Conciliazione vuol dire equilibrio tra tempi di cura e di lavoro
Il termine “conciliazione” ha tante facce e gode di plurimi significati. Se in campo giuridico per conciliazione si intende l’azione di un terzo nel comporre due parti in lite, appare più articolata la definizione nel campo dell’organizzazione del lavoro.
Si è iniziato a parlarne in relazione all’equilibrio tra tempi di cura e di lavoro, oggi se ne parla in relazione al welfare aziendale.
Il tema è stato messo in relazione alla flessibilità nel lavoro, anche se pure il termine flessibilità non sempre sembra esser utile alla conciliazione. Perchè se una lavoratrice o un lavoratore hanno un orario flessibile che permette loro variazioni adattative a seconda delle esigenze (pur prestando attenzione alle necessità aziendali), si può parlare di conciliazione. Ma quando l’azienda spinge la flessibilità solo in funzione delle esigenze produttive, talvolta è la flessibilità stessa che porta alla negazione della conciliazione.
Paradossalmente quindi la conciliazione, che dovrebbe rappresentare un equilibrio tra esigenze delle diverse parti in causa, se non trovata ci porterà inesorabilmente alla lite (o all’abbandono del lavoro).
Oggi alcune persone sostengono di non amare il termine “conciliazione”, perchè questo presupporrebbe essere di totale pertinenza della parte femminile. Sostengono anche che il termine corretto sarebbe dunque “condivisione“. Non condivido affatto questa impostazione, in quanto credo che “conciliazione” e “condivisione” facciano riferimento a due diversi ambiti di ricerca di equilibrio tra tempi e ruoli. Nel primo caso infatti si ricerca un equilibrio tra tempi di cura e di lavoro, tra ruolo familiare e professionale; nel secondo caso l’obiettivo appare essere una maggiore parità fra carichi di cura che tradizionalmente apparivano in capo solo alla figura femminile, ma che oggi – di fronte ad una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e ad una mutata relazione dei padri nei confronti dei figli – necessitano di una diversa ripartizione. Inoltre la demografia ci sta insegnando che, anche in funzione delle diminuite dimensioni delle famiglie e delle relazioni familiari-parentali ed all’aumentare dell’età media di vita, sempre più maschi figli unici e single dovranno farsi carico della cura dei genitori anziani.
Quanto detto mi permette di rompere uno stereotipo ormai troppo in uso, ovvero che la conciliazione sia solo un problema di donne. Se alle donne va riconosciuto il merito di aver sollevato l’attenzione, sempre più le soluzioni di conciliazione sperimentate andranno a favore di donne e uomini. Per questa ragione forse oggi potremmo sperare in un più fertile terreno in questo campo.
Affrontare la mancata conciliazione e sperimentare soluzioni conciliative, non significa trovare un modello ideale buono per tutte le stagioni. Significa predisporre le organizzazioni (del lavoro, di erogazione di servizi pubblici e privati, solo per fare qualche esempio) ad ascoltare delle necessità (mobili nel tempo perchè in funzione dei diversi momenti della vita di donne, uomini e delle aziende) del territorio di riferimento, predisponendo soluzioni variabili nel tempo, ma che avranno come scopo ultimo una rinnovata capacità di produrre benessere e produttività.