Barcellona, una città affascinante e misteriosa in cui perdersi. E vista dall’alto sembra un mandala.
di Marco Zincone
Questi sono gli appunti di un viaggio un po’ particolare: un viaggio cominciato come turista nel 1978; ripreso, ripetuto e rivissuto in chiavi diverse fino al 1998, quando la vita mi ha messo in condizioni di trasferirmi definitivamente da Milano a questa città solare e multietnica che vive e valorizza certi cambiamenti e resiste strenuamente ad altri. Oggi il viaggio continua, ma lo sguardo che si rivolge alla città in cui si abita è sempre un po’ più duro e meno tolerante…
La Barcellona che vediamo oggi è il frutto di una storia urbanistica e sociale piuttosto particolare: fino alla seconda metà dell’Ottocento il governo madrileno la limitò alle ormai anguste mura medievali (che sorgevano dove oggi scorre il cerchio delle Rondas: Ronda Sant Antoni, Ronda Sant Pau, Ronda Universitat…) e la sottomise al controllo di una odiata cittadella militare, costruita nel Settecento appunto per tenere a bada la capitale catana, sempre ribelle. Questa sorgeva dove oggi si estende il Parque de la Ciudadela: era così odiata che nessuno avrebbe accettato di vivere in case costruite su quei terreni, tanto che dopo la sua distruzione se ne fece un parco, come per far scontare con un utilizzo sociale i peccati che la cittadella aveva accumulato.
In quella stessa epoca, autorizzata ad esplodere fuori dalle mura, Barcellona invase tutta la pianura circostante, fino ad assorbire l’anello dei paesini che le facevano corona: Sarrià, Gràcia, Sant Andreu e altri, che oggi sono quartieri, così orgogliosi delle loro origini da celebrare ancora feste patronali separate. Il dilagare della città avvenne però (in accordo con il razionalissimo carattere catalano) secondo un piano urbanistico accuratamente selezionato e scelto in base a un concorso. Secondo il piano, la pianura sarebbe stata invasa da un’ordinata serie di quadratini, di ognuno dei quali sarebbero stati edificati solo due lati, in modo che ogni quattro quadratini fosse racchiuso un piccolo parco. Ogni x quadratini, una scuola, ogni y un ospedale, ogni z un mercato e così via. La città ideale, insomma.
Purtroppo, la pianificazione a tavolino è molto bella ma i soldi fanno gola a tutti e la speculazione immobiliare indusse presto a costruire quadrati chiusi, con tristi cortili al posto dei piccoli parchi. Anzi, visto che i cortili erano piuttosto ampi, in alcuni casi sorsero edifici addizionali all’interno dei cortili stessi, ma le zone verdi rimasero tutte fuori dal centro
Insomma, addio città ideale, ma l’eredità che il secolo scorso ci ha lasciato è ugualmente inestimabile: la vista aerea di Barcellona (se non avete un elicottero a portata di mano potete farvi un’idea guardando una piantina o certe cartoline della città) offre un’immagine degna di un complicato mandala tibetano e guardandola si potrebbe meditare per ore.
Per convenzione, Barcellona viene disegnata nelle piantine con il mare in basso e la montagna del Tibidabo in alto, anche se in realtà il mare si trova a est e la montagna a ovest. Nella parte inferiore vediamo la collina di Montjuïc, con le installazioni lasciate dalle Olimpiadi del 1992, poi la città vecchia (un complicato gomitolo tondeggiante), il Parque de la Ciudadela, il quartiere del Poble Nou e per ultimo, a destra, il nuovo quartiere di Diagonal Mar, dove si concentrano grattacieli e altre architetture avveniristiche. È il quartiere che era destinato a rappresentare la Barcellona del futuro, ma è stato duramente stroncato dalla crisi economica di questi anni, qui materializzata in edifici lasciati a metà o aree non ancora allestite per le loro future destinazioni.
“Sopra” a questa prima fascia, si estende l’Eixample, la celebre area quadrettata, tagliata trasversalmente dalla grande Avinguda Diagonal, un vialone che va dal mare alla montagna separando la zona “alta”, dove per tradizione sono concentrati i quartieri più eleganti. A Barcellona vivere lontano dal mare è un segno di distinzione: la città vecchia e la Barceloneta, dove in alcune case si gode l’invidiabile privilegio di vedere il mare dalle finestre, sono zone povere, oggi riservate in gran parte agli immigranti (ai quali si mescolano volentieri i giovani bohemien che hanno già rivalutato il quartiere del Borne e stanno facendo rivalutare quello del Raval), per non parlare dell’antica bidonville di Somorrostro, che sorgeva dove oggi è stata costruita la Vila Olimpica, alle spalle del Port Olímpic, un altro quartiere vicino al mare progettato per essere elegante e mai veramente “decollato”.
Infine, sopra alla Diagonal restano alcuni quartieri “eleganti” e alcuni che eleganti non sono e sono sorti perché da qualche parte la città doveva pur espandersi. Più oltre, c’è la montagna: la sierra de Collserola.
Barcellona è una città fiera, fiera anzitutto delle proprie radici e tradizioni catalane: di una identità che si rifà alla storia antica e medievale, combattuta, cancellata e calpestata in vari modi dalla Spagna, creando il complesso mix di amore-odio in cui ancor oggi si dibatte. La non-indipendenza della Catalogna risale al Medioevo, quando i troni di Catalogna e Aragona si scambiarono, fusero e confusero tanto da far perdere di vista l’identità di questa regione e del suo popolo, che si videro assorbiti loro malgrado. Per fare solo un esempio, ricordiamo che in Italia si attribuisce agli spagnoli la conquista dell’Italia meridionale e della Sardegna, che invece erano colonie catalano-aragonesi. Non per nulla, ad Alghero si parla ancora il catalano. Forse, se tanti punti oscuri o volutamente nebulosi della storia fossero chiariti, risulterebbero più chiare anche le attuali istanze separatiste, che per molti sono un enigma.
