Un sempre maggiore di donne single o comunque di donne e coppie che scelgono deliberatamente di non avere figli
Ancora ad oggi, nonostante l’emancipazione femminile, l’ingresso della donna nel mondo del lavoro – seppur con tutte le difficoltà e le resistenze di cui a lungo abbiamo parlato-, la diffusione sempre maggiore di donne single o comunque di donne e coppie che scelgono deliberatamente di non avere figli (“childfree”), si continua a pensare che una donna adulta, in salute e in coppia, debba necessariamente procreare o comunque avere figli, per sentirsi pienamente realizzata e “completa”.
Tuttavia nonostante continui ad essere ben radicato e produca non poche incomprensioni e malesseri il mito popolare che vuole che il principale obiettivo per una donna sia quello di diventare madre, di fatto la realtà è ben diversa.
E non mi riferisco solo al fatto che siano in aumento le donne, come del resto le coppie, che fanno una scelta assolutamente avulsa dalla genitorialità per vari e diversi motivi. Stando, infatti, ai dati Istat, la percentuale delle donne italiane cinquantacinquenni senza figli si avvicina sempre più ai numeri dei Paesi del Nord Europa (Germania Occidentale 20%, Regno Unito 21%, Paesi bassi 18%) ed è decisamente superiore a quella registrata nei Paesi centro-meridionali dell’Europa. E i motivi non sono attribuibili solo all’età tardiva con cui si può arrivare a formare una famiglia oltre che ai problemi d’infertilità sempre più diffusi, ma spesso alla base vi è la scelta consapevole e intenzionale di non avere figli.
Questo, però, non significa che siano donne frustrate e non realizzate o “non complete”, come verrebbe da pensare seguendo una concezione classica, tradizionalista e arcaica della donna. Al contrario, spesso le donne che fanno una scelta del genere (e non la subiscono), sono persone che trovano nella scelta compiuta validi e importanti motivi personali e scelgono di investire tempo ed energie in altro, sentendosi comunque realizzate, soddisfatte e appagate, seppur scegliendo strade e percorsi personali e diversi rispetto a quelli della genitorialità.
Infatti se andiamo al di là del semplice concetto di genitorialità, inteso nella sua accezione più rigida e letterale del termine, una donna, come del resto un uomo, può investire risorse, energie e dedizione, oltre che passione ed amore, in attività, progetti, missioni, persone come un genitore può fare nei confronti del proprio figlio.
Come dichiara Paola Leonardi, co-autrice insieme a Ferdinanda Vigliani del libro “Perché non abbiamo avuto figli. Donne speciali si raccontano”, in un’intervista per Dols, “la maternità simbolica è altrettanto importante di quella biologica e ognuna è libera di incarnare altri modelli di realizzazione femminile”.
Il filosofo Duccio Demetrio, co-autore insieme a Francesca Rigotti di “Senza figli. Una condizione umana”, parla di “padre simbolico” e “madre simbolica”, per far riferimento a questa condizione umana di potenzialità genitoriale altrimenti espressa.
Allora forse i tempi sono maturi per andare oltre il concetto rigido e puro di genitorialità e parlare semmai di “generatività”.
Eric Erickson parlava di “generatività” per indicare la capacità propria della persona adulta di uscire da una concezione narcisistica e individualistica tesa a concentrare le energie mentali e le preoccupazioni su di sé, per potersi dedicare e prendere cura dell’altro.
Sono molte le persone che, ad esempio, creano e crescono un’attività con la stessa dedizione, lo stesso amore e lo stesso investimento che un genitore può dedicare al proprio figlio. A tal proposito, la prima persona che mi viene in mente in quanto modello per molte donne è Rita Levi Montalcini. Per quanto non abbia avuto la fortuna di conoscere la persona che si celava dietro alle vesti della grande scienziata, posso dire che ha rappresentato un modello di donna che ha dedicato passione, energia e una vita per la scienza e quindi per la propria professione, al servizio dell’umanità.
La stessa cosa si può dire di persone che dedicano gran parte del proprio tempo e delle proprie energie al volontariato e ad aiutare gli altri.
A tal proposito, mi viene in mente una cara signora, conosciuta quando oramai era già abbastanza anziana, che non si è mai sposata e che ha dedicato parte della propria vita ad offrire aiuto e supporto alle giovani donne in difficoltà, soprattutto alle giovani madri creando una struttura di accoglienza in cui queste donne potevano trovare aiuti specialistici e tecnici, oltre che un’amorevole accoglienza.
Come del resto, vi sono donne che si prodigano per prendersi cura di figli altrui (siano essi nipoti come anche figli di amiche e amici, studenti, bambini o ragazzi in difficoltà) ma senza che questo rappresenti né un desiderio negato né una mera consolazione a frustrazioni personali, bensì la risposta ad un desiderio di investimento e di cura nell’altro senza che questo si canalizzi necessariamente nella genitorialità biologica.
Gli esempi sono e potrebbero essere molti ma ritengo che l’attenzione vada riposta non tanto sulle singole persone, quanto piuttosto sulla realtà dell’esistenza di persone, fra cui donne, che scelgono deliberatamente di non diventare madri ma comunque che avendo dentro un potenziale genitoriale derivante, direbbero gli psicologi, dall’interiorizzazione del modello genitoriale vissuto in famiglia, investono risorse ed energie ad occuparsi dell’altro, inteso come altro da sé, in varie e diverse direzioni, riuscendo magari anche a realizzare grandi progetti e iniziative, desiderate, coltivate e amate come una madre può fare con un figlio.
Che si parli di “generatività” o di “genitorialità simbolica”, di fatto anche questo è un modo di donare, di dare e di amare che necessita di maggiore attenzione e valorizzazione.
1 commento
Bellissimo articolo Francesca!