Nel 1908 nasceva in Sicilia “Lucciola”, una rivista mensile in copia unica
Interamente scritta a mano dalle donne per le donne, costituiva il luogo in cui la personalità femminile trovava la sua libera realizzazione.
Il primo numero di Lucciola, rivista in copia unica manoscritta e non stampata, si affacciò alquanto timidamente in un contesto storico-sociale caratterizzato dalla disunità e dalla relativa organizzazione delle donne italiane nel loro impegno di lotta e solidarietà. Era il 1908.
La particolarità di Lucciola, tuttavia, non va ricercata nel pur consistente – anche se indiretto – apporto alla causa femminile, bensì, come vedremo, nel complicato sistema di comunicazione tra le sue redattrici. Lucciola, in sostanza, risultava molto simile a una lunga lettera itinerante, scritta a più mani da donne sconosciute l’una all’altra ma legate da uno stretto rapporto di sorellanza. Della corrispondenza epistolare Lucciola manteneva il dialogo in assenz dell’interlocutore; la sua diffusione – seppur limitata – sul territorio nazionale suggeriva invece l’esistenza di un pubblico di lettori affezionati. Di lettrici, in questo caso, identificabili poi nelle stesse collaboratrici (o “Lucciole”, come si definivano, inizialmente ventiquattro sparse in tutta la penisola).
Interamente realizzata a mano, la rivista fu ideata – e diretta per il primo anno – da Lina Caico, giovane di estrazione borghese (era figlia di una gentildonna inglese e di un nobile siciliano), nata a Bordighera (SV) nel 1883, educata in Inghilterra e in seguito trasferitasi con la famiglia a Montedoro, un piccolo centro agricolo in provincia di Caltanissetta dove morirà nel 1951.
Dalle molteplici attrattive culturali e sociali degli istituti d’oltremanica alle limitazioni offerte dal borgo sperduto nell’entroterra siciliano: un cambiamento difficile da sopportare per la Caico, che individuò nella scrittura
la sola arma capace di forare il silenzio di interminabili giornate all’insegna del vuoto intellettuale.
Scriveva moltissimo. Nonostante fosse già insegnante di inglese presso l’istituto Turrisi di Palermo, traduceva libri e contemporaneamente si dedicava alla stesura di articoli su argomentazioni morali o religiose per testate quali Lumen, Primavera siciliana, Fede e vita, il Giornale di Sicilia.
Nell’ambito del suo progetto relativo a Lucciola raccoglieva invece canti, antiche ballate e i più svariati testi della tradizione siciliana. L’idea era sostanzialmente quella di dar vita a una sorta di dialogo tra donne lontane nello spazio ma accomunate dal medesimo desiderio di comunicare e discutere sui diversi aspetti della vita.
Il modello a cui la Caico si ispirò nella realizzazione della sua rivista fu Firefly (il termine significa “lucciola”), un giornalino che allora circolava nei colleges inglesi, nel pieno rispetto di una tradizione diffusa anche in altri paesi europei, quali Francia e Germania. Lucciola, però, andrà molto al di là dell’intento iniziale della stessa Caico: diventerà infatti un
veicolo di passioni, emozioni, opinioni. Molte donne, protette dall’anonimato garantito loro dall’adozione obbligatoria di uno pseudonimo, allenteranno i freni inibitori imposti dalle convenzioni sociali e riveleranno insospettabili doti creative, realizzando pregevoli illustrazioni o redigendo racconti apprezzabili sotto il profilo letterario; altre svilupperanno invece la stima e il rispetto di sé proprio grazie al confronto tra le diverse esperienze vissute.
In qualche modo, du
nque, Lucciola sopperiva alle carenze offerte dalle pubblicazioni femminili del tempo, forse più attente a rafforzare nelle lettrici il tradizionale senso della dedizione , del dovere e della sottomissione all’autorità maschile piuttosto che a destare in esse la consapevolezza circa il valore della loro condizione e, conseguentemente,
l’importanza della parità tra i sessi.
Periodicamente, la direttrice in carica spediva l’unica copia del mensile alla prima “lucciola” indicata su un elenco prestabilito. Nell’arco di 48 ore essa avrebbe dovuto scrivere il proprio contributo e inviare a sua volta il plico al nominativo successivo. Arricchita dai diversi interventi la rivista tornava infine al mittente originario, pronta a ripercorrere le tappe di un lungo giro attraverso la penisola. Intanto altri numeri erano già stati
affidati alle Regie Poste.
Pur mantenendo un carattere che oggi potremmo definire precursore del femminismo, Lucciola non escluse a priori la possibilità di allargare il dialogo anche agli uomini.
Quindici giovani (i cosiddetti “luccioli”) collaboravano infatti alquanto attivamente al giornalino. In genere erano amici, parenti o fidanzati delle redattrici desiderosi di entrare in sintonia con donne dalle esigenze piuttosto elevate. Il loro apporto, apprezzato da tutte le “lucciole” in virtù di uno scambio intellettuale non condizionato dai rispettivi ruoli di appartenenza, alimenterà il dialogo su tematiche di vasta risonanza sociale (matrimonio, uguaglianza, educazione, svaghi), culturale (libri, convegni, recensioni, critiche) e, inevitabilmente, politica (avvenimenti del mondo contemporaneo), generando in alcuni casi appassionati dibattiti destinati a proseguire anche per alcuni mesi.
Quando nel 1911 l’Italia si getta alla conquista della Libia, ad esempio, le “lucciole” non nascondono il loro entusiasmo colonialista: accanto all’evocazione dei versi appassionati di D’annunzio troviamo il resoconto dettagliato di una visita alle tombe dei caduti di Sciara-sciat; ancora, alcuni anni dopo, in merito all’irredentismo di Trento e Trieste si distinguono voci a sostegno dell’annessione all’Italia di quelle terre e la Caico per prima è pronta a ricordare la pagina di un caduto, tale Manfredi Lanza di Trabia.
Con la nascita del partito fascista, nel 1922, il divario tra le opinioni personali delle redattrici traspare in tutta la sua chiarezza. In risposta alle amiche“vsf” (acronimo di “veritate, fortifer, suaviter”) e in particolare a “Rosa Sfogliata”, che si era pronunciata in termini entusiastici sull’ideologia rivoluzionaria del Fascio, la Caico scrive: Io socialista non sono. Ma ancor meno sono fascista, o Rosa Sfogliata! Credi tu davvero che il fascismo come idea e come persone sia tale da produrre una novella Italia? Vorrei ben sapere che cosa c’è di novello nell’Italia che vogliono i fascisti… In queste pagine il giorno della redenzione si chiama pure il giorno della vendetta e i fascisti sono esortati a “strappare dalle profumate aiuole d’Italia le piante immonde”, il che in lingua povera significa “ammazzare i socialisti”…
Nel 1915, a causa del conflitto bellico in corso, la realizzazione di Lucciola fu temporaneamente sospesa. La rivista riprese a circolare quattro anni dopo, grazie alla determinazione di poche collaboratrici (molti giovani
“luccioli” erano infatti periti in battaglia). Tuttavia, sotto la direzione di Gina Frigerio, il periodico riuscì a vivere per altri sette anni. Fino al 1926, allorchè fu unanimamente considerato un’esperienza conclusa.
1 commento
Grazie, Rita, non ne ero al corrente.