Più ore stai al lavoro, più dimostri così che sei bravo e quindi meritevole…
In Italia vige una politica lavorativa malata e mal funzionante che, nonostante i tangibili e tragici effetti presenti sotto gli occhi di tutti, continua a dominare: “più ore stai al lavoro, più dimostri così che sei bravo e quindi meritevole”.
In talune realtà, come in quella ospedaliera che ho avuto modo di conoscere direttamente in passato, a questa regola si aggiunge anche quella tacita ma presente che non conta tanto quanto e cosa fai, perché l’importante “farsi vedere” dal capo.
E purtroppo la situazione ad oggi non è migliorata. Anzi, la crisi ha portato ad un blocco di assunzioni e mobilità, per cui si fa leva solo sulle risorse interne aziendali – quando non licenziate o parcheggiate a casa con contratti di solidarietà – sfruttandole il più possibile con il ricatto implicito ma molto sentito fra i dipendenti, che se osi opporti o remare contro, rischi il posto di lavoro.
Risultato: ad oggi la giornata lavorativa “normale”, anche se di normale e umano ha ben poco, dura in media dieci ore (fatta eccezione per i dipendenti pubblici che ancora viaggiano su altri fronti), contro le otto massime che dovrebbero essere da contratto; gli straordinari non sono più contemplati e soprattutto pagati come tali ma dovuti e “ordinari”. Tutto ciò a spese dei dipendenti, sempre più stressati, demotivati e frustrati, e della qualità di vita.
Ma sicuramente gli effetti collaterali non si fermano qui: a farne le spese, sono le aziende stesse e quindi anche l’andamento del lavoro e dell’economia. Infatti lo sfruttamento delle risorse umane, perché di questo stiamo parlando, non porta benefici neanche nelle tasche delle aziende, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, in quanto l’eccesso di ore e tempo speso al lavoro e soprattutto la continuità logorante di tali ritmi portano inevitabilmente alla conseguente riduzione dell’efficienza e della prestazione lavorativa.
D’altronde questa non è una novità. Pensate ai bambini e ai ragazzi: in generale, quando sanno di avere una scadenza a metà pomeriggio (sport, musica o altro), è più facile che inizino prima a studiare e ottimizzino il tempo disponibile, per cui lo studio risulta proficuo; al contrario, quando sanno di avere tutta la giornata a disposizione, è più facile che disperdano le energie e “perdano” tempo.
Come ogni cambiamento, anche le regole del lavoro possono cambiare solo nel momento in cui vi è la presa di consapevolezza che questo tipo di approccio non funziona.
Anziché continuare a parlare in termini di tempo, laddove abbiamo visto che non è correlato a produttività bensì quando eccessivo, può risultare addirittura contro-producente, forse è il caso di spostare il focus su altri aspetti: risultati ed efficienza.
Claire Shipman e Katty Kay nel loro libro “Womenomics – scrivi le regole per il tuo successo”, parlano di “strategia della volpe”: lavorare meglio, anziché di più.
Nel loro libro, le autrici riportano quanto osservato da analisti economici e manager: “l’80% del prodotto utile, nel business, deriva dal 20% dello sforzo” (“Legge del minimo essenziale”). Tradotto in altri termini, ciò significa che l’80% del tempo viene speso per attività improduttive. E questo, inutile ripeterlo, va a discapito sia della produttività e quindi dell’utile dell’azienda ma anche della motivazione ed efficienza del lavoratore.
Allora cosa sarebbe auspicabile fare?
In primis, non tanto e non solo i lavoratori ma soprattutto i vertici e il mondo del lavoro in generale, dovrebbero resettare la strategia di attacco e concepire e misurare il lavoro in termini di produttività e risultati raggiunti.
Questo consentirebbe due effetti che si auto-alimentano a vicenda: da una parte, una maggiore autonomia dei lavoratori, intesa in termini di libertà ma anche e soprattutto di responsabilità; dall’altra, maggiore motivazione e gratificazione, che costituisce un propulsore importante al lavoro e soprattutto al lavoro efficiente.
In secondo luogo, quanto detto dovrebbe portare ad una maggiore flessibilità: poiché l’essere umano non è un robot e proprio per questo, vi possono essere giorni particolarmente proficui ed altri decisamente meno e poiché la vita delle persone fortunatamente non si circoscrive e non riguarda solo il lavoro, forse sarebbe decisamente più proficuo lasciare maggiori margini di auto-gestione, fermo restando il raggiungimento del traguardo prefissato nei tempi ragionevolmente concordati.
Un terzo aspetto riguarda la necessità di lavorare e funzionare per obiettivi, in virtù di una lista di priorità che consenta di canalizzare le energie e il tempo, risorse preziose, verso ciò che è urgente e/o più importante e quindi ottenendo un rendimento maggiore del tempo utilizzato.
A tal proposito, Shipman e Kay ricorrono alla metafora della volpe, animale noto per essere furbo e astuto perché capace di “fiutare le opportunità migliori, il che permette loro di cacciare le prede con uno sforzo minimo” (ibidem).
E in questo, perdonatemi, ma quelle che hanno ancora da imparare sono le donne. Gli uomini, forse in virtù di un cervello maschile che funziona con una “visione a tunnel” e quindi più settoriale e meno multitasking, riescono più facilmente a concentrarsi su un’attività alla volta. Al contrario, le donne, sia per un cervello predisposto a poter portare avanti più cose contemporaneamente (multitasking) sia per la maggiore difficoltà che incontrano nel dire di “no” e per la spinta a rendersi utili e a prodigarsi per gli altri, se non per ultimo per il fatto che continuano ad occuparsi principalmente di tutto ciò che riguarda famiglia e casa, tendono a funzionare con “tanti (spesso troppi) file aperti” e questo implica una forte ed inevitabile dispersione di energie mentali, con conseguenti effetti a cascata sull’efficienza e sulla produttività, oltre che sul livello di stress.
In sintesi, come oramai la psicologia cognitiva sostiene da tempo, il comportamento, e quindi anche i cambiamenti, degli esseri umani dipende dalla loro mente e soprattutto dalle loro convinzioni: fintanto che non cambiamo modo di concepire il lavoro, continueremo a perseguire i binari sbagliati, con tutto ciò che ne consegue.