Il nome di Mariangela Marangon, è presente nelle intitolazioni del comune di Rosolina in provincia di Rovigo
di Giulia Penzo A cosa mi avrebbe portato Toponomastica femminile non l’avrei mai immaginato. È stato per caso, grazie all’incontro con una donna forte e volitiva, fondatrice del progetto di Toponomastica femminile, che ho iniziato insieme con altre volontarie a fare i censimenti nella mia regione per rendere palese la discrepanza tra il numero delle vie intitolate alle donne e quelle intitolate agli uomini. Sono così poche queste strade “al femminile”, nel Veneto come in qualsiasi altra regione, che qualsiasi nome insolito, non rientrante nella categoria “Sante e Madonne”, balza subito agli occhi. È così che sono rimasta colpita dal nome di Mariangela Marangon, presente nelle intitolazioni del comune di Rosolina in provincia di Rovigo, un paese vicino alla mia città di residenza. Come toponomasta ti rendi subito conto di quanto gli occhi siano collegati al cuore e alla mente e di quanto il “caso” conti poco, quando c’è una volontà profonda di narrare una storia dolorosa. Succede così che attraverso una serie di ricerche anagrafiche riesca a risalire ai familiari di Mariangela Marangon, ancora vivi e residenti a Rosolina, con i quali fisso un appuntamento. È una giornata calda a Rosolina, dove m’incontro con la bella famiglia di Mariangela: la sorella maggiore, Guidina, di sei anni più grande, il fratello Gianni e la nipote ventinovenne Angela, che porta lo stesso nome della zia, ma non l’ha mai conosciuta. Comincio a raccontare di aver saputo della strada dedicata a Mariangela grazie alla Consigliera di parità della provincia di Rovigo, che, per il mio lavoro di censimento all’interno del gruppo di “Toponomastica femminile”, mi aveva inviato i dati di tutte le intitolazioni femminili della provincia Mariangela è stata una delle 85 vittime della strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980. Guidina e Gianni ricordano che l’idea di chiedere ai comuni di intitolare le strade ai caduti in quell’infame atto terroristico era stata dell’Associazione dei familiari delle vittime, il cui presidente, Torquato Secci, aveva perso un figlio nella strage. Gianni lo ricorda distrutto dal dolore e con il cuore a pezzi per la perdita del figlio, ma spinto da una grande forza alla ricerca della verità. Il Comune di Rosolina, con l’allora sindaco Ermenegildo Ghezzo, accolse la richiesta di dedicare una strada a Mariangela, ma fu solo nel giugno del 2008 che il primo cittadino Franco Vitale con una manifestazione pubblica inaugurò la strada. Tutti in paese ricordano Mariangela, una bellissima ragazza, intraprendente e piena di vita. Aveva lasciato il corso di ragioneria per cercare lavoro. E finalmente le si era presentata l’opportunità di lavorare come baby sitter, presso una ricca famiglia di Bologna. Ogni settimana, il sabato pomeriggio tornava a casa dai genitori, ma quel sabato, la madre dei bambini che accudiva era rimasta a casa e lei aveva anticipato la partenza al mattino. La signora si era offerta di accompagnarla al treno, e Mariangela, scesa dall’auto, si dirigeva verso il sottopassaggio. Forse se fosse entrata nel sottopassaggio si sarebbe salvata! Erano le 10.25: l’orologio della stazione segna ancora quell’ora, e una lapide accanto porta la scritta “vittime del terrorismo fascista”. Guidina ricostruisce i momenti concitati di quel giorno. A Rosolina, appena saputo dell’esplosione alla stazione di Bologna, Guidina decide di correre sul posto insieme al marito, sperando di trovare Mariangela incolume. Ma quello che si presenta ai loro occhi supera qualsiasi immaginazione: sembrava proprio uno scenario di guerra! Riescono a entrare nel cordone che già sbarrava il luogo di morte, presentandosi come familiari. Il corpo di Mariangela era già stato recuperato e identificato grazie ai documenti che portava con sé. Guidina vuole portare lì i genitori, perché la vedano per l’ultima volta. Qualche giorno dopo ci furono a Rosolina i funerali privati: Guidina ricorda che il padre volle aprire la bara per accertarsi che al posto della figlia non ci fosse un’altra povera vittima. Il corpo di Mariangela non era stato deturpato dall’esplosione, che fu invece devastante per tanti altri: addirittura il corpo di Anna Fresu non venne mai trovato, perché pare fosse seduta accanto alla valigia contenente l’esplosivo. Per le famiglie iniziò un vero calvario alla ricerca della verità. Questa ricerca purtroppo non si è fermata nemmeno dopo la sentenza che ha condannato i terroristi neofascisti, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, oggi liberi dopo avere scontato rispettivamente diciotto e sedici anni di carcere. Dopo un po’ ci raggiunge anche la mamma di Mariangela, una signora magra e vestita di nero. Temo di ridestare il suo dolore. Mamma Nela è appena tornata dal cimitero dove riposano Mariangela e il babbo. Lei ci va ogni giorno, a trovarli, come ogni anno va alla manifestazione in ricordo della strage di Bologna. L’anno scorso non ci è andata, perché era caduta dalla bicicletta e si era rotto il femore. Vuole assolutamente darmi una foto di Mariangela. Mi racconta che il nipote andrà ad abitare proprio nella strada che porta il nome della zia, confidando nella sua protezione. Intanto un altro nipote è in arrivo. Guidina mi saluta con un abbraccio, accompagnandomi al cancello. La vita continua, la memoria rimane: ne è testimone la piccola targa intitolata a Mariangela Marangon. Ho invitato la famiglia al Convegno di Toponomastica femminile che si terrà a Chioggia il 23 novembre: la nipote Angela mi assicura che verrà.