A pochi chilometri dalla cittadina di Pinerolo, in provincia di Torino, esiste la biblioteca Lidia Poët prima avvocata italiana
di Loretta Junck
Sono venuta qua a Porte, un piccolo e grazioso centro a pochi chilometri dalla cittadina di Pinerolo, in provincia di Torino, a cercare la biblioteca Lidia Poët. E penso che vorrei averla sotto casa una biblioteca di genere, così gradevole e ben fornita. Ma mi viene anche da riflettere che, anche quando siamo brave (e questa amministrazione femminile così attenta e presente lo è), anzi forse soprattutto allora, facciamo ancora fatica ad autolegittimarci.
Il fatto è che non la trovavo la biblioteca, perché non c’è insegna, né tanto meno un’indicazione segnaletica. Solo quando ci sei arrivata hai modo di sapere che accedi alla prima Biblioteca nazionale delle donne – fortemente voluta dalla Sindaca e dall’ex Assessora alla cultura diventata mamma da poco, ma oggi qui a fare ”gli onori di casa”.
La scelta del nome è un altro tocco di intelligenza e sensibilità.
La biblioteca è stata dedicata a Lidia Poët, valdese della Val Germanasca (nacque a Traverse, una frazione di Perrero), prima donna a laurearsi in giurisprudenza e prima avvocata.
Quando Lidia vide la luce, nel 1855, non erano trascorsi molti anni da che l’editto di Carlo Alberto aveva liberato i valdesi dal ghetto alpino dove erano stati confinati due secoli prima, dopo la fase cruenta delle persecuzioni.
La personale persecuzione di Lidia Poët, come donna di legge, sarebbe iniziata invece un quarto di secolo dopo, quando, dopo aver discusso la tesi di laurea sulla condizione femminile nella società, superato brillantemente l’esame di abilitazione e svolto il prescritto periodo di praticantato nello studio di un collega a Pinerolo, ebbe l’ardire di chiedere l’iscrizione all’Albo degli avvocati di Torino. La storia di questa donna coraggiosa e volitiva è abbastanza nota: tra le eccellenze femminili pubblicate sul sito FIDAPA, esiste un’approfondita scheda che ne analizza il curriculum.
Maria Grazia Pellerino, assessora all’istruzione al Comune di Torino e avvocata, ci ragguaglia sull’iter legale della vicenda, che all’epoca suscitò scalpore e la stampa diede molto spazio alla contesa tra innovatori e tradizionalisti.
«L’Ordine di Torino con decisione presa a maggioranza accolse la sua domanda. – scrive Pellerino – I due consiglieri che si opposero appartenevano uno, Spantigati, alla sinistra, e l’altro, Chiaves, alla destra … Il provvedimento dell’Ordine di Torino destò molte censure e i due consiglieri citati si dimisero … Il Procuratore Generale del Re impugnò l’iscrizione della Poët avanti la Corte d’Appello richiamando, della donna, “l’indivisibiità della sua persona dall’eventuale portato delle sue viscere e la def
icienza delle forze intellettuali e morali, fermezza, costanza e serietà”.»
In appello l’iscrizione all’Ordine fu annullata e la Corte di Cassazione confermò la sentenza di secondo grado.
Questo non impedì a Poët di seguire quella che era evidentemente una vocazione, perché «decise di dedicarsi alla difesa dei diritti non solo delle donne ma anche degli emarginati, dei minori e dei carcerati» (dal sito della Società di Studi Valdesi). Entrò a far parte stabilmente del Segretariato del Congresso Penitenziario Internazionale e nel 1922 presiedette il Comitato pro voto donne, fondato a Torino nel 1906.
Soltanto nel 1920, a sessantacinque anni, Lidia
poté iscriversi all’Ordine degli Avvocati, grazie ad una legge del 1919 che aveva permesso alle donne di accedere a tutte le carriere professionali, esclusa la Magistratura.
Oltre alla biblioteca di Porte, finora nella provincia di Torino soltanto una scuola l’ha ricordata, la Scuola Media Statale Lidia Poët di Pinerolo, e nessun Comune ha ritenuto opportuno dedicarle una targa.
Credo che le amministrazioni dei luoghi dove nacque, visse e operò (Perrero, Torino e Pinerolo) e dove avrebbe voluto poter esercitare la sua professione, dovrebbero deliberare una intitolazione stradale: un risarcimento simbolico alla memoria, una presa di coscienza istituzionale di un trascorso radicalmente discriminatorio, l’espressione concreta della volontà di voltare veramente pagina.