di Nicoletta Staccioli, da wister.it
Destinazione Iran. Non immaginavo che avrei maturato questa scelta dopo un anno trascorso ad occuparmi di parità di genere con la rete Wister.
Perché, una volta deciso che questa sarebbe stata la meta delle mie vacanze, il primo pensiero – istintivo – non è stato quello rivolto al fascino dell’antica Persia o alle rovine di Persepoli, ma all’obbligo di indossare l’hijab, il velo islamico, per tutta la permanenza e con temperature che ad agosto superano i 40 gradi.
Un viaggio in Iran, infatti, inizia ben prima della partenza con un lungo elenco di istruzioni e precetti, che determinano la preparazione di un bagaglio abbastanza inconsueto per una vacanza estiva (e non solo!): per le donne è obbligatorio indossare il velo, le camicie dovranno essere larghe e lunghe per non mostrare forme, le braccia dovranno essere coperte almeno fin sotto il gomito; poi, potrà capitare di viaggiare separate dagli uomini, non sono consentite effusioni in pubblico nemmeno con il proprio consorte …
Con questi pensieri nella testa, atterro a Teheran e, nel breve frangente in cui tutti attendono l’apertura delle porte dell’aereo, le chiome femminili scompaiono velocemente, nascoste da ampi foulard e sciarpe di ogni tipo. Tant’è che, scese dall’aereo, a fatica ci riconosciamo con le compagne di viaggio da poco incontrate.
Anche la nostra guida iraniana è una donna. Ha studiato e vissuto in Italia, è musulmana e indossa l’hijab per scelta. Ma alle sue figlie, poco più che adolescenti, ha dato l’opportunità di vivere e studiare in un altro continente, a migliaia di chilometri di distanza dalle imposizioni di un governo teocratico.
Nelle grandi città, basta uno sguardo per notare le differenze tra le donne di diverse generazioni o status sociale: in molti casi il velo assume toni variopinti ed è poggiato acrobaticamente su acconciature verticali, mostrando frange, meches e capelli setosi. La cura nel trucco e delle sopracciglia è quasi maniacale, e stupisce la gran quantità di nasi incerottati che si vedono in giro, dovuti alla larghissima diffusione della rinoplastica estetica.
Soprattutto con le donne più giovani, ci scambiamo sguardi di vicendevole curiosità e le domande non tardano a venire. Una volta soddisfatte le curiosità su famiglia e figli, si passa allo studio e al lavoro: e lì si rimane a bocca aperta per la quantità di titoli accademici che vengono orgogliosamente elencati!
L’altra richiesta sorprendente (e frequente!) è quella che ci viene rivolta su cosa conoscessimo dell’Iran prima di visitarlo; anche i ragazzi ci chiedono, in occasioni differenti, se non pensavamo che in Iran fossero tutti terroristi.
C’è una specie di riconoscenza, un sorriso che si espande, quando rispondiamo che non lo pensavamo e che in Iran abbiamo trovato un’accoglienza calorosa e gentile. Anche fra coloro che non riescono a comunicare in inglese, c’è una specie di gara a farsi fotografare con noi. Famiglie intere, orgogliosamente in posa, con noi, gli ospiti stranieri.
Tutto ciò non diminuisce il mio disagio, rabbia a volte, per le bambine che dai 9 anni in su sono costrette ad indossare l’hijab, oppure per le numerosissime donne che celano se stesse sotto informi cappe nere. O ancora, il divieto – esteso anche a noi straniere – di fumare in pubblico.
Anche nelle sale da tè, raramente è consentito alle donne di fumare il narghilè, soprattutto in presenza di uomini. Le sanzioni, per chi gestisce i locali, possono arrivare fino alla chiusura.
In una sola occasione, nella città di Kerman, ho incontrato gruppi di amiche in un locale pubblico a cui era concesso questo ‘lusso’. Ho chiesto loro di poterle fotografare, ma hanno posto un gentile ma netto diniego. In pochissimo tempo, senza volerlo, anche io ero entrata nella logica che vedere ragazze iraniane fumare fosse un evento eccezionale da dover immortalare…
Naturalmente, non poteva mancare la curiosità verso l’utilizzo delle tecnologie. Negli alberghi e, a volte, persino nelle moschee, è disponibile il wi-fi, gli smartphone sono ampiamente diffusi ovunque. La connessione non sempre è veloce e l’accesso a molti siti non è ufficialmente consentito. Ad esempio, pochissime le testate di informazione italiane accessibili. In teoria, anche i social network sono vietati, ma sono molti gli iraniani con un profilo Facebook, che aggirano la censura grazie ai proxy e a varie applicazioni.
Da recenti dichiarazioni, sembra ci sia una specie di ‘occhio benevolo’ da parte del presidente Rouhani sull’utilizzo di internet, il quale ha chiesto al clero sciita iraniano di essere più tollerante verso l’uso di internet e delle nuove tecnologie.
Alla fine di questo viaggio in Iran, ciò che riporto indietro, oltre a una gran quantità di bellezza, è la consapevolezza che la strada per il cambiamento passa anche attraverso i piccoli gesti quotidiani: un velo spostato sempre più all’indietro, un narghilè, l’accesso a internet.
Che un velo non sarebbe un problema se fosse una libera scelta e che l’obbligo di indossarlo nasconde ben altre imposizioni.
Che un Paese che vuole essere davvero grande, ha bisogno di consenso e questo può far sperare per un futuro cambiamento.
***
PS: appena finito di scrivere questo post, leggoche Shahla Sherkat – giornalista fondatrice del giornale “Zanan”, da sempre impegnata per i diritti delle donne in Iran, è stata accusata di ‘femminismo’ e verrà processata a Teheran da uno speciale tribunale per i media. Di nuovo la censura, di nuovo un velo sulle idee.
Iranian women’s monthly under pressure from hard-liners