Del resto, i turisti vengono in questa città “sveglia 24 ore” (falso) a cercare spettacoli di flamenco (andaluso) e tornano a casa con la sensazione di aver visitato una città aperta e cordiale (falso). I catalani non sono cordiali, lo dico con affetto: un po’ come i nostri montanari, sono più che altro spaventati da questo tsunami continuo di gente con altre lingue e altre abitudini, che vivono come una minaccia alla loro individualità, gente che trattano bene soprattutto perché sanno che sono diventati la risorsa principale della loro economia. I barcellonesi cercano di andare a dormire abbastanza presto, per alzarsi presto e lavorare, un po’ per atavico amore del lavoro e un po’ per riassestare l’economia scossa dalla recente crisi. Chi è sveglio 24 ore sono i visitatori stranieri, che si incontrano sempre tra loro e nell’ebbrezza di aver scoperto una città multietnica non si accorgono che di notte mancano proprio i catalani. Quanto a flamenco, peinetas, tori e ballerine di sevillanas con il vestito a pois (bata de lunares), sono tutti simboli del folclore andaluso, che qui hanno tanto senso quanto le gondole vendute a Milano, ma questo non importa a nessun turista.
Le ramblas sono un grande viale alberato, che taglia a metà la città vecchia scendendo dalla Plaza Catalunya al mare. Sono – giustamente – il viale più famoso della città, perché qui si respirava l’atmosfera più genuinamente barcellonese: la commistione di grandi banchi di fiori, travestiti con le borse del supermercato, signore eleganti che aspettano di entrare al teatro dell’Opera, bottegucce e studenti, con la colonna sonora degli uccellini in gabbia, creava un mix irresistibile. Oggi non ci sono più uccellini (i banchi che vendevano piccoli animali sono stati giustamente spazzati via da una legge sul maltrattamento), le bottegucce rimaste sono pochissime e bisogna snidarle tra bar e negozi di souvenir, una birra seduti a un tavolo all’aperto costa una fortuna e i travestiti forse non fanno più la spesa o la fanno in altri supermercati. Tutto è stato soppiantato da una marea di turisti che continua ad apprezzare ciò che resta di questo viale (dove si aprono tre o quattro teatri, un paio di gallerie d’arte, il teatro dell’opera e il mercato alimentare più grande della città) e si fanno fare ritratti per la strada. Del resto, tutto il mondo è paese e credo che anche Montmartre o Piazza san Marco avessero un fascino diverso qualche decina di anni fa.
Annidata dietro alle Ramblas, quasi di fronte al teatro Liceu (il teatro dell’Opera, ricostruito a tempo di record negli anni Novanta dopo un disastroso incendio) si apre la Plaça Reial: un quadrato porticato ancora ricco di fascino, nonostante le code di visitatori affamati davanti ai ristoranti. Qualche macchina della polizia, parcheggiata con le porte aperte, ci ricorda che questa Piazza non è più un centro della ricettazione e dello smercio di droga. Adesso è soprattutto…un luogo di ritrovo per orde di visitatori più o meno famelici.
Dietro alla Plaça Reial si snoda un labirinto di stradine, che corresponde all’antico quartiere ebraico e al nucleo originario della colonia romana da cui è nata Barcellona. Qui si trovano innumerevoli altri negozietti, alcuni davvero da non perdere, come El ingenio, che vende articoli di carnevale e per feste.
Procedendo nella città vecchia (questa parte si chiama barrio gotico) si raggiunge la cattedrale (splendido gotico originario nella parte absidale, facciata costruita “in stile” all’inizio del XX secolo – ma assolutamente da non perdere il chiostro, dove vive un branco di oche) e più oltre la via Laietana, un grande stradone (oggi trafficatissimo ma elegante) costruito al tempi dell’Eixample (a cavallo tra XIX e XX secolo) che va dal centro novecentesco al mare. Per crearlo sono stati abbattuti interi quartieri, ma qualche edificio è stato salvato smontandolo e rimontandolo altrove. Prima di arrivarci, vi consiglio di gettare uno sguardo alla plaça di sant Felip Neri, una piazzetta raccolta e silenziosa, nascosta tra le case a destra della cattedrale. È un angolo pacifico che trascina una storia tormentata ed è uno dei miei angoli favoriti di questa città.
Oltre la via Laietana, la meraviglia continua: scendendo dal centro al mare si incontrano il Palau de la Música, il mercat de Santa Caterina e la splendida Santa Maria del Mar, con il vicino Mercat del Borne. Ognuno di questi meriterebbe un ampio commento, ma non stiamo redigendo una guida…
Insomma, anche se molti degli aspetti più “puri” e più “caratteristici” sono stati modernizzati e stravolti, la città resta bellissima e ricca di fascino, ha un clima ideale, una ottima qualità di vita, un buonissimo servizio di mezzi pubblici, grande attenzione a invalidi e handicappati, una burocrazia snella ed efficiente. Ma questi aspetti non si evidenziano con una visita frettolosa.
La Barcellona del futuro probabilmente non sarà quella dei grattacieli della Diagonal Mar, il miglior augurio che posso fare a questa città un po’ troppo intrisa di competitività è quello di trovare una via propia al futuro, che non passi per uno skyline troppo segmentato.