I genitori oggi più di altri tempi sono lasciati da soli nella crescita dei figli.
Come emerge dagli ultimi dati statistici, alcuni dei quali riportati anche da Lucina De Meco nel suo ultimo articolo “Donne senza figli” e da Lauren Sandler nel numero di agosto del Time intitolato “Having it all without having children”, sono in crescente aumento le coppie, magari con una relazione stabile e duratura, che optano per la soluzione “childfree”, ovvero liberi dall’impegno genitoriale.
Personalmente conosco non poche persone, uomini e donne, che optano per questa soluzione di vita, consapevoli e sicuri dell’intenzione di non avere figli e di non voler assumere alcun ruolo e compito genitoriale.
E come dargli torto!? Per quanto avere figli sia un progetto bellissimo, è altresì vero che è anche molto impegnativo su vari e diversi fronti.
Fare figli e soprattutto assumere la responsabilità di crescerli richiede molto coraggio e una disponibilità non indifferente ad investire in un progetto che di fatto non conosce fine, non è dato saperne gli sviluppi e soprattutto che ad oggi, comporta un investimento di energie, finanze e impegno che non trova né nella politica né nella società supporti validi, concreti ed efficaci.
I genitori oggi più di altri tempi sono lasciati da soli nella crescita dei figli. Viviamo in una società che, sia per tradizioni culturali sia per la forte influenza del cattolicesimo, promuove la famiglia e quindi la genitorialità, ma solo a parole, perché nei fatti ben poco viene fatto a favore e in aiuto delle famiglie.
In passato almeno si poteva contare sul supporto della famiglia allargata, la cosiddetta “famiglia orizzontale”, che costituiva una forte rete di aiuto e guida nell’accudimento pratico ed educativo delle nuove generazioni. Ma oggi, a chi possono affidarsi i genitori?
A parte pochi fortunati che possono contare ancora sulla vicinanza fisica e sul supporto pratico e talora anche economico e morale delle famiglie di origine, sono molte le coppie che si trovano a fare i conti solo con le proprie risorse. Perché gli asili ci sono ma ancora in misura esigua e inferiore rispetto alle richieste e l’opzione del privato implica un discreto impegno economico non sempre sostenibile e accessibile. L’alternativa tata non è sicuramente meno onerosa, quindi spesso scartata a priori.
Alcuni optano per la “tata alla pari”, con il proposito di poterla avere sempre a disposizione in cambio di una cifra forfettaria comprensiva di vitto e alloggio e la possibilità magari anche di insegnare ai piccoli un’altra lingua. Sorgono, però, anche in questo caso dei problemi di non poco conto: in primis, il fatto di riuscire a trovare contatti affidabili, perché si tratta pur sempre di trovare persone sicure e fidate a cui poter lasciare figli e casa (scusate se è poco!) e in secondo luogo, è comunque necessario disporre di un’abitazione con sufficiente spazio che consenta di ospitare un’altra persona pur preservando la privacy familiare… aspetto di non poco conto con i tempi che corrono!
Conoscono molto bene questa realtà le mamme italiane, molte delle quali, al di là degli studi e dei titoli conseguiti come anche della carriera svolta fino ad allora, si trovano costrette a dover lasciare il lavoro per dedicarsi ai figli.
Stando ai dati Istat, una donna su cinque lascia la propria occupazione dopo la maternità.
Sebbene qualcuna opti per la soluzione mamma full-time come scelta personale e desiderata; la maggior parte di coloro che abbandonano la professione dopo la maternità, si dice “costretta” da fattori contingenti.
Infatti avere figli non significa solamente dover sostenere un impegno importante sia a livello di risorse ed energie che economico, ma spesso implica anche un cambiamento in seno all’attività lavorativa. E questo riguarda soprattutto le donne.
Come scrivono Avivah Wittenberg-Cox e Alison Maitland nel loro libro “Rivoluzione Womenomics”, la carriera delle donne segue la “curva M”, ovvero la curva della maternità: ha un’ascesa fino verso i trent’anni, poi una battuta di arresto fino verso i quaranta, per poi, se vi sono le condizioni personali e ambientali e non si è ceduto prima, poter riprendere.
Questo che cosa significa?
Che a pagare il costo della maternità sono soprattutto le donne, in termini di opportunità di lavoro (se sei in un’età potenzialmente fertile, la ricerca del lavoro diventa ancora più ardua!), di carriera (l’uomo può contare su un andamento lineare non concesso alla donna) e di salario (incluso l’ammontare della pensione).
In un articolo del luglio scorso de La Stampa relativo ai risultati del Rapporto del consorzio interuniversitario Almalaurea sulla condizione occupazionale dei laureati italiani, emergono dati critici in riferimento alla condizione delle donne con figli. Infatti a cinque anni dal titolo risulta avere un’occupazione l’81% delle laureate senza figli contro il 69% di quelle con prole. Le differenze non finiscono qui: le seconde risultano penalizzate anche sul fronte retributivo, con un differenziale pari al 14%. E la maternità sembra incidere anche sull’ascesa professionale: fra le imprenditrici e libere professioniste, su cento donne la metà non ha figli (Francesca Zajczyk, “La resistibile ascesa delle donne in Italia”).
Non per ultimo, poiché la cura e l’accudimento dei figli continua ad essere prerogativa femminile, le madri che osano conciliare famiglia e lavoro in questo assenteismo generale di sussidi sociali e politici come anche di ancora scarso supporto intra-familiare da parte dei compagni, pagano il costo della genitorialità anche sul fronte della salute e del benessere personale.
Infatti per quanto avere figli sia bellissimo e “ripaghi di ogni fatica” (come molte donne sostengono), sta di fatto che il livello di stress a cui sono sottoposte le cosiddette “donne multitasking” o “acrobate” è molto alto. E a medio-lungo termine ciò può inficiare sull’equilibrio e sul benessere personale, con conseguente sviluppo in non rari casi di patologie e malesseri psico-fisici di diversa natura.
Allora i genitori di oggi, con le mamme in prima linea, si occupano di mettere al mondo, crescere e investire sulle nuove generazioni, che andranno a definire e determinare il futuro del Paese, ma senza alcun supporto sociale e/o politico. Probabilmente i genitori di oggi sono l’unica realtà imprenditoriale che non riceve finanziamenti e supporti, a differenza di tutte le altre imprese che in un modo o nell’altro cercano e ottengono almeno alcuni sussidi.
Pertanto non ci chiediamo perché il tasso di natalità sia in progressiva diminuzione, perché la risposta risulta ovvia.
Coloro che osano diventare genitori sono degli eroi, perché investono in un futuro che porta con sé l’unica amara certezza di non avere aiuti e supporti!