Donna, mamma e soprattutto direttore di una testata molto amata dalle donne: Donna Moderna, Annalisa Monfreda.
Nata a Bari nel 78, ha vissuto a Casamassima (una ventina di chilometri più a sud) i primi 24 (bellissimi) anni della sua vita. Gli altri 12 li ha vissuti a Milano e non sono stati da meno (sue parole), anche perché si è sposata e ha avuto due splendide bambine, Sara e Marta, di 6 e 3 anni, di cui va fiera.
Non ho molto da aggiungere perché lei ci racconterà tutto rispondendo alle mie domande. O forse sì, qualcosa da dire l’avrei : è simpaticamente ironica nelle sue risposte.
Che studi ha fatto e dove?
Ho studiato a Bari: il diploma in pianoforte al conservatorio, la maturità scientifica e la laurea in Lettere all’Università. Poi, per avere un pezzo di carta che parlasse di giornalismo, ho cercato il master più economico del pianeta e l’ho trovato a Urbino: 1 anno. Che però è stato determinante per gli incontri che ho fatto: alcuni grandi mentori e un grande amore (mio marito).
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Il primo lavoro è stato lo stage al Corriere Della Sera? Ce ne vuol parlare?
No, non parlerei dello stage (gratuito) come primo lavoro… Le ossa me le sono fatte prima, nella redazione barese del Corriere del Mezzogiorno, dorso locale del Corriere della Sera. Dove ho imparato a cercare le notizie per strada e a far parlare la gente. Quando sono arrivata al Corrierone nazionale ho imparato poco (triste destino degli stagisti) ma ho aperto gli occhi su ciò che è questo lavoro oggi (tanta scrivania, poca strada), ho fatto un bel bagno di umiltà (scrivendo didascalie per tre mesi esatti) e ho gettato le basi per trovare la mia nicchia di felicità in una professione che attraversa tempi difficili.
Come è arrivata a Donna Moderna, lei così giovane? Si aspettava di arrivare al successo in così pochi anni? Ha dovuto accettare compromessi?
Donna Moderna è la mia quarta direzione: forse il curriculum mi ha un po’ aiutata. La vera stranezza della mia carriera lavorativa è la prima direzione, arrivata all’età di 30 anni. Che si spiega con un capo tedesco che decide di rischiare (ma non troppo dal suo punto di vista) e io, mamma da un mese, che scelgo di accettare, col pericolo di bruciarmi per sempre. E infatti se penso alle cose che ho fatto nei primi passi da direttore, mi vengono i brividi. Ma anche lì: tanta tenacia (lavoravo notte e giorno), tanta umiltà (cercavo di imparare da chiunque, anche dalla signora che al parrucchiere sfogliava il giornale) e tanta autostima (non mi lasciavo abbattere dai fallimenti) hanno fatto sì che mi dessero fiducia ancora e poi ancora, fino a Donna Moderna.
L’età certo è sorprendente. Ma non lo era per il mio capo tedesco: in Germania ai tempi c’era un direttore di 23 anni. E neppure per i successivi capi americani: nei due anni di direzione a Cosmopolitan, ho incontrato colleghi direttori di altri paesi di 25 anni! Insomma, “da che punto guardi il mondo, tutto dipende”.
Il compromesso più importante che ho dovuto fare è con me stessa: accettare di dover aggiornare continuamente la mia idea di felicità. Dieci anni fa non avrei voluto neppure diventare caposervizio perché avrei dovuto rinunciare a scrivere, la mia passione. Oggi scrivo solo editoriali e post per il blog (http://giornimoderni.donnamoderna.com/author/amonfreda/). Eppure sono felice più di allora. È tutta un questione di riprogrammarsi e di non rimanere legati a un ideale di felicità immobile mentre la vita e noi cambiamo.
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Come è riuscita a portare avanti la sua vita lavorativa conciliandola con quella famigliare?
Domandona. Dal punto di vista pratico sono una privilegiata: organizzo il lavoro e quindi mi regalo la flessibilità necessaria per tornare a casa relativamente presto per stare con le mie figlie. Inoltre, la disponibilità economica mi consente di avere una babysitter e di poter usufruire di tutti quei servizi (a pagamento) che una città come Milano offre per i bambini: corsi, iniziative eccetera.
Dal punto di vista psicologico la cosa è più complessa. Da una parte, il senso di colpa per l’assenza. Dall’altra, un lavoro di responsabilità che invade lo spazio del privato con ansie e preoccupazioni. Col tempo ho imparato un piccolo trucco, e a furia di metterlo in pratica ora mi viene naturale: quando la sera arrivo davanti alla porta di casa, faccio un gran respiro e porto dentro con me solo il carico di entusiasmo che da sempre accompagna il mio lavoro, mentre lascio fuori tutti gli aspetti negativi. “Sara, guarda questo articolo che abbiamo fatto sui braccialetti di plastica che ti piacciono”, “Marta, sai che ho scoperto un nuovo parco…” In questo modo, figlie e marito non vivono il mio lavoro come un competitor nella conquista delle mie attenzioni, ma come “ciò che fa felice la mamma”.
