Novantaquattro anni: una vita lunghissima, trascorsa in quel segno di anticonformismo e indipendenza.
Questa tendenza era già apparsa in fase embrionale nei primissimi anni dell’adolescenza successivamente sviluppatosi non solo nei comportamenti
e nelle scelte esistenziali, ma palesato anche e soprattutto per mezzo della scrittura, sua vera passione.
Così era Doris Lessing, scomparsa nel sonno a Londra la mattina del 17 novembre 2013
Insignita a sorpresa del Premio Nobel per la Letteratura nel 2007 (il candidato favorito era allora Philip Roth) per la sua figura di “cantrice dell’esperienza femminile che con scetticismo, passione e potere visionario ha messo sotto esame una civiltà divisa”, ha subito stupito tutti commentando l’onorificenza con poche, taglienti parole: “Visto che non possono assegnare il Nobel a un morto, penso semplicemente che abbiano scelto me perché temevano morissi prima di avere un’altra occasione”.
I genitori si trovavano in Persia (il futuro Iran) al momento della sua nascita, avvenuta il 22 ottobre del 1919 a Kermanshah. In seguito la famiglia si trasferì nel sud della Rhodesia (l’attuale Zimbabwe), dove Doris rimase per
29 anni.
Non ebbe timore di precorre i tempi: quella di Doris Lessing fu a tutti gli effetti una sorta di corsa contro il tempo. A soli 15 anni decise di abbandonare gli studi, optando per una scelta autodidatta e a 19 si sposò con Frank Wisdom a cui diede due figli, che presto abbandonò per aderire al Left Book Club, un gruppo formato da intellettuali comunisti e socialisti guidati da un carismatico leader tedesco, Gottfried Lessing. Con lui fu amore a prima vista. I due convolarono a nozze e Doris partorì il suo terzo figlio.
Qualche tempo dopo, essendo rimasta profondamente delusa dal movimento in cui aveva creduto così tanto, non esitò a gettare alle ortiche anche anche questo matrimonio per traslocare a Londra insieme all’ultimo nato, Peter. Dalla
capitale britannica non si sarebbe più mossa.
Doris Lessing è stata sempre considerata un’icona del femminismo – persino in un’epoca in cui questo concetto appariva nebuloso, sfumato, indefinibile – definizione, questa a cui l’interessata si è puntualmente ribellata affermando
di voler solo raccontare storie comuni di individui altrettanto comuni.
Mal sopportava l’immagine stereotipata della donna moderna “sfacciata, ma anche bigotta”, ammettendo invece che gli uomini, dal canto loro, stavano visibilmente perdendo terreno nella lotta per la parità dei sessi, non riuscendo più a tener testa alla valanga femminile: “Dovrebbero ricominciare a farlo, essere all’altezza”, andava ripetendo.
Lei non aveva certo alcun timore a mostrarsi in pubblico nella sua complessità e con le sue stesse contraddizioni. Era sincera, diretta, anche scomoda, forse ma certamente granitica nelle certezze che nutriva e che trasferiva anche nelle pagine stilate con impressionante lucidità.
Scrisse novelle, poesie, drammi e 55 libri, tra cui L’erba canta (1950), Sotto la pelle (1994), Il senso della memoria (2006). Il vero capolavoro resta tuttavia Il taccuino d’oro (1962), riconosciuto universalmente una “bibbia del
femminismo”, malgrado le sue proteste.
I libro narra la vicenda di Anna Wulf, scrittrice compulsiva che per la riconosciuta impossibilità si sintetizzare la globalità del sapere, si riduce a compilare contemporaneamente più diari suddivisi in sezioni. “E’ una donna che
vuole vivere come un uomo”, raccontava di lei la sua creatrice, “ma oggi le donne sono presuntuose, farisaiche, spaventano gli uomini”.
Doris Lessig non ammetteva repliche: “Il femminismo di una volta, quando le mdonne non avevano neppure il diritto di voto” era per lei superato, estraneo a ogni possibile obiettivo concreto.
Inutile e infruttuoso, dunque, il tentativo di autoaffermazione femminile attraverso l’imposizione si sé, come “molte donne al potere che assumono atteggiamenti molto maschili”.
Eppure i messaggi celati nei meandri della scrittura e radicati nella fitta trama delle narrazioni che ha lasciato rimandano a un’immagine che impossibile scindere dalla reale essenza del verbo femminista. Lei stessa, con il suo piglio di donna libera da qualsiasi restrizione politica, sociale o culturale ha provveduto a trasmettere un’eredità inequivocabile, che impossibile ignorare.