Il Cile sta cambiando. Profondamente, radicalmente, sia sul piano socio-culturale che su quello politico.
E in questo ampio processo di respiro globale le donne giocano un ruolo imprescindibile e inequivocabile, emerso in
particolare nel primo turno delle tanto attese elezioni presidenziali.
Gli elettori chiamati al voto lo scorso 17 novembre hanno espresso il forte desiderio di rinnovamento premiando con la fiducia due donne determinate a tenere alta la bandiera femminile che, benchè appartenenti a fazioni politiche
opposte si scontreranno nel ballottaggio conclusivo previsto il prossimo 15 dicembre.
Si tratta della 62enne Michelle Bachelet, socialista con precedente esperienza alla presidenza del paese che ha raccolto il 46,8 % dei consensi e della 60enne Evelyn Matthei, in corsa per il centro destra Udi-Rn con una quota
percentuale di preferenze pari 25,1% dei voti.
Ironia del destino, entrambe le candidate risultano figlie di generali dell’aeronautica. Mentre però il padre di Michelle venne ucciso per ordine del regime di Augusto Pinochet, quello di Evelyn ricoprì con un certo successo l’incarico di ministro della giunta militare.
Due figure femminili altamente carismatiche, quelle di Michelle ed Evelyn, capaci di infondere credibilità e fiducia nella popolazione cilena sempre più avida di riscatto e riconoscimento in seno alla comunità mondiale.
“Non ci sono due letture possibili “, sono state le prime parole pronunciate dalla Bachelet subito dopo la vittoria parziale. “Abbiamo vinto queste elezioni, e con ampia maggioranza. Sapevamo che era una sfida complessa e difficile, e abbiamo fatto uno sforzo enorme. Da questa sera lavoreremo per ottenere nel secondo turno una vittoria decisiva per l’attuazione del nostro programma”.
“Possiamo farcela” è stato invece il commento a freddo della sfidante Matthei, per nulla turbata dal risultato ottenuto che la penalizza rispetto alla rivale. “Cominceremo da subito, non c’è un minuto da perdere. E vinceremo.
Ci sono grandi differenze con la sinistra e saranno visibili nei prossimi 30 giorni. Loro dicono che bisogna distruggere tutto e partire da zero con una nuova Costituzione… Noi crediamo che siamo riusciti a costruire un Paese solido, che bisogna migliorare”.
Nel contesto di queste nuove elezioni presidenziali cilene così cariche di aspettative si muove tuttavia anche una nuova generazione di attiviste, nella quale spicca senz’altro la figura della 26enne comunista Camila Valejo, che si
è già assicurata un seggio in Congresso.
Nota per aver guidato in passato l’associazione studentesca dell’Università del Cile, organizzando gli ingenti cortei che nel 2011 hanno paralizzato il governo (fungendo in tal modo da esempio per altre successive mobilitazioni
internazionali della classe media), Camila intende adesso penetrare nel sistema politico stesso per tentare realmente di apportarvi mutamenti sostanziali:
“Dobbiamo lottare su entrambi i fronti” ha ammesso. “Non basta dire che le cose non funzionano. Crediamo che sia necessario cambiare il sistema dall’interno quanto dall’esterno“.
L’altro profilo altrettanto interessante che emerge dalla competizione elettorale in corso è quello della giovanissima anarchica Melissa Sepulveda, 23 anni appena, leader indiscusso dell’ancora influente associazione studentesca degli universitari cileni. Meno diplomatica della sua quasi coetanea Camila, Melissa non usa mezzi termini nell’esporre il proprio programma politico: la sola alternativa possibile per riuscire a ribaltare davvero completamente l’attuale modello economico del paese, in vigore dalla dittatura di Pinochet, è la rivoluzione. Una rivoluzione che per condurre a risultati apprezzabili deve però assolutamente partire dal basso, dalla riforma della scuola e dell’università. Le promesse di riforma e risanamento avanzate da Michelle Bachelet non possono bastare e non ha difficoltà a riconoscerlo. Per questo “L’anno prossimo ci saranno nuove proteste. I giovani e le giovani cilene sono determinate a riprendersi la scena”.