arrangerò, sì partiamo, la banca, la posta, i documenti. Lui che ci segue e noi immaginandolo cambiamo ospedale. Parliamo ancora di un futuro lontano da lì, una vita nuova. I miei fratellli se vogliono verranno, se no loro riusciranno a stare lì lo stesso, per loro è diverso. Io non rientro in casa. Un altro scatto di quell’io. Non sono mai più rientrata, per qualche giorno prima di partire vado dalla zia di una compagna di scuola. Dopo tre giorni trovo lavoro. Dopo un mese la casa. Mia madre si opera. Resta lì. Lui cambierà. Il mio letto smontato due giorni dopo. Damnatio memoriae. Figlia ingrata, dice a tutti. Dopo tutto quello che ha fatto per me e avermi pagato gli studi.. (pardon,…. non solo me li sono pagati… ma ho pagato anche le spese di casa)…
Qual’è stata la cosa più difficile da superare?
La cosa più brutta da superare fu la SOLITUDINE. Avevo ventanni, nessun amico. Non conoscevo la mia città. Non conoscevo le meccaniche sociali perchè ne ero sempre stata esclusa. Non conoscevo gli affetti, il rispetto. Conoscevo il bisogno, la fame, il buio, il freddo, il silenzio. E li conobbi meglio nell’anno successivo. A mia madre non era consentito vedermi, perciò veniva poco e di nascosto. Non aveva strumenti per aiutarmi. I miei fratelli… dimenticarono, o non capirono, o non vollero capire… ancora per anni.
Quali sono stati i risvolti psicologici?
Li lascio immaginare a voi. Anzi no. Ancora dopo tre mesi che vivevo da sola, tornata da lavorare correvo in casa e non uscivo più. La spesa solo al mattino, non si esce dopo le sei. E quando sentivo il rumore delle chiavi del portone a fianco al mio, per un attimo avevo un attacco di ansia come quando vivevo là. E quando sentivo il rumore di una panda sotto al terrazzino.. partiva la giustificazione di ogni movimento fatto nella giornata (a casa mi annusava, mi frugava nelle borse, nelle tasche, o improvvisamente decideva di non farmi andare alla riunione del giornale d’istituto,…), in automatico legavo i capelli. Ci ho messo parecchio tempo a dirmi: Ale, ma se tu vuoi, ora puoi uscire, puoi alzarti e andare a fare la spesa. Non vi dirò la sensazione che provavo mentre uscita dal supermercato camminavo verso casa, ed erano le sette e mezzo di sera… libera. Strano vero? per voi che vivete. Un anno dopo i miei rapporti con il mondo erano difficilissimi, avevo bisogno di amore e affetto, di sentirmi protetta e difesa, ma non ero pronta a legami seri, ero come una bambina che imparava l’affettività. Andai dalla psicologa. Mi spiegò che il mio trauma non era per l’amore perduto ma derivava tutto da mio padre. Mi ipnotizzò… ebbi un attacco di panico sotto ipnosi… o qualcosa del genere. Lo vidi. Vidi cosa avevo dentro.
Mi ci vollero settimane per riprendermi un poco, smisi di andare dalla psicologa (sbagliando) e decisi di chiudere quel mostro vorticoso e vorace, come un buco nero, dentro ad un armadio. Dove ancora sta, e da cui ogni tanto prova ad uscire… così.. se a volte mi sembra che quella bambina si qualcuno lontano da me.. improvvisamente… ricordo e mi manca l’aria. Come ora.
Ti senti segnata dlle disavventure avute? Pensi di non ruscire pù ad avere una vita normale?Ti sei sposata/convivi, hai avuto figli? Parli con loro?
