19/10/2013. Mattino. Funerali di Lea Garofalo.
Quando parla don Ciotti si crea un silenzio compatto. Un silenzio attento all’ascolto e che intende farsi ascoltare. È il silenzio della cittadinanza attiva. Don Ciotti porta in sé il dolore della morte insensata, oggi, in particolare, la morte di Lea Garofalo. Ci si commuove, al suo appello si risponde con la promessa di agire, e il rimprovero tutt’altro che velato a coloro che, tra la gente e tra i politici, si rendono complici della malavita organizzata tacendo, avallando, negando, pesa come una pietra, com’è giusto che sia. Ognuno di noi deve sentire questa pietra che opprime il petto e chiede liberazione. Abbiamo un esempio già ben tracciato per questa via della liberazione. Le farfalle multicolori delle bandiere di Libera sventolate da centinaia di giovanissimi smuovono l’aria, fanno pulizia, indicano la corrente da seguire, in avanti, una sorta di Quarto Stato della legalità unito in tante schiere nel motto di questa giornata voluta da Denise, la figlia di Lea: VEDO, SENTO, PARLO.
Il violino suonato da una giovane accarezza gli animi. Non siamo in piazza solo per accusare, ma anche per creare un senso di vicinanza e di condivisione e, in piedi per due ore, prendiamo parte alla sacralità della cerimonia. Perché, signore e signori, c’è del sacro nel commemorare una donna che, come dice Denise, è “la mia giovane mamma uccisa per il suo coraggio”. La morte “È” sacra, dovrebbero saperlo i sepolcri imbiancati dei mafiosi che elargiscono donazioni alle chiese e intanto minacciano e uccidono.
19/10/2013. Pomeriggio. Intitolazione del giardino.
L’incontro è nel giardino di via Montello 6, davanti al fortino del clan dei Cosco. L’atmosfera è diversa rispetto a quella del mattino, quasi spensierata. L’evento è interamente gestito da ragazze e ragazzi di Libera. Canti, musica, recitativi… Sono presenti molti consiglieri di Zona 1, tra loro Elena Grandi che ha fortemente voluto la bonifica di questa ex discarica ora divenuta giardino. Non manca Lucia Castellano, una delle protagoniste dello sgombero del fortino della ‘ndrangheta, che nel 2009 aveva rapito e torturato Lea Garofalo per la sua attività di testimone di giustizia, bruciandone infine il corpo. Per il delitto il 30 marzo 2012 sono stati condannati all’ergastolo sei imputati, tra cui l’ex convivente Carlo Cosco, uno degli occupanti abusivi di viale Montello.
Nando Dalla Chiesa, che insieme a don Ciotti, al sindaco Pisapia e a Mario Calabresi (scelte emblematiche) il mattino ha trasportato la bara di Lea Garofalo, conclude il pomeriggio dicendo quanto fosse leggera quella bara che conteneva solo le poche ossa rimaste del corpo di Lea. Infine tutti sfiliamo davanti alla targa dedicata a Lea e lasciamo un fiore. Io ho lasciato anche il suo ritratto con i ringraziamenti di Toponomastica Femminile.
Avevamo appena piantato i bulbi di Lea. Li coltiveremo e coltiveremo soprattutto la memoria. Noi non dimentichiamo.