Racconto di Natale regalato alle lettrici di dols da Alessio Viola
Pasquale viveva su quel vagone da un paio d’anni, ormai. Periferia della stazione, dove i carri merci vanno a morire di vecchiaia, senza che nessuno si curi più di loro. Le luci perdono l’ossessività ripetitiva delle stazioni, una lampada ogni qualche centinaio di metri illumina le carcasse di carri che hanno trasportato per anni merci di ogni tipo, animali compresi. Il vagone che aveva occupato l’uomo era uno di quelli probabilmente. Lo aveva sentito la notte di due anni prima quando, proprio di questi tempi, sotto natale, si era deciso a trovarsi un posto fisso per dormire.
Da quando era stato licenziato non si sera mai fermato, avevo dormito in mille posti. All’inizio nello scantinato della casa che aveva con sua moglie, dopo che lei lo aveva cacciato in malo modo. Farsi la sua migliore amica in cucina mentre preparavano i dolci delle feste non era esattamente il modo di festeggiare il natale che una moglie per bene può accettare. Quella sera lui era bevuto più del solito, era stato buttato fuori da un lavoro cui aveva dedicato oltre venti anni, ma la crisi non guardava in faccia nessuno. Esuberante era sempre stato, in realtà. Scoprire di essere un “esubero” però fu un trauma. Aveva passato anni a produrre profitti per la sua azienda. Era un creativo: inventava slogan, formule commerciali, campagne per i politici che volevano darsi una risistemata di immagine, eventi e fiere. Un uomo brillante, ed era solo sui cinquant’anni. La crisi lo aveva travolto con la violenza incosciente di uno sciatore dilettante che imbocca una pista nera, durante le feste di natale, e le rovina alla sua e a molte altre famiglie. Comprese quelle dei soccorritori. I creativi erano diventati un lusso nel sistema economico politico, troppo costosi, e troppo inadeguati a riparare le falle nell’economia: non basta uno spot ben fatto per far vendere un prodotto, se la gente non ha un cazzo di soldi in tasca. Buttato via, senza che fosse riuscito a mettere da parte niente, aveva allegramente speso i suoi guadagni, e le feste e la casa e tutto il resto….sua moglie aveva atteso paziente che cercasse di uscire dal fango. Gli aveva concesso addirittura quasi tre mesi, la notizia del licenzia mento lo aveva colto alla fine delle ferie estive, anche se quell’anno se le era rovinate per un certo presagio, una sensazione che gli stava addosso come un maglione di lana in una sera di fine luglio.
E dire che stavano in costa Smeralda, come ogni anno da tempo immemorabile. Lui ci andava volentieri, sua moglie era raggiante ogni volta che atterravano ad Olbia e sulle strade dei ricchi e famosi diventavano parte del paesaggio. Quella era vita, altro che i condomini di case abusive sulle spiagge del Capitolo o del Gargano. Settembre nero, poi. Licenziato, aveva cercato di ripartire subito. Un giro affannato per quella che un tempo era “la concorrenza”, rivide in successione le facce di tutti quelli che gli avevano detto “quando vuoi, da noi c’è sempre posto per te”. Invece si ritrovò protagonista di quella vecchia canzone triste di Jannacci, triste come tutte le altre, “se me lo dicevi prima!”. Sembrava ogni volta di arrivare sul marciapiedi della stazione appena il treno era partito, era li lo potevi toccare ma non ci potevi salire sopra.
Tre mesi lunghi una vita. Sotto natale, e conservava ancora il suo fascino bastardo, questo si, non tutti ancora si erano resi conto di cosa gli stava succedendo. Si stava giocando la carta del sabbatico, aveva raccontato a tutti che lavorava su nuove idee, presto il mondo della comunicazione avrebbe avuto un protagonista di nuovo sulla cresta dell’onda. Ma certo scoparsi quella donna in cucina con la moglie nell’altra stanza non era stata un’idea brillante. I danni collaterali dei pranzi natalizi. Lei non aspettava altro, dunque affanculo e fine di tutto. Un paio di mesi giù nello scantinato, poi dovette andar via, lei non sopportava che i vicini commentassero ogni momento, nel portone in ascensore, quella bizzarra sistemazione dell’uomo, che ufficialmente era andato a stare laggiù per lavorare ad un nuovo progetto.
