Se un viaggiatore capita a Yerevan non può fare a meno di recarsi al “Memoriale del Genocidio Armeno“, che sorge su una collinetta poco distante dall’agglomerato urbano.
Un luogo dove il silenzio amplifica l’orrore della storia, dove il senso di pace non pervade e dove la fiamma perenne accesa davanti l’ingresso fa venire i brividi.
All’interno ci si rende subito conto della pregnanza della presenza femminile. La gigantografia di Aurora Mardiganian cattura lo sguardo: definita “la Giovanna D’Arco dell’Armenia“, sopravvisse al grande massacro e fu portavoce delle vittime di questa guerra fratricida.
“Gli orrori dei nazisti vengono rievocati per non essere mai dimenticati e per evitare che l’umanità possa ricadere in simili abissi” ma l’orrore perpetrato al popolo armeno è labile nella memoria storica, è una strage dimenticata. Tra il 1915 ed il 1917 due milioni di armeni che vivevano nell’attuale Turchia furono deportati, un milione e mezzo morì per fame, torture e violenze. Gli uomini vennero uccisi tutti, invece, per donne, anziani e bambini si decise di non sprecare piombo ed energie: incolonnati vennero fatti marciare per giorni e giorni in condizioni disumane, verso false destinazioni, proprio per farli morire di stenti. Donne e bambine vennero quasi tutte stuprate.
Ma saranno queste ultime a far miseramente fallire l’intento dei turchi che era quello di cancellare per sempre ogni traccia del popolo armeno. Queste donne, grazie alla loro alta scolarizzazione e al loro coraggio, avranno la capacità di “conservare la vita” del proprio popolo. Con perseveranza hanno tramandato cultura, canzoni, proverbi, usi e costumi scrivendo, con una grafia minuta e ordinata, i loro diari. Guardando questi scritti, disposti in bell’ordine in uno spazio del Memoriale, si comprende come anche il semplice inchiostro può generare vita! Alcune di loro hanno scritto, giorno per giorno, la cronaca della deportazione e molte hanno sposato in seconde nozze gli uomini più anziani per garantire la sopravvivenza del loro popolo.
Come afferma Antonia Arslan: “Nonostante tutto, le donne armene hanno saputo tenere duro, senza arrendersi di fronte alle immani difficoltà che si sono trovate ad affrontare all’improvviso e senza aiuti esterni. Lo hanno fatto con l’amore di cui sono capaci, ma anche con l’astuzia, con la furbizia, mettendo insieme i fili e intrecciandoli tra loro, fino a far comparire, con la pazienza, il disegno del tappeto, per usare una metafora femminile come quella del ricamo e della tessitura”.
Quando si esce da questo Memoriale, dove le donne hanno legittimo rilievo, si ha una visione chiara del loro valore straordinario. Vengono ricordate non per le gesta eroiche individuali di qualcuna ma per la fierezza e la determinazione di tutte.
Non sappiamo se in quel fazzoletto di terra sotto i nostri occhi alcune strade di Yerevan siano intitolate a queste donne ma quassù, in questa costruzione di grigio cemento, è certo che hanno il giusto spazio e la meritata considerazione.
1 commento
Molto suggestivo e interessante!