Toponimia maschile e femminile. Nominare come strategia di conquista.
Il caso di Perth (WA)
di Aureliana Di Rollo
Come suggerisce l’etimologia stessa della parola, l’eponimia consiste nell’attribuire a un luogo o un’epoca il nome di un personaggio. Fin dall’età classica, e probabilmente anche prima, questo prestigioso riconoscimento ha suscitato le brame di creature mortali e immortali. Ebbero una città a loro dedicata fin dalla fondazione la dea Atena (Atene) e Alessandro il Grande (Alessandria). Secoli dopo Costantino intitolò a se stesso una città che già esisteva, Costantinopoli. In epoca moderna, dalla Louisiana alla Virginia, da Leningrado allo stato australiano del Victoria, il fenomeno si è amplificato a dismisura, sostenuto e incoraggiato dal colonialismo.
Oggi, in un’era ormai post-coloniale, quali caratteristiche ha la toponimia in relazione all’equilibrio tra i generi? Per rispondere, esaminiamo la toponomastica del Western Australia, lo stato di più recente formazione all’interno di un paese assai giovane, nato come tale nel 1901 (a dispetto della geologia, che fa dell’Australia una terra emersa antichissima). Ultimo stato ad essere istituito all’interno della federazione australiana, il WA è grande più del doppio di Francia, Germania e Regno Unito insieme, ed è in gran parte disabitato (la popolazione non arriva a tre milioni).
La capitale è Perth. Fondata dal capitano James Stirling nel 1829 lungo il fiume Swan, pochi chilometri prima che questo sfoci nell’Oceano Indiano, Perth è divenuta importante solo nell’ultimo secolo, soppiantando la più antica Albany. Il suo skyline è in continua evoluzione, metà della sua popolazione è nata fuori dall’Australia: è un crogiuolo di razze, culture e sedimentazioni sociali ed economiche. Delle sue cinque università, una è intitolata ad Edith Cowan, straordinaria figura di donna e militante politica, paladina dei diritti delle donne e dei bambini. L’inizio sembra promettente.
Bisogna poi premettere che in Australia la toponimia si articola su due livelli: da una parte i nomi “nativi”, cioè aborigeni, dall’altra i nomi coloniali (per lo più inglesi). La distinzione corrisponde a quella tra dominatore e dominato, tra vincitore e vinto. Come si collocano le donne in questo contesto in cui all’alterità del genere si aggiungono altre differenze (etniche, culturali) altrettanto profonde e latrici di esclusione?
Una rapida ricognizione dei toponimi della città restituisce un sapore della conquista coloniale non privo di fascino. Nella nominazione, la capacità appropriativa dell’eponimia come strumento di dominazione coloniale, e non solo come sintomo, è particolarmente evidente. Cominciamo dal nome stesso della città. Fu scelto dal già menzionato capitano Stirling in onore di Sir George Murray, allora Segretario di Stato per la Guerra e le Colonie, che era nato a Perth, in Scozia.
Per facilitare l’analisi, suddividiamo i toponimi in tre gruppi che analizziamo distintamente: le strade, i nomi di località/quartieri (suburbs) e i nomi di città.
Le strade, soprattutto quelle della città e delle aree più urbanizzate sono dedicate invariabilmente a cartografi, esploratori, governatori, membri della famiglia reale. Per esempio, la città di Fremantle, che è il porto di Perth, alla foce dello Swan, prende il nome dal capitano Charles Fremantle, che per primo vi attraccò. Dallo stesso George Murray prende il nome una delle arterie più importanti della città, Murray street, e così via. Mentre le strade della città evocano esclusivamente i colonizzatori, mano a mano che ci si allontana verso l’outback, i toponimi aborigeni compaiono con frequenza crescente.
E le donne? Le donne fecero ovviamente parte di questa grande impresa di conquista. Al seguito dei mariti, coraggiose o inconsapevoli, ebbero a che fare con un destino da pioniere, a volte loro malgrado. Diverse hanno lasciato qualche traccia nella toponomastica, non necessariamente per meriti personali. Le colonie, soprattutto quelle penali come l’Australia, hanno avuto a lungo uno squilibrio tra maschi e femmine, costellato di tentativi per porvi rimedio. Negli ultimi anni dagli archivi sono emerse storie dimenticate: iniziative filantropiche volte a finanziare il viaggio a donne sole e prive di mezzi, perché trovassero fortuna e un marito nel nuovissimo continente.
Benché Perth fosse nata come libera colonia, nel 1850 dovette ricorrere ai forzati per completare le grandi opere. Non sappiamo se e quanto l’arrivo di 9000 forzati abbia creato squilibrio tra i sessi. Certo è che nella toponomastica questo squilibrio c’è.