Quello che accade tra le mura domestiche nella tua infanzia ti segna. Per sempre. E non si cancella. Mi spiace dirvelo… vorrei dirvi che poi passa tutto. Ma non è così. Convivo stabilmente da sedici anni, ho due figli, undici e cinque anni, la mia vita è piena e potrei dire serena nella sua normalità. Ma quelle ombre sono lì, in qualche mia reazione eccessiva, nel mio pretendere da me sempre la perfezione e nella frustrazione di non raggiungerla. Nel mio dover sempre dimostrare qualcosa, senza darmi valore a prescindere, nonostante la mia consapevolezza, perchè come leggete… ne scrivo. Nonostante ciò, ho raggiunto un mio squilibrato equilibrio, parlo con i miei figli, alla femmina, la più grande racconto e spiego, le spiego perchè pretendo da lei, le spiego cosa non deve permettere agli altri, la amo. Al maschietto cerco di insegnare l’amore e il rispetto per gli altri, per i bambini piccolini, per la sorella, per i compiti di casa. Non sminuisco la sua tendenza alla dolcezza, e non gli consento di mancare di rispetto a chiunque abbia di fronte. Con pregi e difetti credo di essere una madre nella media. Per me resta solo difficile scindere la severità utile da quella superflua e fine a se stessa, a volte temo di uscire e ho paura di rifare gli stessi errori. Ma non credo.
Crei che ua legge come l’attuale sul femminicidio, sia giusta? Le istituzioni ti hanno aiutato?
Parte sulla legge dopo aver letto tutto il decreto_
Molte sono state le persone che in un modo o nell’altro mi hanno aiutata. Ma nessuna nelle istituzioni. A quattordici anni chiamai il telefono azzurro… chiacchierarono con me.. ma soluzioni, nessuna. A sedici andai in consultorio, mi mandarono dallo psicologo… il quale mi disse che dovevo portargli mio padre……… devo commentare? A ventidue cercai casa per mia madre e mi sentii dire che era extracomunitaria. A trenta con mia madre fuori da casa, ci dissero che le violenze subite non si potevano più denunciare, erano prescritte… come ogni atto di violenza trascorsi due anni. A trentasette ancora vedo mia madre che non riesce ad ottenere il divorzio, che non riesce ad avere gli alimenti, che subisce controlli della finanza.. mentre lui no. A trentasette ho paura. Di nuovo. Che quando il tribunale deciderà, perchè ormai almeno d’ufficio, dovrà decidere…, in lui si risvegli l’orgoglio malato, non più il senso di possesso, ma l’umiliazione.
11 commenti
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Alessandra, la tua storia è un pugno nello stomaco. spero con tutto il cuore che le tue sofferenze finiscano così come i brutti ricordi sbiadiscano. purtroppo non si possono scegliere i propri genitori e tu sei stata sfortunata. sei nata da un uomo molto malato. quello che hai descritto non è un uomo sano. è molto probabile che a sua volta i responsabili di quella malattia del comportamento siano i suoi genitori ed il contesto socio-culturale in cui è cresciuto. di questo non ne fai menzione nel tuo racconto. qualunque sia il motivo, però, la sua condotta non è in alcun modo determinata da fatti oggettivi o dalle vostre responsabilità di figli o parenti. a volte i bambini maturano un senso di colpa di cui non riescono a sbarazzarsi facilmente perchè pensano che il genitore violento si comporta così a causa del proprio non essere all’altezza delle aspettative. nel tuo caso mi sembra non sia soggetta a questo meccanismo perchè hai esternalizzato e focalizzato le responsabilità. meno male. è difficile agire contro il proprio genitore, anche solo per istinto. ma è quello che devi continuare a fare. tuo padre vive una dimensione maschile deformata e non puoi sottostarvi solo per affetto e nemmeno per paura. in bocca al lupo!
Caro Roberto, non sono riuscita nell’intervista di Caterina a finire tutta la storia spiegando i risvolti emotivi di oggi.
Che fosse malato me lo sono detta tante volte, ma la cosa non mi dà consolazione nè allevia il dolore.
Il dolore “diretto” in realtà ha smesso di esistere quando sono andata via di casa. Tuttavia per molto tempo dopo quel giorno ho dovuto smaltire il senso di carcerazione e ricostruirmi, da sola. Non avevo un soldo da parte, perciò i primi tempi lo stipendio che prendevo mi bastava appena per le spese, e a volte non per mangiare, figuriamoci per divertirmi. Finii per accettare tutti i piccoli lavori che capitavano, lavoravo al bar di giorno, in discoteca la sera, uscita dal liceo con voti massimi mi rodevo di non riuscire ad andare all’università, davo ripetizioni, facevo pulizie.
