La violenza si prende le nostre vite anche quando non ci lascia sull’asfalto
Mi piace guidare, mi è sempre piaciuto.
L’autostrada che scorre, la musica, il sole o la pioggia fuori, insieme al mondo.
Giorni fa viaggiavo verso Altradimora, per un seminario su non-violenza e femminismo.
Ascoltavo la radio.
Parlavano della tragedia di Napoli, della vita di Davide, finita. Finita per mano di un altro ragazzo, poco più grande di lui (tragedia nella tragedia).
Danno la parola agli ascoltatori, e tra le telefonate serpeggia l’insinuazione che Davide se la sia cercata, che se fai una cazzata in fondo ti meriti le conseguenze. Si stava parlando di un 16enne sull’asfalto, disarmato, agonizzante. Con un cuore che lotta e prova a battere ancora un poco ma non ce la fa a lasciargliela questa sua vita bella da impazzire.
Tornano alla mente i miei sedici anni, le mie stronzate, le stupidaggini, le spavalderie. Quella vita sull’asfalto sono io, nessuna differenza se non che il mio cuore continua a battere mentre il suo si è fermato.
Per un altro ascoltatore l’insinuazione diventa affermazione, è deciso, determinato nel suo giudizio. E io mi chiedo cosa animi queste persone per pensare quello che dicono, con così tanta certezza da prendere in mano il telefono e scagliarsi contro un ragazzo di 16 anni che sembra loro così lontano da sé. Si sono forse dimenticati di sé o di cosa sia la vita?
E se la vita di un altro essere umano non ha valore per me, non quanto la mia, quanto sono lontana da quei camorristi che senza esitazioni si prendono le vite degli altri, proprio come fecero i tedeschi alle Fosse Ardeatine? Proprio come fanno i terroristi con la loro arma in mano? Un colpo, dieci colpi. E muori. E bisogna solo pensare e far sparire il corpo. Il corpo a penzoloni di una vita che non conta.
Perché non ci fermiamo a pensare alle cose che diciamo, perché non ci chiediamo perché le pensiamo? Perché dimentichiamo?
Qualcuno ha detto che i camorristi non uccidono i bambini.
Hanno dimenticato Simonetta Lamberti, uccisa a 11 anni durante un agguato al padre? E tutti gli altri? Perché è un elenco infinito.
E così una telefonata dopo l’altra la cattiveria dell’umano mi mette addosso una nausea che mi toglie il piacere di essere su quell’autostrada in direzione nonviolenza, riflessioni, relazioni. Una nausea che non voglio, che rimando al mittente e cambio canale.
Ed ecco Ligabue, con le sue parole d’amore, la sua voce roca e sexy. Il Liga è sexy. L’ho visto in concerto una volta, è sexy da morire. Alzo il volume, canto con il cuore addolorato, prima a bassa voce, poi urlo anche io, stonata e arrabbiata, perché la violenza è la nuova regina, che ci mastica e ci divora. Con cui nutriamo i nostri bambini, ancora felici, ancora intatti. Lo facciamo anche attraverso cose che chiamiamo giochi, per ingannarli fino in fondo, così saranno violenti senza nemmeno accorgersene.
L’asticella che ci dice cosa è violento e cosa non lo è si alza di generazione in generazione, così che il male non faccia più nemmeno male.
La violenza si prende le nostre vite anche quando non ci lascia sull’asfalto.
Il rock vibra, lo sento sotto la pelle. Il rock è per la vita. E lo sono anche io. Scusaci Davide.