Donatella Martini presidente di DonneinQuota critica aspramente ciò che è stato fatto dal Comune di Milano contro la pubblicità sessista.
da http://www.arcipelagomilano.org/archives/33453
Rompo gli induci e dico senza mezzi termini la mia. Contro la pubblicità sessista il Comune di Milano non ha fatto quel che doveva. Non voglio apparire come una guastafeste, né assumere un atteggiamento ipercritico. Intendo spiegare, dati alla mano, perché sono scoraggiata. E il verbo scoraggiare non rende appieno la mia posizione di presidente dell’associazione DonneinQuota, impegnata su questo fronte dal 2008, a partire dalla pubblicazione della Risoluzione del Parlamento Europeo sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini (2038/2008)
Oggi la sensibilità dell’opinione pubblica è cambiata ed è più attenta a questi temi. Lo dimostra l’ultimo caso che ha fatto recentemente discutere (e meno male): quello della pubblicità Sant’Anna, con cui sono stati tappezzati i mezzi pubblici della città con tanto di succo di frutta associato alla gigantografia del sedere di una ragazza. Ma anche la campagna contro la pubblicità sessista che il Presidente dell’Art Directors Club Italiano (ADCI), il pubblicitario Massimo Guastini, ha lanciato nel 2013 e che in breve tempo ha raccolto decine di migliaia di firme.
La metropoli che si prepara all’Expo 2015 ha grattacieli più alti, piste ciclabili che sembra quasi possibile attraversarla tutta in bicicletta, nuove stazioni della metro lilla, che è pure un bel colore. Ma, su molte facciate di antichi palazzi e su molti ponteggi che proteggono i cantieri, continuano a comparire gigantografie di donne-corpo, di donne-richiamo sessista per gli acquisti. Una infamante peculiarità milanese che Giuliano Pisapia, così sostenuto e trascinato verso la responsabilità di sindaco dalle associazioni femminili, non ha saputo (o non ha voluto?) azzerare.
Come invece bisognerebbe fare e come ci aspettavamo che succedesse. È stato istituito un tavolo per fronteggiare l’emergenza civile della pubblicità offensiva in città, e il tavolo è rimasto solo. Uno a uno se ne sono andati tutti quelli che da anni – l’associazione che presiedo in primis – combattono le volgarità e le discriminazioni di genere che filtrano dai cartelloni affissi sotto i nostri occhi, senza che i nostri occhi possano fare alcunché per evitare di vederli. E assimilare, mi riferisco soprattutto ai più giovani, l’idea che del corpo di una donna, e di una donna, si possa fare tutto ciò che ci passa per la test
La delegata del sindaco su questo tema, Francesca Zajczyk, subito dopo la nomina aveva ufficialmente dichiarato che il suo primo impegno sarebbe stata l’istituzione di un Giurì sulla pubblicità sessista. E il Giurì non si è mai neanche lontanamente visto. Si è vista, invece e addirittura, lo abbiamo denunciato su questo giornale chiedendone inutilmente lo stralcio, la delibera del 28 giugno 2013, “Indirizzi fondamentali in materia di pubblicità discriminatoria e lesiva della dignità della donna” che al punto 2 impegna il Comune a contrastare «le immagini volgari, indecenti, ripugnanti, devianti da quello che la comunità percepisce come normale, tali da ledere la sensibilità del pubblico».
Più rileggo questo passaggio, più rifletto su questa delibera, e più non credo possibile che la giunta arancione di Milano abbia potuto partorire un simile obbrobrio. Che sostanzialmente legittima anziché contrastare l’abbassamento della percezione del livello di violenza sulle donne, inclusa quella che passa dai manifesti oltraggiosi della dignità femminile. Da menti aperte ed esperte era obiettivamente scontato aspettarsi qualcosa di meno normale e inefficace.
E qui voglio fare autocritica. Ho commesso un errore nel non dire subito, pubblicamente e con energia, che l’istituzione di una figura-filtro sulla questione Pari opportunità, e dunque anche sessismo, era sbagliata e ambigua. Al di là dell’incisività e della competenza della delegata Zajczyk, é proprio il fatto che Giuliano Pisapia non abbia ritenuto di prevedere uno specifico assessorato (magari con portafoglio) che andava censurato.
