Basta critiche, più supporti!
Ha fatto notizia la storia della bellissima Michelle Hunziker che a quattro giorni dal parto è tornata al lavoro. Non meno critiche erano state le accuse e le critiche per altre donne, più o meno famose o comunque figure pubbliche, che hanno ripreso in mano le redini del lavoro a poco tempo di distanza dal parto: è il caso della allora ministra Maria Stella Gelmini, dieci giorni dopo il parto di nuovo attiva alle prese con le questioni politiche, della ex-ministra della giustizia francese Rachida Dati, sulle scene pubbliche dopo cinque giorni dalla nascita della sua prima figlia, e come loro, di Marissa Mayer, CEO di Yahoo e molte altre.
Ciò che mi lascia molto perplessa, oltre che stupita, è che faccia notizia – per non dire “scandalo” – il fatto che una madre torni al lavoro subito dopo il parto, mentre non ci stupiamo e non ci lamentiamo del fatto che le donne siano tuttora lasciate sole a gestire la famiglia e il carico dei figli, spesso con difficoltà concrete e quotidiane, di non poco conto, per bilanciare famiglia e lavoro e non meno frequentemente, ritrovandosi dinanzi alla dura scelta fra l’una o l’altro (“aut-aut”).
Fintanto che si tratta di puntare il dito contro le donne con la presunzione di sapere cosa sia giusto o sbagliato, è lecito e tollerabile, mentre quando si tratta di supportare le famiglie e le donne nella gestione dei figli, allora l’attivismo e la partecipazione pubblica, sociale e politica si fa molto desiderare.
Perché in realtà non sono solo donne famose e con ruoli professionali e sociali importanti a tornare al lavoro subito dopo il parto, quindi mamme che, come molti possono pensare, “se lo possono permettere”, perché economicamente vivono una realtà solida e agiata. Purtroppo la realtà è molto più variegata e complessa. A parte le lavoratrici dipendenti, sicuramente molto più tutelate dinanzi alla maternità, esiste un mondo di donne che lavorano in proprio (artigiane, libere professioniste…) che pur non vivendo una situazione così tanto vantaggiosa, si trovano comunque a doversi muovere nella stessa direzione di Michelle Hunziker. E questo non tanto perché sono “mamme di serie B”, che “amano meno i figli”, che “non sentono il senso di maternità”, ma unicamente perché il lavoro in proprio, soprattutto laddove non sono possibili deleghe o sostituzioni (perché non ci sono colleghi a cui delegare oppure perché il rapporto con il cliente è individuale), non consente ritirate, neanche per un breve periodo. “Se stai lontano dai giochi, perdi”, questa è la politica del lavoro. E non sempre è possibile permettersi di sospendere il lavoro per ripartire da capo o quasi.
Secondo un’indagine Istat “Essere madri in Italia”, relativa al periodo 2005-2007, il 43,5% delle donne rientra al lavoro prima dei sei mesi e fra queste, nel Sud Italia, ad esempio, il 20% prima dei tre mesi. Inoltre il rientro al lavoro sembra correlato anche al livello di istruzione – rientro anticipato quando il livello è medio-alto e quindi presumibilmente associato a ruoli di maggior rilievo – e all’aumentare del numero di figli (tre).
Sicuramente oltre ai fattori indicati, giocano un ruolo fondamentale sia il tipo di lavoro svolto, come detto, ma anche l’opportunità o meno di supporti che possano favorire, per contro, un rientro anticipato.
Pertanto ritengo che giudizi assoluti e negativi, siano da evitare in quanto fini a se stessi, assurdi e nefasti. Semmai è opportuno un atteggiamento generale di maggiore tutela e comprensione nei confronti delle mamme, oltre che sicuramente dei padri. Infatti le donne che vivono la maternità sono già di per sé da considerarsi delle eroine nella misura in cui decidono di portare avanti il progetto di mettere al mondo e di crescere un figlio nonostante le scarse speranze e prospettive date da questa situazione critica generale e se poi si trovano anche a dover rientrare subito al lavoro, forse bisognerebbe prima di tutto capire il perché e semmai supportare questa situazione difficile sia sul fronte emotivo che concreto, in quanto molto spesso data da questioni di necessità più che di libera scelta.