Ad Urbino, si incontra una strada femminile ogni 11 strade intitolate a uomini.
di Barbara Belotti
Sono in totale 15, ma di queste dieci sono dedicate a nomi di sante o celebrano la figura della Madonna, riprendendo tradizioni passate legate alla devozione popolare e alla presenza di edifici sacri.
Con scelte odonomastiche più recenti, le Amministrazioni comunali che si sono succedute hanno voluto ricordare donne legate alle vicende della storia locale, comprese in un arco temporale che va dalperiodo d’oro di Urbino, quello rinascimentale, fino al Novecento.
La città marchigiana, che ospitava una delle corti più importanti e prestigiose del Rinascimento, dedica a Battista Sforza una via non proprio centrale, lontana dal Palazzo Ducale che l’ha vista protagonista a fianco del marito Federico di Montefeltro, signore di Urbino. Con lui Battista condivise il clima splendido e raffinato della corte, fu protettrice di artisti e di intellettuali, guidò la Signoria durante le lunghe assenze del marito impegnato in campagne militari. Il suo volto è reso immortale dal celebre doppio ritratto di Battista e di Federico realizzato da Piero della Francesca e conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. La donna è di profilo, secondo la concezione ritrattistica del Quattrocento, rivolta verso il marito: la fronte alta e spaziosa, come voleva la moda del tempo, è impreziosita da un’elaborata acconciatura, la pelle quasi bianca del suo volto si staglia contro il cielo nitido e lo scenario profondo.
Un altro suo ritratto, una scultura in marmo bianco opera di Francesco Laurana conservata nel Museo del Bargello di Firenze, la ritrae in modo elegante e rarefatto, quasi pura forma geometrica; l’opera probabilmente venne eseguita dopo la morte della donna, avvenuta nel 1472, e fu tratta dalla maschera funebre.
Insieme a Battista Sforza, Urbino ricorda un’altra figura storica del passato, Elisabetta Gonzaga, figlia di Federico I Gonzaga e di Margherita di Baviera, andata sposa, nel 1488, al duca Guidobaldo da Montefeltro.
I suoi tratti sono stati fissati in un dipinto attribuito a Raffaello e conservato nella Galleria degli Uffizi. Anche Elisabetta era una donna colta e raffinata e, forse, fu proprio lei a commissionare al giovane Raffaello il suo ritratto che la vede rivolta verso lo spettatore con aria pensosa.
Sempre dal mondo rinascimentale emerge, nell’odonomastica cittadina, il ricordo di Laura Battiferri.
Fu una letterata del XVI secolo che sposò in seconde nozze Bartolomeo Ammannati, famoso scultore ed architetto fiorentino. Dopo il matrimonio si trasferì a Firenze, nella villa di Maiano di proprietà del marito, dove diede vita ad un circolo intellettuale frequentato da illustri personaggi quali Bernardo Tasso, Annibal Caro, lo scultore e orafo Benvenuto Cellini, il pittore Agnolo Bronzino. Fu lui che la ritrasse in un dipinto della metà del secolo, ora conservato a Palazzo Vecchio. L’immagine la coglie di profilo, una posa austera accentuata dall’abito accollato e dall’acconciatura che le copre la testa, con un libro aperto in primo piano ad indicare la sua formazione erudita. Laura Battiferri pubblicò nel 1560 la raccolta poetica Il primo libro delle opere toscane, dedicato a Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’Medici; seguirono i Sette Salmi penitenziali (del 1564) dedicati a Vittoria Farnese, moglie di Guidobaldo II Della Rovere duca di Urbino. Sono conosciute inoltre alcune lettere (Lettere a Benedetto Varchi), scritte tra il 1556 e il 1563, nelle quali le osservazioni letterarie si uniscono a informazioni di carattere più intimo e privato. La produzione artistica valse a Laura Battiferri la nomina all’Accademia degli Assorditi di Urbino e a quella degli Intronati di Siena e, per la qualità dei versi, venne definita honor d’Urbino.
Di tutt’altro sapore le altre intitolazioni. Il Comune ha dedicato una via a Costanzina Meletti per ricordare una docente che, dal 1894 al 1933, ha insegnato ai ragazzi e alle ragazze di Urbino, accompagnandoli verso la vita. Non una figura altisonante, di livello nazionale, ma una donna che per molte persone è stata un modello e un punto di riferimento durante gli anni di formazione; l’altro nome ricordato su di una targa è quello di Zena Mancini, vittima, nel 1971, di un attentato neofascista.
Infine l’Orto Botanico. È stato intitolato a Pierina Scaramella, professore ordinario di botanica farmaceutica all’Università di Urbino e direttrice dello stesso Orto botanico.Docente e scienziata, Pierina Scaramella fu perseguitata per le sue origini ebree e allontanata dall’Università di Bologna, dove insegnava, dopo la promulgazione delle leggi razziali italiane del 1938. Fu costretta a nascondersi, con il marito, in una vita di continuo pericolo senza amici e senza aiuti; insieme alla paura di essere arrestata dalle SS o dalla Polizia fascista, la preoccupazione per la salute del marito, vittima di una forte depressione, e l’angoscia per la sorte dei suoi familiari, molti dei quali catturati dai tedeschi. In una lettera Pierina Scaramella scrive come riuscì a salvarsi dal pericolo della deportazione: “La Vigilia di Natale ebbi l’ispirazione di venire in Clinica a Bologna. [… ] Il Professore Jedlowski capì al volo, non mi chiese neppure il nome, ma ricoverò immediatamente mio marito, non solo, ma volle che restassi al suo fianco. In amministrazione diedi il nome di mio marito, ma per me il primo nome che mi venne in testa e nessuno chiese alcun documento di controllo nonostante le precise disposizioni della polizia repubblichina. Fu la salvezza. Mio marito sottoposto all’elettrochok cominciò a migliorare ed io potei dormire dopo due mesi.”