Il lavoro mi aiutò a rimandare l’impatto con la solitudine. Una solitudine diversa da quello che immaginate, ero senza nessuno. E senza niente. Non odiavo quella vita, la libertà di respirare mi carezzava, ma la fatica fisica ed emotiva non mi hanno aiutato.
Spesso mi affacciavo alla mia finestra e un improvvisa lama si conficcava nel cuore, ma non piangevo. Non piangevo mai. Non ho pianto per oltre un anno.
I primi anni ogni 16 novembre rivivevo quella giornata, per non dimenticare. Poi smisi, il 16 novembre è il compleanno di mio marito… strana coincidenza.
Oggi non ricordo. In realtà non ricordo quasi nulla a parte pochissimi episodi, non ricordo le persone, non ricordo i volti. Con mio padre non ho mai più avuto contatti se non attraverso i racconti di mia madre (che ad un certo punto, prima che venisse via, le vietai). Per me oggi non è una persona o un’identità. E’ un qualcosa di nero che ho dentro, causa o concausa di moltissimi miei malesseri che gestisco in maniera ipercerebrale.
Non mi sono mai sentita direttamente o indirettamente in colpa verso mio padre, sapevo che noi non c’entravamo nulla. Il mio mirare alla perfezione era la ricerca di amore, rispetto, identità, ribaltati all’esterno… nei confronti di un allenatore, di un professore, di un amico. Io perfetta. Sempre. Ogni cosa al massimo, con naturalezza. E poi un’indole infermieristica che mi ha portato verso relazioni complesse, dove l’altro era “da curare nell’animo”. Forse una mia rivincita personale, dove non potevo arrivare con lui, ho provato con altri. Mi dici di non sottostare per affetto o paura… per affetto mai stata… a undici anni andai a confessarmi dal prete di paese, che divenne il mio psicologo d’emergenza, e gli dissi “odio mio padre” e non mi sento in colpa. La paura, che è il tema centrale di questa storia è ciò che è meno comprensibile dall’esterno. Perchè non essendo paura di qualcosa non ha definizione, è uno stato mentale distorto, di perenne allerta, e allo stesso tempo di accettazione dello status quo per l’assoluta incapacità di immaginare alternative.
Ti faccio un esempio, a me non era consentito fare la ceretta… una scemenza… oggi a volte sono io a non averne voglia (non lo dovevo dire…. ma dà l’idea), e portata in spiaggia… alla sera quando andavo a dormire, il primo sonno era dedicato ai desideri, … facevo fatica anche a sognarmi di riuscire a farmi quella benedetta ceretta…..
In un clima di prigionia mentale con una strategia perfetta che andrebbe studiata, vieni privata di sognare e immaginare un’alternativa a ciò che è la realtà che ti circonda, cioè lui e i suoi ordini, detti o sottointesi e per lo più, perfino previsti. Senza sogni non sei niente. Io lo combattevo da adolescente ragionando sulle sue chiavi di lettura… cercavo sempre di dirgli o rispondergli ciò che lui voleva sentirsi dire (talora era frustrante, ma mi ha salvata anche molte volte, almeno parzialmente.. perchè tanto se voleva dartele.. un modo lo trovava).
Ero matura nei miei ragionamenti, ho sempre ragionato fin troppo, è ciò che mi ha salvato e allo stesso tempo danneggiata. Non sono fuggita prima del 96 perchè non avrei avuto nessuna possibilità, non che quel giorno avessi calcolato qualcosa, ma ero grande…
Cos’è oggi quindi il mio dolore?
Non lo so. Sono i ricordi che affiorano ma che non vivo come miei, sono le difficoltà di mia madre ad avere ciò che le spetta, è la rabbia di aver fatto la fame quando potevo essere serena, perchè ventanni… non tornano più, è la rabbia di vendere mio fratello chiuso come un riccio, sapere cosa ha dentro di buono e di brutto e vedere che non riesce a tirar fuori niente, se non la paura di rimanere senza denaro (anche lui poi andò via e si trovò in difficoltà), è il pensare a quanto deve aver sofferto quella bambina nel passare dal complesso di Elettra alla protezione della madre rispetto alle violenze del padre.