Da allora, la routine classica: prima nella case di amici, sempre più pochi e sempre meno disponibili. Poi da qualche vecchia amante, impietosita e contaminata dal virus del crocerossismo, che presto però si stancavano di un uomo che non solo non era tornato da loro per amore, ma che ogni giorno rivelava paurosi vuoti di tutto: di pulizia, di denaro, di prestanza fisica, di allegria. Che se ne fa una donna di un uomo così? La prima notte che dormì per strada la ricordava ogni momento. Non proprio per strada, a dire la verità. Si era sistemato su una panchina nel cortile dell’Ateneo, che aveva frequentato al tempo dell’essere giovani e belli, e con le speranze e tutto il resto delle cazzate. Era estate ormai, ed era bastato aggirare i controlli praticamente inesistenti, e sfruttare la conoscenza che aveva di quei luoghi. Si era sistemato su una panchina, li vicino c’erano pure i bagni ed una fontanina, aveva l’essenziale.
Era riuscito a sfangare quasi tutta l’estate, aveva l’accortezza di frequentare i corridoi e i seminari, le mostre e le conferenze, aveva un portamento dignitoso, facile scambiarlo per un prof o per un qualche professionista. Una notte di inizio autunno era stato scoperto, c’era una nuova ditta di sorveglianza, che doveva dimostrare di essere efficiente. Lo avevano offerto come scalpo al rettore, per dimostrare la loro bravura. Poi, la discesa senza freni. Androni di palazzi antichi senza portiere, case diroccate alla fine del lungomare in condivisione con tossici zingari scoppiati di ogni tipo, qualche volta nelle canoniche di preti di frontiera, altre sulle spiagge cittadine durante l’estate.
Prima del suo primo natale da barbone aveva provato la stazione, con altri disperati aveva scoperto le mille possibilità che dava loro quel posto. Treni in partenza la mattina dopo dove potevi passare una notte, casette di scambiatori e depositi di attrezzi e materiali. Poi quasi alla vigilia di natale quel vagone, molto più lontano di tutti gli altri, dove le luci finivano e i rumori dei treni in manovra non disturbavano, era lontano da tutto. Le prime notti ci aveva dormito e basta, si alzava presto e andava via, non voleva essere sorpreso e “bruciarsi “ quel rifugio. Poi, passato il natale, che è anche periodo di gran traffico ferroviario, piano piano si era organizzato. Aveva recuperato dai cassonetti della città tutto quello che gli serviva. Materasso, mobiletti, uno specchio, i cambi di biancheria periodici. Sembrava che in quella città tutti avessero fretta di disfarsi di ogni cosa, per rinnovarla. Avesse avuto una casa vera, si sarebbe trovato di fronte all’imbarazzo della scelta. Insomma non era niente male, ecco, quella nuova sistemazione. La mattina comunque si alzava presto ed usciva, non si sa mai. Non voleva che si notasse niente, stava troppo bene. Aveva recuperato sempre da un cassonetto una stufa a gas che funzionava una meraviglia, ogni tanto si procurava una bombola che poi trasportava nottetempo dopo averla parcheggiata tra cumuli di traversine abbandonate e montagnette di ferraglia, era la parte più pesante della sua nuova vita.
