Bianca Zocche, una carriera nella comunicazione in aziende nazionali e multinazionali, mamma di tre bambini, con l’arrivo dei figli si è trovata a dover fare delle scelte.
Quando hai capito che la tua vita professionale era arrivata ad un bivio?
Con la nascita della nostra terza figlia. E’ risultato evidente che – non potendo contare sul supporto di famigliari vicini – il mio lavoro, che per contenuti e responsabilità implicava lunghe ore di lavoro in ufficio e frequenti spostamenti all’estero, difficilmente si conciliava con il progetto di famiglia che mio marito ed io condividiamo. Pur lavorando all’epoca in una multinazionale americana molto attenta alle esigenze famigliari, la posizione che ricoprivo non prevedeva neanche lontanamente la possibilità di un lavoro part time. Così ho deciso di ritirarmi per un po’ e dedicarmi ai miei bambini.
Il tuo lavoro ti è mancato?
Moltissimo! L’inizio è stato davvero duro: passare dall’essere mamma che lavora all’essere mamma full time implica la rielaborazione dei modi, dei tempi e anche delle competenze; ti devi un po’ reinventare, trovare delle nuove strade, giuste per te; devi saperti automotivare. E’ un lavoro personale che probabilmente è sempre un po’ in divenire, implica il mettersi in gioco, senza poter contare sulla rassicurante presenza di un posto fisso, ma che alla fine dà grandi frutti.
Ma poi pian piano i figli sono diventati un po’ più grandi e mi hanno lasciato più margini per riappropriarmi di un mio spazio lavorativo. Ho avviato così una collaborazione con una società che opera nell’ambito della comunicazione e mi sono buttata in una serie di attività che mi stanno molto a cuore, legate al no-profit.
Cosa manca secondo te oggi al mondo del lavoro per le donne che vogliono poter conciliare lavoro e famiglia?
Credo che per poter avere una reale conciliazione si debba creare soprattutto una sinergia tra aziende – che necessitano spesso ancora di metabolizzare il fatto che la produttività di una donna con una famiglia non è minore rispetto a quella di un uomo, anche se si ferma meno ore in ufficio – e istituzioni che creino tipologie contrattuali agevolate più “mother friendly”, con part time veri che non penalizzino le carriere delle donne. Perché una dirigente brava e competente non può ambire ad un part time, se garantisce – e dimostra – di raggiungere gli obiettivi che le vengono assegnati? Vuol dire che diventare mamma e scegliere di esserlo fino in fondo non può conciliarsi con il realizzarsi del proprio potenziale professionale? Ecco l’eterno dilemma di noi donne/mamme, anche in questo inizio di XXI secolo.
1 commento
un Bellissimo esempio di una donna capace di re-inventarsi, per far fronte alle diverse esigenze delle a vita in una società che non contempla ancora la conciliazione famiglia e lavoro…