Subito. Senza tentennamenti, mediazioni e attese risultati poi del tutto vani. A rileggere oggi il suo comportamento, sembra che tutto l’impegno del sindaco dell’arcobaleno si sia esaurito con il 50 e 50 della formazione della giunta e poco altro. Per il resto, sull’enorme questione della città imbellettata di sessismo, la fascia tricolore di Giuliano Pisapia non si è imposta con la decisione che ci si aspettava.
Per dare il senso di quanto sia grande il problema, ho chiesto a Paola Ciccioli, amica giornalista che spesso ospita le attività di DonneinQuota sul blog di Donne della realtà, di andare in Comune per capire, una volta per tutte quali siano i numeri interessati dal business della pubblicità stradale, quella a più alta incidenza di stereotipi e violenza visiva a Milano. Il quadro che Paola Ciccioli ha delineato grazie alla collaborazione dell’architetto Mario Zito e del direttore del settore pubblicità Fabio Mancuso è questo:
1) L’affissione dei manifesti in città segue due strade. La prima afferisce direttamente al Comune, la seconda è data in concessione alle agenzie che gestiscono gli impianti privati. Questa è la premessa da tenere bene a mente.
2) Sotto il diretto controllo comunale ci sono 3.114 strutture su cui affiggere le pubblicità e queste strutture occupano complessivamente una superficie di 24 mila metri quadrati. Qual è, invece, la superficie totale in mano ai privati che, senza vincoli di sorta, viene ricoperta da gigantografie in cui, troppo spesso, a un nuovo modello di macchina si affianca un sedere di donna, a un pacchetto di spaghetti in offerta speciale una bocca allusiva, a un nuovo brand di abbigliamento il più denudato possibile pezzo di corpo femminile? Questa superficie è pari a 300 mila metri quadrati, una città nella città, insomma. Senza leggi, senza controllo, senza l’obbligo di rispettare anche i più flebili richiami delle più equivoche delibere.
3) Fatta 100 la torta pubblicità, dunque, il 93 per cento del business è in mano ai concessionari. Ciò che il Comune può ripulire con la delibera è soltanto il 7 per cento del totale. Lo spicchio direttamente gestito dall’amministrazione si traduce in introiti pari a un milione e 900 mila euro all’anno. La grande torta in mano ai privati, invece, porta nelle casse di Palazzo Marino intorno ai 9 milioni di euro ogni anno, che lievitano a 19 milioni se si includono anche le insegne di esercizio, cioè, per fare uno dei tanti esempi, quelle dei sexy shop (le cifre sono aggiornate a circa 3 mesi fa).
Non sarà che non si vuole dare fastidio ai concessionari di pubblicità per timore che il flusso di denaro che entra nelle casse del Comune diminuisca? Lascio a voi l’ardua sentenza. Rimane il fatto grave, gravissimo che la Giunta Pisapia abbia adottato uno stile di “finto ascolto” del territorio ma alla fine – come chi l’ha preceduta – abbia fatto calare dall’alto le sue decisioni, oltretutto mal formulate e/o sbandierate come risolutive quando invece riguardano, come abbiamo visto, una esigua fetta dell’affare pubblicità.
Alcune parole sul Protocollo che l’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ha siglato a marzo di quest’anno con l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP), per la tutela della dignità femminile nelle affissioni locali. Si tratta dello stesso protocollo che la Ministra Mara Carfagna firmò nel 2011 con lo IAP e che non è stato mai applicato per mancanza di volontà politica. Ma come mai ce lo ripropongono a 3 anni di distanza? Non siamo riuscite a chiarire la questione con l’ANCI perché sia il presidente, Piero Fassino, che la responsabile alle Pari Opportunità, non hanno accettato di rispondere alle nostre domande, neanche per iscritto.
In conclusione, riteniamo che Palazzo Marino debba aprirsi realmente a un percorso vero e costruttivo che coinvolga le realtà cittadine che da anni lavorano sul territorio per poter poi offrire alla città soluzioni che contrastino effettivamente il sessismo in pubblicità. Il sessismo è un problema culturale e come tale dovrebbe essere affrontato. Milano si deve proporre come laboratorio di sperimentazione educativa a partire dalle scuole materne.
Il discorso è talmente ampio che ci riserviamo di approfondire tutti i punti sensibili confidando ancora nell’ospitalità di ArcipelagoMilano.
Donatella Martini
Presidente Associazione DonneinQuota