Non andava mai “a casa” per pranzo, o per cena. C’erano le mense delle chiese, dei volontari, la sera soprattutto organizzavano una mensa volante proprio davanti alla stazione. Comodissimo, cenava e dopo una chiacchiera con qualche africano se ne andava a dormire al caldo. Il Natale, così, era più sopportabile. Che poi, stava arrivando anche quest’anno, come sempre. D’improvviso, proditorio e vigliacco, un giorno usciva dalla stazione e si ritrovava sbattute nei denti luminarie e giocattoli, alberi di natale e regali, il cuore si riduceva ad una pezza stracciata, la gola gli faceva male per quanto piangere inghiottiva, e il cervello andava in fiamme per come avrebbe voluto ribellarsi. Ma non aveva assolutamente idea di cosa, chi perché e contro chi farlo. Passerà anche questo strafottuto natale, pensava. E questo pensiero lo accompagnava al sonno, quelle sera prima del fatidico evento. Il gruppo dei ragazzini stazionava davanti al Mc Donald’s di fronte alla stazione come sempre. Bei ragazzi, ben vestiti, i maschietti in bomber firmati, le ragazzine in pelliccette e prada ai piedi. Bravi ragazzi, tutti primi o secondi della classe. Nemmeno sguaiati, piuttosto raffinati. Le discussioni di quelle sere erano non solo sul natale, e su dove si festeggiava. Tutti aspettavano l’estate, la Sardegna era la loro isola, peccato che si incontravano sempre tanti baresi, era piena di architetti medici avvocati, e di creativi pubblicitari…madò le palle. Per fortuna che loro avevano posti segreti dove andare a sballarsi e a scopare…
Si era fatto tardi, stavano per sciogliersi, era pur sempre la vigilia di Natale,bisognava tornare a casa e sottoporsi a quel supplizio del cenone. Videro uno che rovistava nel cassone alto e giallo dei vestiti, che veloce si provava gli abiti appoggiandoseli addosso. Si muoveva con una certa eleganza, notarono le ragazzine del gruppo. E sceglieva solo capi di un certo tipo osservarono i maschietti, giubbotti e un cappotto lungo fino ai piedi. Lo videro allontanarsi con quel fagotto sotto il braccio, alla fine aveva tenuto solo il cappotto, loro erano ignoranti come capre, avrebbero saputo che si trattava di “cammello”, tipo Marlon Brando in Ultimo tango. Non ci fu bisogno di dirsi niente, bastò uno scambio di sguardi. Decisero di seguirlo, si era incamminato lungo il corso Italia, andando in contro senso rispetto al traffico. A distanza, il gruppo, che ora era di tre ragazzi e due ragazze, gli altri avevano preferito tornare subito a casa, seguiva improvvisamente silenzioso. L’uomo arrivò all’inizio del sottopassaggio stradale, una curva accanto al vecchio cinema Lucciola ormai chiuso nasconde quasi una porticina che dà sul retro stazione. La figura scura si infilò veloce, i ragazzi accelerarono per non perderlo di vista.
Da li si arriva poco dopo nella terra di nessuno. Occorreva essere prudenti e silenziosi, si mantenevano a distanza ma non potevano esserlo troppo, rischiavano di non vederlo al buio. L’uomo camminava a testa bassa, veloce e sicuro. Lo seguirono lungo binari e ferraglie, ogni tanto una motrice in manovra urlava da spaccare le orecchie, i rari treni della vigilia passavano portando gli ultimi viaggiatori all’appuntamento con il capitone. Videro l’uomo salire su un vagone isolato in fondo a tutto. Si avvicinarono. Decisero di salire, i maschi, dopo essersi scambiati sguardi e gesti di intesa, come fanno i commandos nei film e nei videogiochi.. Le femmine esitarono, poi anche loro fecero cenno di sì con la testa. Che cazzo quando mai avrebbero rifatto un’esperienza così? Tirarono di colpo lo sportellone scorrevole, l’uomo si girò verso il rumore, balzò di colpo in piedi, era seduto sul materasso. I cinque furono anche loro sul pianale del vagone, in