Donne e bambine non cessano di essere nel mirino delle violenze maschili nella regione indiana dell’Uttar Pradesh.
I massacri aumentano costantemente a ritmi vertiginosi ma come avviene spesso in Occidente, le notizie relative a tali scempi remoti vengono relegate in un angolo sempre più angusto, tracce inequivocabili di eco ormai quasi sul punto di spegnersi del tutto.
Così queste donne, queste bambine continuano a morire in sordina come sono vissute, senza lasciare alcuna traccia di sè in quel mondo che del resto non ha mai badato a loro nè ne ha mai avvertito gli strazianti gemiti di dolore.
In India nascere femmina significa rischiare la vita ogni giorno e per i motivi tavolta più futili che si possa ipotizzare: per ribellione alla tradizione, per sterilità, per conati emancipatori, per sete di apprendimento semplicemente per non aver partorito un figlio di sesso maschile all’uomo raramente scelto per amore.
Una realtà troppo crudele per poter essere accettata in quanto tale. I finti moralizzatori e gli pseudobenpensanti – degni eredi del patriarcato – preferiscono volgere lo sguardo altrove: è più comodo, meno coinvolgente sul piano pratico ed emotivo.
Mi chiedo a questo punto perchè i gruppi femministi tanto attivi un tempo insistano oggi nel tacere. Non si mossero una decade fa in difesa delle donne afghane prigioniere della misoginia integralista; non lo fanno ora per quelle indiane e neppure per le saudite, yemenite, nigeriane o che altro.
E sebbene anche nella nostra discutibilissima Italia i femminicidi, (alias omicidi di genere) stiano aumentando in modo preoccupante, a parte qualche sporadico gruppo di assistenza creato ad hoc nessun movimento degno di nota è
stato registrato sul lato della protesta di massa. Le notizie inerenti atti di violenza perpetrati sulle donne sembrano ridursi gradualmente a un mero argomento da trattare, al massimo, nei nei talk show popolari più seguiti dal
pubblico.
Tuttavia non basta una Barbara D’Urso di turno che da uno studio televisivo qualunque non smetta di ricordare alle sue simili che “chi vi picchia non via ama” e che “la violenza va denunciata subito alle autorità competenti”.
Non basta e non serve perchè non esistono leggi davvero efficaci e quelle blande attualmente contemplate dal codice penale non vengono quasi mai applicate a dovere nelle aule tribunalizie.
Nella lontana India come in questa parte d’Europa la popolazione femminile è decimata dai soprusi, dall’inerzia delle istituzioni.
Il tutto adeguatamente condito (e ciò fa immensamente male) dall’apatia stagnante di coloro che una volta amavano declamare ai quattro venti “Io sono mia: il corpo è mio e lo gestisco io”.
Ecco, vorrei sapere che fine ha fatto questa grinta combattiva delle femministe storiche. Vorrei ritrovare quella vena polemica e agguerrita nelle donne di oggi che ancora credono nelle potenzialità femminili, che hanno a
cuore la dignita umana e la giustizia sociale. Sofferenti, malgrado le apparenze, per le tutte le brutture che se da un lato paiono persino impossibili da arginare, dall’altro rivelano i complessi meccanismi da cui derivano, frutti a loro volta di mentalità arcaiuche da diveltere partendo dalle radici dell’intransigenza assoluta, sia essa religiosa, culturale, etnica
o di genere.
Mi aspetto che in nome di chi non ha voce le donne, tutte le donne indipendentemente dall’età o dal luogo di provenienza, comincino davvero a considerare come proprio cio che avviene al di fuori dei loro limitati confini
quotidiani. Ciascuna di noi incarna una vittima potenziale, almeno virtualmente. L’empatia, poi, non è un luogo comune, a prescindere dal fatto che le nostre sorelle uccise non si aspettano certo l’oblio da parte delle sorelle rimaste.
Le tristi vicende di cui siamo testimoni involontarie, dopotutto, appartengono anche a noi; hanno caratterizzato il tessuto connettivo del nostro passato e non devono più rappresentare una costante invariabile del futuro che ci aspetta.
Parliamone, scriviamone, confrontiamoci in merito ma, per favore, smettiamola di fingere una sordità agli eventi e un cinismo ipocrita che, il linea generale, non ci appartengono affatto.