Prendiamo in esame le strade dei tre municipi più antichi: Perth, Fremantle e Guildford. A Perth troviamo Adelaide Terrace, dedicata alla regina Adelaide, moglie di William IV. Poi c’è Bennet Street, dedicata a Matilda Bennet, moglie di Septimus Roe, uno dei primi topografi che descrisse il territorio del WA. L’attuale Newcastle Street fu un tempo Mangle Street. Mangle era il nome da nubile di Ellen Stirling, moglie del capitano precedentemente menzionato. A James Stirling sono intitolate varie strade, tra cui una importante arteria di collegamento tra Perth e Fremantle. La moglie, però, non è da meno. A lei è dedicata, tra le altre, anche la Ellen Stirling. Due strade e due nomi, ma la donna è la stessa.
Quante altre strade sono intitolate a figure femminili? In città c’è una Queen Street, così nominata per analogia, perché accanto c’è King Street. Considerando la longevità del regno di Vittoria e di Elisabetta II, gli australiani hanno avuto più familiarità con l’idea di regina che con quella di re, cioè con una donna a capo dello stato, anziché un uomo. Eppure, questo non ha influito nemmeno un briciolo sulla inclusione delle donne nella nominazione dello spazio pubblico. A parte le teste coronate, di donne se ne contano pochine. In città Victoria Avenue e Victoria Square non mancano, per questa ragione. Se cambiamo “suburb”, ritroviamo le stesse strade, con appena qualche variante linguistica. A Fremantle abbiamo una Queen Victoria Street, una Queen Street dedicata ad Adelaide, la Ellen Street, dedicata alla solita Ellen Stirling di cui sopra. Bisogna precisare che la commissione che si occupa di attribuzione dei nomi geografici, ispirandosi a un criterio di semplicità, sconsiglia di usare due nomi per un toponimo dedicato a un personaggio famoso e suggerisce l’uso di una sola parola. Per esempio: Shakespeare, Stirling, senza il nome proprio. Oppure solo il nome proprio: Ellen, James. La combinazione nome e cognome è ammessa come eccezione, se il cognome da solo non basta a identificare chiaramente il personaggio, evitando che si confonda con un omonimo, come nel caso di Ellen Stirling e suo marito. Se da Fremantle ci spostiamo a Guildford, troviamo la stessa variazione su tema: James Street, dedicata a Stirling, Victoria Street in nome della sovrana.
La ricerca della semplicità a tutti i costi ha creato un caso interessante per il nostro studio. Nel 1927 gli abitanti di Njookenbooroo decisero di cambiare nome al quartiere per la difficoltà fonetica che quel termine aborigeno presentava. Al suo posto fu scelto Innaloo, che è un nome di donna in lingua aborigena.
La commissione per la scelta dei toponimi invita a tenere conto della differenza etnica e di genere. Mentre l’invito alla varietà etnica è stato ampiamente accolto, come vedremo, quello alla varietà di genere molto meno. Su 165 nomi di strade presi in esame, solo 11 sono dedicati o riconducibili a personaggi femminili.
Ora dalle strade passiamo ai nomi dei quartieri. Per il quartiere nascente sulle sue proprietà, il ricco possidente James Morrison scelse un toponimo che combinava il nome della moglie (Clara) con l’andamento collinare del terreno: così nacque Clairemont. Il quartiere accanto, Crawley, ricevette il nome da Henry Charles Sutherland, uno dei primi topografi della colonia, che scelse il cognome da nubile di sua madre, Anna Crawley.
L’onnipresente Ellen Stirling torna anche in questa categoria. Il periferico quartiere di Ellenbrook, a 30 km dalla città, prende il nome dalla moglie del primo governatore del WA. Questa donna, di cui assai poco si sa, è per un’ironia della sorte quella che vanta più toponimi. È seconda solo alla regina Vittoria, pur non essendosi distinta in nulla. La sovrana più longeva della storia in assoluto (anche se Elisabetta II si appresta a superarla), regnò quasi 64 anni, dal 1837 al 1901. Ciononostante, per numero di toponimi a lei dedicati si differenzia di poco dalla semisconosciuta signora Stirling. Se i maschi facevano ingresso nella toponimia quando si erano distinti come esploratori, navigatori, amministratori, Ellen Stirling nella toponimia ci finì così com’era finita in Australia: probabilmente suo malgrado, in virtù dell’uomo che aveva sposato piuttosto che per le virtù proprie.
L’irrilevanza del merito femminile nel caso della toponimia della colonia è celebrata proprio da questa donna, il cui merito maggiore pare risiedesse nel suo stato civile e la cui capacità di influenzare la toponimia è in misura inversamente proporzionale alla sua visibilità in tutti gli altri campi. Eccone un altro sorprendente esempio: l’insediamento storico di Guildford, il più antico di Perth, fu fondato nel 1827 e ricevette il nome dalla città inglese dove lei era nata.
