Il femminicidio è uno strappo violento nella rete di relazioni che sottendono ad una società civile
di Mary Nocentini
Ariccia, 25 Novembre: un melograno nel giardino di scuola.
Quando al Liceo “J. Joyce” di Ariccia (RM) abbiamo deciso di aderire all’iniziativa “Ancora frutti da una vita strappata” proposta da Toponomastica femminile, abbiamo scelto di piantare un albero di melograno.
Subito ci siamo rese conto dell’importanza del gesto. Il femminicidio è uno strappo violento nella rete di relazioni che sottendono ad una società civile. L’albero di melograno non può ricucire questo strappo. Ma il gesto di piantare un albero da frutto, grazie alla sua forte portata simbolica, può aiutarci ad assumere la responsabilità di coltivare i valori del rispetto e del riconoscimento delle differenze. Un gesto così lontano ormai dalla nostra vita quotidiana e così carico di significati antichi, assume un valore pregnante che ci costringe a ripensare all’importanza di rendere fertile il terreno sociale in cui viviamo. I frutti che ci aspettiamo di veder nascere sono di vari tipi. Tra questi sicuramente c’è la forza di combattere contro il pregiudizio e gli stereotipi che ci ingabbiano e favoriscono la reazione violenta nei confronti di ciò che non riusciamo ad accettare delle altre persone.
Un gruppo di ragazze ha curato in modo autonomo gli aspetti organizzativi.
L’albero è stato dedicato a Fabiana Luzzi, la giovane quindicenne di Corigliano Calabro che, il 25 maggio del 2013, è stata accoltellata e bruciata viva dal fidanzato di 17 anni, per gelosia.
Mentre veniva piantato il piccolo albero, è stata letta la motivazione per cui è stata scelta proprio Fabiana per ricordare tutte le altre donne uccise. Le ragazze hanno sottolineato di essere state colpite dall’efferatezza dell’omicidio e dal fatto di essere vicine per età ed esperienze, a Fabiana. Però hanno anche constatato che le giovani generazioni dimostrano come non ci sia stato un reale cambiamento nella mentalità del nostro Paese rispetto alla violenza di genere. Per le nostre studentesse lo dimostrano anche gli articoli di cronaca scritti sull’assassinio di Fabiana. I processi mediatici, infatti, tendono a leggere l’evento con superficialità, cercando le prove di una relazione “adolescenziale”, contrassegnata dalla gelosia di entrambi. I giornali e le televisioni poco si interrogano sulla cultura da cui questa violenza nasce. Eppure le ragazze giovani, più o meno consapevolmente, sentono l’urgenza di un cambiamento, che definiscono di vitale necessità. “L’albero che dedichiamo a Fabiana – hanno scritto – è carico delle speranze in un futuro migliore”. L’autenticità e linearità di queste loro dichiarazioni hanno avuto maggior risalto nella cornice semplice in cui tutto si è svolto. Come semplici ma incisivi sono i cartelloni che le ragazze hanno attaccato alle porte dell’istituto, nei corridoi della scuola, davanti alle macchinette del caffè, sulle lavagne.
Tutti i cartelloni iniziano con la stessa frase “Una donna muore ogni volta che…”.
Tante le conclusioni: “…ogni volta che le viene negato il diritto allo studio e al lavoro”; “…ogni volta che viene valutata positivamente solo se perfetta, disponibile, obbediente”; “…ogni volta che una nuova pubblicità la ritrae come un oggetto di piacere”; “… ogni volta che viene dato per scontato il suo futuro: essere madre e moglie”.
Le allieve del “J. Joyce” hanno capito il valore simbolico di un gesto così semplice come piantare un albero. Hanno capito che cambiare la cultura è il modo più fruttuoso che abbiamo per reagire alla violenza di genere.
1 commento
Sono stata brava
Sono stata brava
tutte le volte
in cui lui si arrabbiava per la pasta scotta
o mi pestava per l’asciugamano piegato male
Giusto- dicevo io-
non sono stata molto brava
a sistemare le cose
Ha ragione lui a picchiarmi-
devo stare più attenta a quello che faccio.
Non devo farlo arrabbiare
altrimenti, giustamente,
lui alza le mani su di me
ma sono io la causa
e poi guai se mi metto a piangere.
Una donna matura non può piangere-
lo dice anche il mio uomo…
ma lui è proprio mio?
Esci sempre con la mia amica Claudia, chissà perché?
Sono stata brava
quando ho fatto la valigia: cinque cose ho messo dentro, più me stessa.
Mi sono nascosta bene nella valigia ,che qualcuno avrebbe portato via con sé, nascondendomi come un segreto.
Poi non sono stata brava, perché ho tossito, e mandato tutto a puttane.
Lui mi ha scoperto, mi ha tirato fuori e mi ha detto “Per questo non mangiavi più , volevi scappare dentro la valigia? E adesso non mangerai più perché non ne hai diritto. Sei stata cattiva lo sai?”
“Lo so -ho risposto- non sono stata brava e tu giustamente mi punisci! Lo sapevo che tu sei il gatto e io il topo e questa è la mia fine.”
fu proprio a quel punto, quando la mia precisione
saliva al massimo e avevo insegnato a mio marito
come si sistemano le maglie nell’armadio,
come si pulisce la cucina dopo aver fatto i piatti,
come si lascia pulito il bagno.
Lui aveva perfettamente capito
e dopo due mesi
mi ha lasciato sola
se n’è andato via con un’altra
che non sa nemmeno da dove si comincia
a pulire la camera
a rigovernare
lui, lui mi ha lasciato.
Ora tutto è a posto
ma lui non c’è più!
Sono stata brava e lo sarò ancora.
Nonostante l’acido, nonostante le botte
la mia forza non si smorzerà.
Sarà grande, sempre più grande
in questo mondo che non mi lascia vivere
come essere umano con i miei diritti.
La parola, non mi toglierai la parola con l’acido,
non toglierai la mia protesta per la sopravvivenza.
Ho diritto di esistere e di volare,
ho ali come le tue , uomo che mi domini,
e volerò in alto tra le nuvole
alla ricerca della libertà.