Un racconto di Natale regalato alle navigatrici e navigatori di dols da Antonio Turi
“Papà! Eccolo lì!”.
Lo strillo di Luca, mio figlio, 6 anni, mi perfora le orecchie proprio quando la commessa, dentro il negozio, in via Duomo, mi ha finalmente notato, fermo in silenziosa ammirazione davanti alla vetrina.
Tiro fuori il mio sorriso più ammaliante, cercando contemporaneamente di tenere fermo Luca, che mi sta tirando per la manica.
Niente. La commessa distoglie lo sguardo e si gira a parlare con una collega.
Pazienza. Comunque sicuro che torno e con la scusa di comperare qualcosa entro e vediamo che cosa succede.
“Eccolo lì chi?”, chiedo a Luca, staccandomi dalla vetrina.
“Babbo Natale!”, esplode lui, “Guarda, e lì!”.
Io torno a bomba sulla terra.
Ricordo che è per questo che io e Luca siamo usciti, insieme, questa mattina.
Per consegnare la letterina a Babbo Natale.
Non è che ne avessi molta voglia. Ma Laura, mia moglie, rompeva. Luca, di più.
Alla fine ho detto di sì, pensando che poi, oh, si poteva unire l’utile al dilettevole e passare da via Duomo, che quella commessa lì è una settimana che ci giro intorno e magari chissà, mi vede con un bambino e si sa come sono fatte le donne.
Strane, sono fatte.
Nel senso che nel vedere Luca, finalmente si decideva a parlarmi.
“Papà!”, strilla Luca.
Sospiro.
Seguo il suo sguardo e lo vedo.
È un Babbo Natale decisamente fuori misura. Una specie di colosso che non ha niente a che fare con l’immagine del povero vecchietto artritico e ucciso dalla stanchezza dei troppi viaggi.
Però a parte le dimensioni, ancora più evidenti visto che ci dà le spalle, è certamente un Babbo Natale. È vestito di rosso e accanto ha una vecchia slitta di legno completa di renne di cartone.
Mi dico che uno vale l’altro e quindi tanto vale togliersi il pensiero.
Per di più con questo Babbo Natale non c’è neanche bisogno di fare la fila, perché nonostante continui ad agitare il campanello non si ferma proprio nessuno.
“Andiamo!”, dico rompendo gli indugi.
Penso che se facciamo presto a consegnare ‘sta lettera possiamo anche tornare al negozio. Entrare pure.
“Dai su!”, incito Luca.
Lui non se lo fa ripetere due volte e parte di corsa. Ma non fa in tempo a fare due metri che Babbo Natale si gira. Sotto la barba bianca il volto è nero come il carbone.
Mi blocco perplesso.
Lo stesso fa Luca.
Mio figlio si gira a guardarmi. Chiaro che si aspetta che io dica qualcosa.
Nessuno ha mai parlato di Babbi Natale neri. Africani, per dirla com’è.
Io apro la bocca. Sto per dire qualcosa. Non so cosa, ma sto per dirlo. Sto ma non lo dico, perché intanto Babbo Natale ha agitato ancora il campanello e il suono ha ricatturato l’attenzione di Luca.
Mio figlio ha smesso di guardare me. È tornato a fissare Babbo Natale. Che gli sorride. Un grande sorriso aperto, gioioso.
Di colpo Luca supera tutti i suoi dubbi. Riprende a correre mentre Babbo Natale posa il campanello e allarga le braccia per accoglierlo.
In un attimo Luca e il Babbo Natale nero diventano una cosa sola. Giocano e scherzano. Fanno un casino incredibile.
Io ho sempre quella espressione deficiente sulla faccia.
Dentro, qualcosa mi dice di correre lì. Di strappare Luca dalle braccia di quel tipo.
Portarlo via.
Dirgli che no, Babbo Natale nero, manco per niente
Ma esito.
So che non sarà una cosa facile.
E mentre sto lì, intorno succede una cosa strana.
Qualche bambino comincia a fare resistenza ai genitori che vorrebbero trascinarlo via.
Poi un piccoletto si sgancia, svicola. Raggiunge a sua volta Babbo Natale.
La cosa mette le ali anche agli altri.
Insomma, tempo due secondi e ‘sto Babbo Natale qui diventa una bolgia di mani e letterine che si tendono.
E lui ha un sorriso per tutti.
Riesce a prendere in braccio addirittura tre bambini alla volta.
E quelli strillano di gioia.
Io guardo gli altri genitori, costernati come me.
Anche un po’, incazzati, forse. Perché in fondo se non era per Luca, questo nero qui non se lo filava nessuno.
Mi stringo nelle spalle.
Roteo gli occhi alla ricerca di un minimo di sostegno. Finché non incontro quelli di un vecchio dall’aria sorniona.
Lo guardo, stordito.
Lui sorride.
“Ha visto?”, mi dice, “Gli anni passano, ma alla fine il mondo è salvato sempre dai ragazzini”.