Francesca Barra, giornalista, fingendosi una barbona pr un mese, ha fatto un’indagine da cui è scaturito un libro.
‘‘La povertà non piange, la povertà non fa notizia”. Per questo Francesca Barra, giornalista, fingendosi una barbona pr un mese, ha fatto un’indagine da cui è scaturito un libro.
da Tipitosti
“Una notte, mentre dormivo su una panchina in muratura nel giardino dell’Università Bicocca a Milano, con i miei anfibi comprati per la missione posti sotto la testa, e un cappellino da baseball abbassato sugli occhi, è arrivata una guardia. Mi ha puntato la pila in faccia, svegliandomi di soprassalto. Ho atteso qualche secondo prima di realizzare che non era un sogno. No, mi trovavo lì per davvero, ed era per una scelta compiuta con incoscienza ed entusiasmo qualche settimana prima.Ho pensato che mi sarebbe bastato poter raccontare la verità per poter riposare ancora qualche ora in quel luogo accogliente e riparato.
Ci ho provato, ma la guardia mi ha interrotto subito. Mi ha guardato con occhi scivolosi e mi ha detto che non gliene fregava un cazzo di chi fossi. Che dovevo alzarmi e sloggiare. Perché quello era il giardino di un’università, non una stazione”.Comincia così il libro edito da Rizzoli “Tutta la vita in un giorno – viaggio fra la gente che sopravvive mentre nessuno se ne accorge”. A scriverlo è stata Francesca Barra, giornalista. Duecento pagine in cui l’ex conduttrice della trasmissione La bellezza contro le mafie su Radio 1 Rai, nata a Policoro nel ’78, ha raccontato la sua esperienza da clochard.
Per circa un mese Francesca è vissuta alla Stazione Centrale di Milano con quattordici barboni: Antò, Gemma, la Simo, Elena ed Ana, Michela Bertocci, Tony, Aram, Maria, Matilde, Monsef, Aalok, Noori, Arnaldo. Quattro anni fa ha lasciato suo marito e suo figlio Renato e si è buttata in questa esperienza, per un’inchiesta che le era stata commissionata da Sabrina Mancini, a cui ha subito detto di sì. “Dalla miseria – scrive ancora – alla povertà, c’è un abisso che va esplorato. La povertà non piange. La verità non fa notizia, come il bene e la bontà. Ma non dobbiamo avere paura di ribaltare queste leggi”.
Tutta la la vita in un giorno è il titolo di un capitolo. Forse il più intenso. Francesca hai quindi accettato subito.
Non hai avuto paura?
Ho accettato senza il minimo dubbio. Ne ho parlato con mio marito, perché avevamo un bimbo piccolo, ma sono partita immediatamente. Ho scelto questo mestiere per stare sul campo.
Tuo marito ti ha sempre assecondata. I tuoi e tuo figlio?
Mio marito mi ha scelta e mi ama per ciò che sono: uno spirito libero ed indipendente, appassionata di un certo giornalismo che prevede e si alimenta di esperienze vissute in prima linea. Mio figlio l’altra sera mi ha detto: “Sono un bambino fortunato ad averti come mamma”. Credo che questa sia la mia migliore recensione. I miei genitori non mi hanno mai frenata, perché non ci sarebbero riusciti. Patiscono le mie scelte, spesso. Ma sono molto rispettosi e, dunque, non mi giudicano. Mia figlia Emma Angelina ha 8 mesi. A tre settimane dal parto cesareo ero in collegamento per Matrix (Attualmente Francesca è inviata del programma Matrix di Luca Telese su Canale 5, ndr) Ma ripartivo all’alba per raggiungerla. Capirà anche lei.
Come sono stati i primi giorni e in quale periodo hai fatto questa esperienza?
Era aprile. Aprile di quattro anni fa. Pensavo al dolore, ai sacrifici di quelle persone. Le osservavo. Sono molto empatica, ho assorbito le loro storie. Ho pensato poco a me, alla mia vita. Mi mancava mio figlio. Ma io sapevo che si trattava soltanto di tempo determinato. Immagino quanto possa mancare a loro tutto ciò che non hanno più.
<<continua>>
1 commento
Ho comperato il libro di Francesca Barra “Tutta la vita in un giorno – viaggio tra la gente che sopravvive mentre nessuno se ne accorge, edito da Rizzoli, dopo aver letto l’intervista all’autrice su Dol’s. Ho imparato da tempo a non fidarmi delle recensioni, perché troppo spesso non sono altro promozioni pubblicitarie.
Però mi aveva colpita il fatto che l’autrice per scrivere di senza tetto avesse vissuto come tale per un mese, alla stazione di Milano. Così sono andata in libreria e – complice una poltroncina vuota – ho sfogliato e letto una ventina di pagine. La narrazione mi ha subito coinvolta.
Ho iniziato a leggerlo in viaggio verso Roma. L’ho finito nel viaggio di ritorno, senza neppure sentirmi in imbarazzo per qualche momento di commozione specialmente nelle ultime pagine. E mi è piaciuto tanto da comperarne qualche copia da regalare in occasione di compleanni caduti in quest’ultimo periodo.