la decisione di diventare genitori non nasconda un pizzico di incoscienza
Arrivata in dirittura di arrivo della mia seconda gravidanza, mi sono fermata spesso a riflettere se ad oggi, in questo clima generale di assoluta sfiducia e pessimismo e di carenti prospettive e promesse per il futuro, la decisione di diventare genitori non nasconda un pizzico di incoscienza, laddove la razionalità porterebbe ad un freno a mano tirato.
Non so se c’è una risposta a questa domanda chiaramente e volutamente provocatoria ma che comunque nasconde un nucleo di saggia e veritiera realtà.
La realtà con cui ogni genitore o potenziale tale si confronta oggi è deprimente, angosciante e preoccupante sia che ci si limiti ad osservare il presente che il futuro: il Paese è in crisi, manca qualcuno che in modo saggio, civico e cosciente guidi e traghetti lo Stato verso acque migliori; manca un senso di educazione civica e di interesse per la comunità che porti le persone a pensare al bene collettivo oltre che a quello squisitamente individuale; la situazione economica è a dir poco desolante e critica, si naviga a vista verso situazioni migliori che non sembrano avvistarsi da ora a qualche anno; il lavoro è diventato la piaga nera delle famiglie, delle persone e della comunità; le scuole e la sanità, due fulcri fondamentali per il benessere e la crescita del Paese, sembrano in progressiva discesa…
E se ci soffermiamo a riflettere sulla condizione delle mamme in Italia oggi, lo scenario appare ancora più drammatico.
Secondo il dossier “Mamme nella crisi” presentato da Save the Children il 18 settembre 2012, “nel 2010 (l’occupazione femminile) si attesta al 50,6% per le donne senza figli – ben al di sotto della media europea pari al 61,2%” – e scende addirittura al 45,5% al primo figlio, al 35,9% quando i figli sono due, con una progressiva decrescita con l’aumento del numero dei figli (31,3% quando sono vi sono tre o più figli). E l’inattività femminile colpisce soprattutto la fascia di donne giovani adulte in età fertile (25-34 anni): nel 2010 il 35,6% risultava disoccupata e nel 2011 tale percentuale è aumentata al 36,4%.
Sono in aumento anche le donne che hanno perso il lavoro a seguito della maternità: secondo il dossier, nel periodo compreso fra il 2008 e il 2009 ben 800.000 mamme hanno dichiarato di essere state licenziate o di aver subito pressioni in tal senso a seguito della gravidanza. Infatti la perdita o l’interruzione del lavoro a seguito della maternità per costrizione, risultano quadruplicate dal 2002 al 2009 (dal 2% al 8,7%).
Per contro, date le difficoltà importanti e crescenti legate all’occupazione femminile che, come abbiamo visto riguardano soprattutto le giovani donne adulte in età fertile, sono in aumento anche coloro che rinunciano alla maternità o che posticipano il più possibile tale decisione, al fine di evitare di perdere il posto di lavoro o opportunità di carriera, talora con il rischio che il posticipo possa risultare molto costoso e decisivo. E quelle che osano intraprendere il progetto di maternità, magari si fermano ad un figlio, perché una famiglia più allargata – che fino a poco tempo fa costituiva la “normalità” – comporta un costo e un impegno non sempre sostenibili.
La situazione risulta ulteriormente aggravata dalla carenza di servizi di cura per l’infanzia e la famiglia, ostacolando così la conciliazione del lavoro con gli impegni familiari. E questo non inficia solamente sull’occupazione femminile – laddove molte donne si trovano costrette ad una scelta forzata – ma anche sui bambini, a cui viene negata l’opportunità di un percorso formativo, educativo e di socializzazione proprio nel periodo fondamentale dei primi anni di vita.
Infatti la difficile e critica condizione delle mamme in Italia ha pesanti ricadute anche sui figli: “la difficile condizione delle madri nel nostro Paese è uno dei fattori chiave che determinano una maggiore incidenza della povertà sui bambini e sugli adolescenti” (Osservatorio Nazionale sulla Famiglia). Secondo il dossier “Mamme nella crisi” di Save the Children, quasi il 23% dei minori è a rischio povertà e tale percentuale aumenta al 28% nel caso di mamme sole. E povertà infantile implica minori opportunità di studi, di esperienze e stimoli, di cure, con conseguenti e importanti ripercussioni sullo sviluppo e sulla crescita psicofisica delle nuove generazioni.
Anche le condizioni psicologiche ed emotive nelle quali i genitori e le mamme di oggi sono costretti a vivere a causa delle condizioni economiche e lavorative generali – stress, ansia e demoralizzazione – non contribuiscono sicuramente a generare un clima di serenità e fiducia nel quale, invece, i bambini avrebbero bisogno di vivere, per crescere sereni e sicuri e per sviluppare un atteggiamento positivo e curioso verso il prossimo e il futuro.
In conclusione, come si evince dal dossier ma come del resto aveva già scritto e anticipato Maurizio Ferrera nel suo libro “Fattore D”, si è venuto a strutturare e si sta mantenendo in Italia un circolo vizioso che lega il basso tasso di occupazione femminile, la carenza di strutture e servizi per l’infanzia e la famiglia, le scarse opportunità di conciliazione famiglia-lavoro e il basso tasso di natalità, con ripercussioni importanti e critiche non solo sulle donne e sulle famiglie ma anche e soprattutto sul benessere dei bambini.
Allora mi chiedo sono incoscienti le madri e le coppie che investono nel progetto di genitorialità oppure lo Stato e la società che continuano a non voler vedere seriamente il problema e che non investono e non agiscono per migliorare le condizioni attuali dei bambini e per offrire loro un futuro migliore?
Personalmente per quanto ritenga che ad oggi, per i motivi suddetti, sia audace mettere al mondo dei figli, sono altresì convinta che, se desiderati, sia giusto non rinunciare alla scelta di maternità/genitorialità. Tuttavia sono altresì convinta che sia necessario e urgente colmare il gap che c’è fra la politica e la realtà delle famiglie, delle donne e dei bambini e forse è arrivato il momento di dare rappresentanza reale e vera anche a questa parte della popolazione, che altrimenti rischia di continuare ad essere ignorata.
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