C’è un solo desiderio che esprimo quando si appropinqua il Natale: non voglio che venga Natale! Allora bramo un’influenza galoppante, di quelle che ti stremano per una settimana e di cui ti porti dietro gli strascichi per altri sette giorni, così da poter affermare, totalmente giustificata, che non te la senti di uscire, che sei debole, che forse sarebbe meglio starsene accucciata sotto il piumone, che tanto nemmeno hai fame, perché, oltre al naso, ti si è chiuso pure lo stomaco. Quindi immagino la faccia contrita di mia madre, che abbandona il progetto di una tavola imbandita per una vagonata incalcolabile di parenti perché vuole venire ad assistermi nel mio letto di dolore, somministrandomi tachipirina e fermenti lattici. E allora in quel preciso momento, il mio copione prevede che io le dica di non preoccuparsi, che mi fa piacere riposarmi un poco e che se proprio vuole, magari può passare a trovarmi l’indomani mattina, con un brodino caldo, ma che no, non c’è bisogno che mi telefoni ogni dieci minuti, perché è una semplice, per quanto, assai fastidiosa, influenza (e sul fastidiosa insisto drammaticamente, per non banalizzarla troppo e rischiare che lei mi proponga di andare a coricarmi a casa sua, giusto per non stare sola e salutare il parentado da sotto le coltri). Ma il mio è sempre stato solo un sogno ad occhi aperti, che non sono riuscita mai a tramutare in realtà, perché poi, il senso di colpa mi divora, gli occhi supplici di mia madre, che mi insegue con la lista della spesa, hanno la meglio sui propositi di ribellione. Perciò, attirata tra le spire dell’ansia culinaria, di solito mi seppellisco in cucina e sono costretta, dal flusso ineluttabile degli eventi, a stilare i menù della vigilia, del venticinque, di Santo Stefano e, se tutto va male (nel senso che non riceverò inviti a cena per il capodanno), devo scervellarmi anche per il cenone del trentuno, mentre mia madre tira respiri di sollievo nel constatare che non sarà sola a sobbarcarsi le fatiche dei preparativi.
Fino ad oggi, almeno.
Quest’anno sarà tutto diverso. Ho in mente un discorsetto che pronuncerò tra meno di cinque minuti, a tavola, durante il compleanno di mio padre, che delle feste non ha un concetto positivo, diciamo pure che la sua è una finta partecipazione. Sono convinta che le mie parole non lo stupiranno, anzi, quasi certamente proverà un sincera ammirazione per questa figlia che ha il coraggio di rompere le tradizioni, liberarsi dal giogo parentale e fregarsene delle convenzioni: in quel momento vorrà essere al mio posto.
Allora eccomi, vestita di rosso, mentre mia madre mi guarda con malcelato orgoglio, perché crede in cuor suo che io sia già entrata nell’atmosfera natalizia e che voglia dimostrarlo con l’abbigliamento adatto. In realtà amo il rosso e nessuna multinazionale mi impone questo colore per le feste, anche perché non ho barba e capelli bianchi e neanche una grossa pancia… non ancora almeno!
La tavola è perfettamente imbandita, piccola anticipazione di ciò che sarà durante le vacanze natalizie. Opera esclusivamente di mia madre, che ha un senso spiccato della perfezione, un senso che rasenta la maniacalità. È per questo che io, notoriamente maldestra ma indubitabilmente brava ai fornelli, vengo relegata in cucina, lontana dalle stoviglie preziose che escono dalla credenza solo una volta all’anno (anzi quattro, contando le due vigilie, il venticinque e il primo dell’anno) come detenuti ai quali venga concesso un permesso premio. Quelle stoviglie sarebbero in pericolo con me, che sono famosa per aver fatto andare in mille pezzi più di un ninnolo pregiato.
“Ci siamo tutti” esclama la mamma porgendo gli antipasti. Si, ci siamo tutti, io, lei, papà, mia sorella e mio fratello, più un’anziana zia rimasta nubile che si è ormai lasciata alle spalle la speranza di trovare qualcuno con cui fuggire via, lontano dagli “eventi” festaioli di mia madre.
Siamo quasi al dessert, quando la mamma attacca con il discorsetto del Natale e dei menù; lo fa guardando nella mia direzione, anche perché sorella e fratello sono i più giovani (ma fino a che età dura la gioventù?) e di conseguenza “non hanno esperienza di queste cose”. Io ho un marito nel mio recente passato e più di qualche cena all’attivo per amici e colleghi di lavoro, a parte essere stata, da sempre, l’aiutante di Babbo Natale, cioè la mamma. Ed ecco sciorinate le quantità di carne da comprare, di pastiere da sfornare, di paste al forno che “magari possiamo cucinare sin da ora e congelare, che ne dici Francesca?”. Che ne dico? Dico che gongolo, cinicamente, ma non posso farne a meno. Sul viso mi si dipinge un sorrisetto un poco sadico, al quale non fatico però a trovare tutte le giustificazioni del mondo!
Il biglietto aereo che ho comprato on line un mese fa mi brucia in tasca, chiede di essere svelato, pretende la sua visibilità.
“A questo proposito” esordisco e la faccia di mia madre già cambia colore. Non può sapere nulla, ma, chissà perché, fiuta il pericolo.
Non parla e io continuo.
“A questo proposito, vorrei dirvi di non considerarmi per quest’anno, sarò fuori con amiche, per l’intero periodo. Un viaggio progettato da anni che finalmente faremo tutte insieme.”
Un silenzio funereo invade la sala da pranzo. Il pollo raggrinzisce nei piatti, si nasconde sotto i pisellini primavera cotti al vapore, che sono, nel frattempo, svaporati!
“Cosa?!” deglutisce la mamma, abbandonando le posate nel piatto: si sente uno squillo da giorno del giudizio.
“Si mamma, ma ci sono sempre Mara e Andrea, vero ragazzi?” propongo e mi sento addosso sguardi interrogativi che pungono come spilli.
“Ci vediamo il cinque gennaio” cinguetto e finisco secondo e contorno.
Il babbo è estasiato e mi fa l’occhiolino senza farsi vedere: poverino, so già che dovrà sorbirsi le lamentele della mamma.
Finiamo la cena quasi in silenzio. L’atmosfera natalizia è compromessa… la loro, non la mia.
Il mio Natale è appena iniziato.
Mi dispiace mamma, niente pesce fritto, pasta al salmone, lasagne bianche, rosse e verdi… questa volta il nuovo anno mi vedrà tra le luci rutilanti di una città lontana, con un bicchiere di spumante in mano e nuovi progetti nella testa. Ti voglio bene, voglio bene a tutti voi, ma ho bisogno di un Natale tutto mio, senza vedere nessuno, senza obblighi e regali, senza levatacce per andare a fare la spesa e alberi da decorare. Sono così felice di partire, quel sogno diventa realtà, Natale arriverà e non mi troverà a casa. Mentre vado via, bacio mia madre che non mi dice nulla, ha capito, anche se avverto la sua contrizione. Faccio finta di nulla e sorrido come se fosse tutto normale.
Fuori nevica… buon Natale Francesca.