E’ il pensare che i miei figli non hanno un nonno, cercare risposte alle loro domande. E’ il sentirsi orfana, senza famiglia dietro.
Perchè la famiglia che ti formi è un’altra cosa. Amo mio marito, amo i miei figli, abbiamo una vita normale con le difficoltà quotidiane di tutti. Ma non possono chiudere ferite che non hanno provocato loro. E’ una pura illusione dirsi che è così.
Il dramma di queste situazioni è così peggiore se ci sono bambini che crescono e diventano adulti. Perchè quella storia continuerà a vivere oltre il carnefice.
Quanto agli antecedenti di mio padre che potessero giustificarlo, credimi, la domanda me la sono fatta tante volte. Aveva dodici o tredici fratelli, ne ho conosciuti alcuni, lo sfondo culturale è quella della Sicilia di paese. Non lo dico per fare di tutta l’erba un fascio, ma perchè culturalmente in quelle zone il problema è più evidente. Ma il suo tipo di reazioni, nulla avevano a che fare con la cultura, che se pure pone limiti alla donna, ha tuttavia dei contraltari che noi non avevamo.
La legge dovrà tutelare queste donne e i loro bambini facendosi veramente forte e fornendo davvero sostegno e sussidio, le case protette rischiano di diventare carceri alla rovescia se mal gestite. Dovrebbero essere dati, almeno ai bambini, sostegni psicologici, per non creare altre alessandre, dovrebbero essere date alle donne certezze. Perchè è la mancanza di certezza e la paura di scatenare danni peggiori, che oggi tiene nell’immobilità le donne che subiscono.
Io sono stata fortunata, ho incontrato persone che hanno visto cosa facevo per vivere, che hanno apprezzato il mio modo di lavorare sempre al massimo, (ne ho anche incontrate che se ne sono approfittate..) e che mi hanno aiutata in fasi avverse. Ma me lo sono guadagnato. Ma, ripeto, nessuna istituzione mi è mai venuta incontro o ha ascoltato ciò che avevo da dire.
Grazie, infine, per il tuo post. Come uomo, tu, puoi fare molto. Se hai figli, se hai amici, amici dei tuoi figli. Trasmetti loro il senso del rispetto, che parte dalla condivisione, e dal rispetto delle differenze. Non ti sedere sul divano la sera se tua moglie non si è seduta (non prendermi alla lettera…, fai la tua considerazione su ciò che intendo dire).
Cara Alessandra è profondamente umiliante, per un uomo che non vuole rinunciare ad essere fiero di esserlo, condividere il genere con persone come tuo padre. mi permetto di scriverlo perchè dici di aver superato la fase del distacco emotivo. io so che c’è un modo diverso di essere maschio perchè lo vivo e lo vedo intorno a me. Mi chiedo spesso cosa possa rendere una persona così negativa e alla fine arrivo sempre al solito dilemma: genetica o ambiente ? o almeno in quale misura l’uno e l’altro. ovviamente non esistono risposte certe perchè è impossibile studiare con il metodo scientifico i comportamenti per decidere cosa è innato e cosa culturalmente appreso. c’è un elemento che mi sembra non secondario: la maledizione della superiorità fisico-muscolare maschile (almeno in media) che rende istintivo e impunito il ricorso alla violenza. se sai di avere la meglio in un confronto fisico può risultare difficile trattenersi quando perdi la testa. altro elemento centrale è l’educazione impartita dai genitori e i modelli appresi nel gruppo di riferimento dell’adolescenza. purtroppo continuo a vedere ovunque maschietti tirati su (anche dalle loro madri vittime e carnefici allo stesso tempo) con l’obiettivo di renderli forti, diretti, aggressivi. le leggi sono fondamentali per tutelare e riparare ma il vero cambiamento avverrà quando l’educazione dei bambini adotterà modelli bilanciati, rispettosi delle differenze ma paritetici nella dignità e nella libertà.