piedi, schierati di fronte alla sorpresa, all’angoscia, alla paura di quell’uomo solo. “E’ natale! Auguri” gridò il capetto, ogni branco che si rispetti ne ha uno “Che cazzo volete!” l’uomo odiava i fighetti, e questi lo erano in ogni aspetto. Soprattutto odiava essere preso per il culo “Faccia di cazzo! Com’è…noi veniamo a farti gli auguri e tu rispondi male?” sempre il capetto, girandosi a raccogliere i sorrisi da bestie dei suoi amici. “Andiamocene dai…” la voce di una delle ragazze. “Questo sarà sporchissimo….già non si respira qui…capace che ci prendiamo un’infezione…” lo sguardo disgustato accompagnava l’allarme sanità appena lanciato. “Le infezioni le prendi tu, troietta! per tutti i cazzi che ti succhi ogni giorno!” l’uomo non aveva nessuna intenzione di intavolare un discorso di natale. Era il momento di far pagare a quei figli di papà tutto quello che gli era successo. “Nahhhhh…e cuss tr’mon? Ma vedi a questo… e come cazzo ti permetti?” era un altro dei ragazzi, ora. Il gruppo andava compattandosi, le esitazioni sembravano sparite dai loro volti. L’uomo afferrò velocemente un manico di piccone recuperato tempo addietro in un cantiere, lo teneva sempre accanto al letto, per autodifesa. “Sentite, andate affanculo velocemente, è meglio per voi. Sennò ve lo ricorderete sempre, il natale” La voce dell’uomo ora era calma, senza più rabbia.
Sapeva quello che andava fatto. Una delle ragazze fece un passo avanti. Abbassò la zip del giubbotto, sollevò il maglioncino di cachemire viola, non aveva reggiseno. Lo guardò con aria di sfida, senza parlare. L’uomo abbassò il braccio armato, erano anni che non vedeva una cosa simile. Se lo era dimenticato, tutto aveva rimosso. Il sesso non esisteva più per lui. I secondi scorrevano alla velocità dei decenni, sembravano non finire mai. “E com’è, vaffanculo a noi? Vaffanculo a te bastardo pezzo di merda!” l’urlo del capetto spaccò il silenzio sul mondo in mille pezzi di specchi infranti. Un calcio alla stufa accesa la fece crollare sul materasso, l’uomo si precipitò per toglierla da lì, il fuoco di colpo divampò su coperte secche e imbottiture sintetiche di piumini sporchi, che erano adagiate su uno spesso strato di cartone che faceva da isolante termico. Si attaccò anche alla manica del cappotto cammello dell’uomo, non se lo era ancora tolto, aspettava che il vagone si risaldasse. Cercò di rialzarsi per toglierlo. Un calcio nelle palle lo fece crollare di colpo, sul materasso in fiamme. I ragazzi presero al volo tutto quello che trovarono e glielo tirarono addosso. Un lume, mobiletti piccoli di legno, bottiglie vuote e bottiglie piene, un tiro al bersagli per costringerlo a rimanere sdraiato tra le fiamme.
Lo colpirono più volte alla testa, avevano una buona mira. “Via” fu il grido del capo, che era diventato di colpo un leader: come accade sempre, è nelle temperie di una lotta che si formano queste figure. Corsero via al buio, quei vecchi vagoni sono di materiali resistentissimi, tanti di loro hanno fatto pure la guerra. Ce ne sarebbe voluto fino a che non fosse andato tutto a fuoco. Riguadagnarono il corso Italia, erano quasi le nove, ormai non c’era praticamente più traffico. Per fortuna abitavano tutti in zona, fra piazza Umberto via sparano via Crisanzio. In pochi minuti furono a casa, miracolosamente nessuno di loro si era sporcato o graffiato o fatto male. Le tavole erano apparecchiate, si cominciava con le ostriche ovviamente. Al popolo dei cozzali erano riservate le cozze appunto, in quelle sere. E poi salmone, e ancora scampi ed aragoste….era la vigilia, tutto pesce, ci mancherebbe. Sentirono forte la nostalgia dell’estate, non vedevano l’ora che arrivasse. Sto cazzo di natale, e madò, che noi, sempre le solite cose. Non succedeva mai niente.