La famiglia: una micro-azienda che funziona solo se si fa squadra
Dopo molti anni di esperienza nel mondo clinico e nella formazione con genitori e bambini, posso dire che il concetto di “famiglia”, ad oggi di fatto ancora molto in uso, è oramai arcaico e inappropriato. Non esiste un prototipo di famiglia, bensì tante famiglie: famiglie con un solo genitore, famiglie con genitori separati, famiglie senza figli, con un figlio, con due figli, le cosiddette “famiglie numerose”, le “famiglie allargate”… E poi ogni famiglia è un nucleo a sé, con proprie specificità, regole interne e dinamiche relazionali proprie, abitudini e usanze peculiari.
Tuttavia ritengo che al di là delle specificità di ciascuna famiglia, ci sia una verità e una regola universale a tutte applicabile, perché sempre e comunque funzionale ed efficace sia sul piano familiare che individuale: fare gioco di squadra.
La famiglia è indiscutibilmente una micro azienda, un micro cosmo in cui si nasce, in cui si muovono i primi passi e attraverso cui si impara a conoscere il mondo. Se è indiscutibile che un’azienda non possa mai funzionare se portata avanti solo con il lavoro e l’impegno di una sola persona, per quanto si tratti del direttore o del presidente, di fatto la stessa legge è applicabile alla famiglia. Essa non può funzionare bene se a gestirla è solo una persona.
Un’azienda che funziona bene richiede che qualcuno, solitamente il direttore, programmi e organizzi e che un team di persone assolva ai vari e diversi compiti e incarichi, in virtù sia del lavoro da svolgere ma anche delle competenze e capacità individuali.
La stessa cosa vale per la famiglia.
Non ci si può aspettare che la famiglia possa reggere sulle sole spalle della donna di casa, come avveniva nelle epoche passate e come tuttora sussiste in qualche realtà, se non a costo di inevitabili effetti collaterali solitamente dai risvolti ben poco positivi.
Al contrario, .
Ciò non può che rafforzare il senso di appartenenza e di famiglia, oltre che di utilità e di efficacia personale. In più, la cooperazione e la condivisione induce a sviluppare una sano senso del “dare e ricevere”, ad oggi in disuso ma di fatto perno dei rapporti interpersonali e dell’educazione civica.
I bambini educati e abituati a “fare gioco di squadra” fin da piccoli, si sentono parte integrante della famiglia, percepiscono che mamma e papà si fidano di loro confidando nel loro aiuto, proporzionato in base all’età, sono facilitati e spronati all’autonomia e ad attivarsi in prima persona, senza attendere che necessariamente qualcuno faccia al posto loro.
Non per ultimo, in questo modo l’impegno e nello specifico, l’impegno domestico e familiare non ha confini di genere: tutti possono fare tutto, senza alcuna distinzione se non quella di calibrare e suddividere i compiti in funzione dell’età e delle capacità, delle possibilità, come anche delle abilità e delle skills personali. E questo è sicuramente il modo migliore, in quanto tangibile e vissuto concretamente, per seminare un’educazione sana alla parità di genere e quindi per combattere gli stereotipi di genere alle radici.
Pertanto le famiglie che fanno della collaborazione e della condivisione il fulcro della propria impalcatura e del proprio funzionamento, sono destinate ad essere vincenti. Su un piano educativo, ritengo che non ci sia spazio migliore della famiglia per insegnare ai piccoli, partendo proprio dal modus operandi quotidiano, ad impegnarsi, a “dare e ricevere” e a contemplare la famiglia, e poi il mondo, come una realtà sfaccettata in cui si è tutti diversi ma con le stesse possibilità e responsabilità, a prescindere dal genere di appartenenza.
Non per ultimo, sia come mamma che come psicologa, ritengo che solo seminando bene fin da subito in famiglia, si possa orientare i propri figli controtendenza rispetto ad una società che fa sempre più dell’individualismo e dell’egoismo un valore da esaltare, ma dagli effetti devastanti.