perfettamente d’accordo, penso sempre che gli uomini… sono figli di donne, in ciò la misura di quanto noi stesse siamo colpevoli…. so che ci sono uomini diversi, li ho conosciuti – resta nella maggior parte però quel senso di potere in più… mi viene in mente il telecomando.. il capotavola… piccole cose, ma il segreto è sempre nelle piccole cose, perchè quelle grandi fanno danni visibili… grazie per aver partecipato a questo post, sono uomini come te che possono avere una parte importante in questo processo che sarà lungo, come ogni cambiamento sociale…
Che bellissimo articolo e… terrorizzante, tanti tantissimi ricordi sono riaffiorati leggendolo.
Cara Alessandra, in un uncubo del genere ci ho vissuto per circa 30 anni, anche se mio padre non era geloso, era solo ciò che viene definito in inglese ‘an abuser’, una persona che dell’abuso di ogni tipo aveva fatto il suo stile di vita, un ossessionato del controllo. La parte peggiore è che crescendo in un ambiente del genere hai una visione distorta del mondo e ti ci vogliono anni per raddrizzarla, se mai ci riesci.
Le istituzioni non ti aiutano, mai. Ti dicono di sopportare… Così facendo, ‘normalizzano’ la situazione e fanno apparire te come la ‘strana’, quella che non si ‘adatta’.
Un giorno mi sono liberata di tutto… non si dimentica mai, è vero. Ma si può essere finalmente liberi.
Ti sono vicina, anche solo col pensiero. Auguri per il futuro.
Merlin
Merlin, hai ragione, non si dimentica ma si può essere liberi. Bisogna imparare a sentirsi liberi. E lì è la grande difficoltà.
Il mio futuro è già nella mia vita. Non vivo per lui nè per il male che mi porto dentro, pur non potendolo del tutto nascondere perchè la visione distorta del mondo.. un poco ti resta, anche se hai la forza di correggerla.
Credo che la cultura sia uno degli strumenti necessari, anche se non l’unico e non risolutivo, per riuscire, prima o poi… a ritrovare o costruire un io solido (magari un po’ bacato…) …
Ti resta eccome, concordo… E anche riguardo alla cultura, ho sofferto per anni della mancanza, ci sto mettendo rimedio solo adesso perché soltanto adesso sono libera 🙂
Verissimo ció che hai scritto a Giovanni, é la paura di certezze che tiene incatenate le donne a certi uomini… Mia mamma usava una frase continuamente “non saprei come fare ad andare via e provvedere a voi due”, quindi se mia mamma era in condizioni di essere aiutata economicamente avrebbe lasciato mio padre molti anni prima….
L’unica cosa é che la tua storia, come la mia, sono nel passato e abbiamo un futuro adesso…. Ma quante donne il futuro non l’hanno proprio visto?
e per questo dobbiamo raccontarlo, perchè chi è vicino a loro possa comprendere, immaginare, trovare gli indizi e aiutarle – noi che ci siamo passate o che ci passiamo lo sappiamo già cosa significa, e a chi non lo sa che dobbiamo spiegarlo.
perchè io avevo dei vicini di casa.
io avevo dei compaesani.
io avevo degli insegnanti.
io ho parlato con le istituzioni.
ma loro non hanno capito.
o non hanno voluto farlo, perchè era più comodo.
Raccontare quello che accade, ciò che genera, ciò che lascia, tentare di spiegare ciò che, al lato pratico è inspiegabile … è un’arma che abbiamo e dobbiamo usare. La legge non potrai mai essere completa e tutelarti sotto ogni punto di vista. Non da sola. Non basta crescere figli mediamente educati, in Italia il problema è sociale e culturale più che altrove. Lì bisogna agire. E gli uomini che capiscono hanno un ruolo importantissimo con i loro figli. Anche le madri però… c’è ancora qualche donna che commenta… che una donna non può essere violentata se non vuole… Ecco… lì la violenza, ce la facciamo da sole.