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Alcune giornaliste si sono fermate ad un figlio solo… per non ostacolare la carriera.
Confesso che sogno il terzo. Al quale non mi applico solo perché mio marito è alle prese con un nuovo lavoro, molto impegnativo. E senza il suo supporto sarebbe tutto troppo difficile. Com’è cambiato il mondo, eh?
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Quanto è importante per una donna fare un lavoro che la soddisfi?
Tanto, altrimenti il giochino della porta che raccontavo prima non funziona. E infatti so di essere davvero fortunata. In tempi di crisi, quando trovare un lavoro è difficile, trovare un lavoro che soddisfi sembra addirittura impossibile. Lo capisco dalle tante lettere che ricevo da parte delle lettrici. Ma da loro ho anche imparato che a determinare la soddisfazione non è quale-lavoro-fai ma le condizioni in cui lo fai. Ecco perché chi è responsabile di queste condizioni deve impegnarsi a far star bene la gente al lavoro. Almeno metà dei miei sforzi professionali sono volti proprio a questo: a far vivere bene chi lavora con me.
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E quanto di ciò può avvantaggiarsene la società?
Tantissimo. Pensa se gli skills di una moglie, la professionalità di una madre, il talento per la conciliazione che hanno le donne fossero applicati al mondo del lavoro non sporadicamente come adesso, ma sistematicamente? Non credi che vivremmo in un mondo migliore?
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Il mondo del giornalismo è in crisi. Come venirne fuori?
È in crisi il giornalismo che rimane legato (o peggio ancora replica) gli schemi del vecchio giornalismo di carta. Non è in crisi la fame di informazione che ha la gente. È da quella che dobbiamo ripartire. Ora, non ho le idee chiare sul modello di business che va costruito. Ma ho un’idea del tipo di contenuti da produrre: tempestività, servizio e coinvolgimento del lettore sul web; riflessione e inchieste approfondite sulla carta.
Tutti noi giornalisti lo sappiamo. Però quando si tratta di NON pubblicare la foto del nubifragio solo perché non si ha ancora nulla di nuovo da dire, non ce la facciamo. Abbiamo paura di “bucare”. Ma bucare cosa? Ciò che i lettori hanno visto e letto tra tv e web ormai da ore, talvolta da giorni?
Io penso che questa sia una professione tanto idealizzata e tanto autoriferita. Si fa fatica a reinventarla perché non si parte dai lettori, ma da noi giornalisti.
Se non facesse la giornalista cosa farebbe? Ha rimpianti per un’occasione persa? Ha mai pensato che sarebbe più felice facendo un altro lavoro?
Ho iniziato talmente presto a fare la giornalista che non ho fatto in tempo a immaginare un altro lavoro. Certo, mi sarebbe anche piaciuto fare la pianista. Ma non avevo talento a sufficienza per sopravvivere di sola musica. Capire ciò che sai fare meglio, anche rinunciando a qualcosa che idealmente ti sarebbe piaciuto fare, è la chiave della soddisfazione lavorativa. Detto ciò, potrei accettare di non fare più la giornalista ed essere felice lo stesso. Tutto sta a riprogrammarsi, come le dicevo prima. E comunque cercherei un lavoro che mi portasse ad ascoltare la gente e a poter scrivere le loro storie: ti viene in mente qualcosa?
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Cosa pensa di orientare tecnologicamente il suo giornale? Le donne preferiscono leggere le riviste (al mare soprattutto) o si stanno orientando sempre maggiormente al tablet e smart-phone. Farete delle app?
Le donne sono molto tecnologiche, ma ciò non vuol dire che leggano i giornali sul tablet. Chiaramente anche noi abbiamo una app con il pdf del giornale sfogliabile, ma questo non è il futuro del giornale di carta, solo un passaggio intermedio. Da poco abbiamo lanciato il sito Giorni Moderni, intermente gestito dalla redazione, dove sperimentiamo un nuovo modo di fare notizia. E cioè veloce e tempestivo ma senza news, solo opinioni o aneddoti personali. È un modo per tirar dentro i lettori: farli parlare dei fatti loro, non farli solo recepire passivamente le notizie. E tutto quel patrimonio di racconti diventa per noi strumento di conoscenza del lettore ma anche narrazione quotidiana della realtà. Ecco, questo è un piccolo, timido passo nel futuro 😉
1 commento
Molto bella questa intervista ad Annalisa Monfreda.
No surprises per chi la conosce (a parte il desiderio del terzo figlio!).
E poi si, l’idea del blog di DM è davvero buona. Trarre spunto dalle notizie per raccontare episodi della propria vita è un modo per coinvolgere i lettori a fare altrettanto. Ne viene fuori un racconto corale che vale più della notizia in sé 😉