Un’altra donna celebre solo per essere stata moglie di qualcuno è Jane Currie. Nessuno si ricorderebbe di lei se il marito, responsabile del porto di Fremantle, non avesse dato il suo nome al quartiere di Janebrook. Se non è il matrimonio, è il legame di parentela a costituire elemento di distinzione per le donne. Il quartiere di Maylands deve il nome (1880) probabilmente al fatto che il signor Ferguson comprò quel terreno nel mese di maggio, o più probabilmente al fatto che sua figlia si chiamava May. Il quartiere di Queen’s park deve il nome alla regina Alexandra, moglie di Edoardo VII, figlio di Vittoria.
Al di là della stravaganza delle scelte, colpisce la proporzione: su circa 400 quartieri, solo 12 hanno nomi che hanno in qualche misura a che fare con una donna (ed è un calcolo per eccesso, che comprende anche Innaloo, il nome aborigeno che non corrisponde a nessuna donna in carne ed ossa). Se passiamo dai quartieri alle città, la proporzione dei toponimi femminili è di 10 su oltre 1000 nomi di città, alcune delle quali sono anche state abbandonate.
Questa avvilente proporzione si spiega in parte col fatto che tra i nomi di città i toponimi aborigeni sono prevalenti, e questi non si riferiscono mai a esseri umani precisi, ma a elementi naturali, animali o figure mitologiche. Comunque, benché il numero sia esiguo, tra i nomi di città troviamo qualche chicca.
La città di Augusta (trattasi in realtà di minuscolo centro abitato, collocato però su una punta che fa da spartiacque tra l’Oceano del Sud e l’Oceano indiano), suggestiva per la posizione e per la bellezza della natura che la circonda, ricevette il nome dalla principessa Augusta Sofia, figlia di George III e Charlotte. La città abbandonata di Princess Royal è invece dedicata a una delle figlie di Vittoria, la principessa Vittoria Adelaide Maria Luisa.
A compensare i dubbi meriti delle principesse, provvede la coraggiosa Grace Bussell, a cui è intitolata Gracetown, piccolo borgo nel sud ovest del paese. A 16 anni, nel 1876 Grace salvò un gruppo di naufraghi della nave Georgette, che non avevano trovato posto sulle scialuppe di salvataggio. La coraggiosa Grace torna nel toponimo Lake Grace, dove però risulta col suo cognome da coniugata, Grace Brockman.
Sempre nel sud ovest dello stato c’è la città di Margaret River. Paradiso dei surfisti e dei buongustai, la cittadina è situata in un ambiente collinare e coltivato a viti la cui dolcezza richiamerebbe i paesaggi nostrani, se non fosse per canguri e ovini sparsi tra i filari e l’oceano con le sue onde trasparenti e spaventose che si profila in lontananza. Margaret River deve il suo nome, forse, a Margaret Wyche, la fidanzata di John Bussell, che avrebbe dovuto raggiungerlo in Australia, ma che, pare, si tirò indietro all’ultimo momento. Se lady Stirling ci aveva fatto storcere il naso per i pochi meriti rispetto al numero impressionante di toponimi, questa signorina Margaret, che in Australia non ci è proprio mai venuta, suggella ancora di più l’estraneità del merito nelle scelte toponomastiche al femminile.
Gli uomini accedono all’onore della toponomastica in base a un criterio di “merito”, per aver fatto qualcosa di eccezionale. Le donne, invece, vi accedono per posizione, per aver sposato qualcuno di eccezionale. Pochissime le donne che riescono ad imporsi nella nominazione dei luoghi pubblici per i loro meriti. Non è un caso che donne straordinarie, come Edith Cowan, prima eletta al parlamento, o Roberta Henrietta Jull, prima donna a esercitare la professione medica, entrambe fondatrici del Club delle Donne di Karrakatta, non furono ricompensate con tanto onore. Un’altra delle fondatrici del club, lady Margaret Elvire Hamersley, ricevette invece l’onore di vedersi intitolato Mount Margaret. Onore conquistato non con la sua opera di diffusione della cultura, bensì per essere stata la moglie di John Forrest, esploratore e primo Premier del WA.
Siamo alla fine della disamina, e come ogni conclusione che si rispetti, anche questa ha il suo fulmen in clausola. Visto che le donne non assurgono agli onori della toponomastica per meriti propri, non ci sorprenderà che l’elenco si chiuda con la città di Santippe, chiamata proprio come la moglie di Socrate. A differenza delle coraggiose donne pioniere della politica, della scienza e della medicina, escluse dalla toponomastica, la terribile, temuta e ultra-bisbetica moglie di Socrate ha trovato il suo posto in questa rassegna toponimica dell’assenza femminile.
Tratto da:
Sulle vie della parità
A cura di Maria Pia Ercolini
Universitalia, Roma 2013