Leggo una storia di ordinaria follia umana e subcultura, direi. Quello che sempre mi colpisce non è la descrizione del soggetto protagonista (ce ne sono a milioni), quanto le ripercussioni sulle persone vittime di tanta violenza. La nostra amica descrive così l’attimo in cui lei ha finalmente reagito: “Un io da dentro si fece sentire e disse basta.” Il nostro Ego, se sano, prende il sopravvento sulle situazioni e le capovolge. Ma lei ha ragione quando afferma che le conseguenze della fase infantile non cesseranno mai di tormentarle l’esistenza. C’è un solo modo di procedere. Psicoterapia e seguire le nostre inclinazioni, quanto più possibile. E non sentirsi soli. Dico alla nostra amica che la sua storia, chi più chi meno, l’abbiamo vissuta in molti. Uomini e donne. Già, anche uomini. Scommetto che i suoi fratelli maschi stanno messi peggio di lei.
Gabriella… è proprio perchè queste storie sono tanto comuni e non raccontate che ne parlo, e non proprio per la prima volta.
Il mio trauma resta nelle piccole cose ormai, sono una donna adulta e consapevole di ciò che mi porto dentro così come della mia realtà odierna. Non mi autocommisero, nè ne parlo per autocompiacimento, quanto piuttosto per risvegliare nelle coscienze proprio quello che ha impressionato te… le ripercussioni sulle vittime.
Quell’io non sempre riesce a svegliarsi, o non sempre riesce ad avere un terreno che gli dia una minima speranza di poter riuscire a vivere anche fuori.
Ho sempre risposto che non fu coraggio il mio quel giorno, ma minor paura di quello che mi aspettava fuori che di quello che avrei vissuto dentro (ivi compresa una mia reazione, dato che rientrando non sarei mai più riuscita a ricominciare la giornata avendo azzerato il giorno prima).
Anche gli uomini. Sì, certo, anche i miei fratelli furono e sono vittime del quel gioco di potere e orgoglio.
Quando parlo di botte e punizioni parlo di palette di legno in un girotondo di minuti interi, di zoccoli di legno tirati, di sberle da far girare la testa, di calci, tanto più dolorosi quanto spesso totalmente immotivati. Parlo di aver dovuto bere un bicchiere di birra a quindici anni (della quale detestavo il sapore oltre a non aver mai amato l’alcool) per il solo fatto di dimostrare che lui aveva il potere di farmelo fare, di far mangiare una intera cipolla cruda ad un bambino perchè … non me lo ricordo il perchè….., parlo di mai una festa o un augurio di compleanno, o un regalo, anche piccolo, vissuto in serenità. Parlo di intere sere estive e mattinate a pulire cozze, quintali, perchè lui le scambiava con i salami, ore e ore, così tante ore da farmi odiare l’estate (da bambini).
I miei fratelli hanno due storie diverse tra loro, e con sviluppi opposti.
Quello malmenato e umiliato fino a farlo sentire uno zero completo, vive di rabbia, a vederlo sembra un incursore…, sarcastico, dedito al lavoro ai limiti del possibile, incapace di vivere aspetti positivi… il suo errore, per cosiddetta comodità essere restato in quella casa e aver continuato a giocare a dispetti con lui, senza rivolgersi la parola. ha continuato a fomentarsi la rabbia in un certo senso. Mentre io ho tagliato diciassette anni fa. E la mia rabbia è quella di allora e smaltita nel tempo.
L’altro, il suo diamante, il più piccolo, ne ha prese poche, e non ha vissuto tutto l’iter nostro con lo stesso coinvolgimento nè con la stessa maturità e consapevolezza, ha una sua visione dell’accaduto … e non puoi spiegargli la realtà. Per lui suo padre è suo padre, strano, ma suo padre. Ha vissuto piuttosto lo sfascio di una famiglia, dove ognuno ha trovato presto una strada serata dagli altri. E vive in un mondo egocentrico, “buddista”? , dove il tempo non esiste… i compleanni non esistono… l’amore forse nemmeno… Sì.. le conseguenze ce le abbiamo tutti e tre… e fa impressione vedere come, addosso, sono completamente differenti.