I tempi per ottenere il divorzio si accorciano. Proposta legge in parlamento. Un bene o un male?
di Anna Paola Klinger
I tempi per ottenere il divorzio si accorciano. Proposta legge in parlamento. Un bene o un male?
E’ notizia apparsa su tutti i giornali, ed ampiamente pubblicizzata peraltro come fosse già una modifica legislativa in atto, quella del primo via libera al divorzio breve.
Di che cosa si tratta? In realtà, per ora, solo di una proposta di legge secondo il testo approvato in commissione, ma ancora non divenuto legge dello Stato; ove la proposta venga recepita dal Parlamento (sarà in aula dal 26 maggio in poi), si abbrevieranno considerevolmente i tempi necessari per giungere al divorzio, dopo la pronuncia di separazione.
Oggi, per presentare la domanda di divorzio (rectius, di scioglimento del matrimonio ove si tratti di matrimonio contratto con rito civile, o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ove si tratti di matrimonio con rito concordatario, cioè contratto in Chiesa), sono necessari tre anni, decorrenti dall’udienza di comparizione dei coniugi avanti il Tribunale (Presidente o Istruttore facente funzioni, a seconda che si tratti di una consensuale o di una giudiziale).
La proposta di legge, invece, prevede che i tempi si abbrevino a 6 mesi, in caso di separazione consensuale, e a 12 mesi in caso di separazione giudiziale. Il termine, poi, decorrerà dal deposito degli atti e non più dall’udienza di comparizione.
Personalmente, lo dichiaro subito, sono contraria.
Preciso che parlo da avvocato matrimonialista con circa vent’anni di esperienza, parlo da moglie divorziata, parlo da figlia di divorziati tra i primi in Italia, negli anni 70.
La fase di separazione lungi dall’essere un’inutile perdita di tempo, è quel periodo necessario, anzi indispensabile ai coniugi per primi ed a tutta la famiglia, figli compresi, poi, per prendere atto della nuova situazione.
Questa nuova situazione è tutt’altro che semplice, tutt’altro che naturale e tutt’altro che priva di dolore, per qualunque coppia, per qualunque genitore, per qualunque figlio.
Si tratta in primo luogo per i coniugi, di una nuova situazione economica, abitativa, familiare e sociale per i due coniugi.
Solo dopo separati – magari dopo anni – iniziano a rendersi conto che non sono più una coppia, che non devono più far riferimento all’altro, che all’altro devono, anzi, rispetto come ad un estraneo (e questa è una conquista, paradossalmente).
Devono, in sostanza, elaborare una perdita, un lutto, e risettare i ragionamenti ed i pensieri.
Devono fare i conti con quello che è, comunque, il fallimento di un progetto, la rivisitazione di un ruolo, il cambiamento di una vita.
E’ inoltre, la separazione, il periodo in cui si mette alla prova la tenuta degli accordi, sia economici (ed è il meno), sia soprattutto di organizzazione delle frequentazioni con i figli.
Ragazzi, o bambini, con la valigia, ragazzi con una doppia vita faticosa, ma anche ragazzi che devono imparare la libertà di poter voler bene a ciascun genitore separatamente, senza intrusioni, interferenze, preoccupazioni, presenza dell’altro genitore.
Ma la stabilizzazione del come avviene tale frequentazione, e la serenità per affrontarla, non sono cose da dieci minuti. Tutt’altro.
La separazione, inoltre, è il periodo in cui anche gli altri familiari, i nonni, gli zii si adattano alla nuova realtà familiare (pensate alle feste comandate, ai compleanni, alle Prime Comunioni, quelle che prima erano occasioni liete e ora divengono casi difficili da gestire, imbarazzanti se va bene, da imparare a gestire in una nuova ottica).
Insomma, la separazione è il periodo della pazienza, che dovrebbe portare alla normalizzazione di una situazione familiare che ha attraversato una grave crisi, spesso drammatica, per condurre a nuovi equilibri.
Se ben sfruttato, è il periodo da cui si esce con una speranza di serenità e di futuro.
E’ anche il periodo-cuscinetto che consente, in presenza di coniugi “frettolosi” nel far entrare nuovi compagni nella vita propria o dei figli, di mettere un freno all’avventatezza.
Inoltre, appena separati, tutti i coniugi passano un momento di frizione (economica) e di paura (di perdere i figli), che solo il tempo placa, allorquando si avvedono che ce la si fa, che i figli non si perdono, che la vita continua.
Se dopo soli sei mesi dal deposito degli atti di separazione (il che vuol dire dopo 2 mesi dall’udienza di separazione) consentiamo ai coniugi di procedere con il divorzio, riapriamo ferite e discussioni che non si sono ancora rimarginate, ravvivando un dolore ed una acrimonia che invece hanno bisogno di quiete e tempo.
Se proprio si voleva e doveva velocizzare il procedimento, allora meglio studiare un divorzio diretto, senza fase di separazione; almeno, avremmo evitato la doppia guerra tra coniugi, a tacere della mia perplessità sul fatto che i Tribunali reggano i ritmi delle legge o piuttosto rischino di accavallare le procedure cosi ravvicinate, iniziando un divorzio quando la fase di separazione non è ancora conclusa.
Detto questo, mi permetto di sottolineare come la vera modifica dell’Istituto non è tanto quella relativa alla tempistica, ma quella – auspicabile davvero – di togliere queste procedure dai Tribunali, per portarle in ambienti più confacenti allo scopo, come consultori ben attrezzati e camere di mediazione familiare, dove la famiglia, nuova, possa ripartire senza i traumi di un giudizio ma con la guida emotiva e relazionale di cui ha bisogno per guardare con speranza e serenità ad futuro ove è ancora possibile il rispetto, l’affetto e la felicità di tutti i componenti del nucleo familiare.