Frozen offre alle bambine e ai bambini dei modelli di comportamento che esulano dagli gli stereotipi di genere
di Aureliana di Rollo
Sono appena tornata casa con Anna ed Elsa. Per chi non lo sapesse, Anna ed Elsa sono le protagoniste di Frozen, l’ultima creazione della Disney, una rielaborazione incantevole de La Regina di Neve di Andersen. Il film ha scatenato una tale euforia tra le bambine che le bambole delle due protagoniste, soprattutto Elsa, vanno a ruba e bisogna avere tempo e pazienza per cercarle in tutti i negozi di giocattoli della città e assicurarsi così due esemplari per la propria prole. In genere, sono contraria al merchandising, che boicotto ab origine vietando la tv a casa (la tv con la pubblicità, non i film su cd o altro supporto). Tuttavia questa volta ho deciso di fare un’eccezione perché il film la merita.
Dirò di più: mi fa piacere che mia figlia si identifichi con Anna (o anche con Elsa), mentre ritengo inquietanti molte altre principesse della Disney (per chi non lo sapesse, c’è tutto un merchandsing dedicato alle Principesse).
Frozen mi piace perché evita certi odiosi stereotipi di genere che rendono indigeste Cenerentola, Biancaneve, la Sirenetta e compagnia bella: da una parte la principessa buona, gentile, bella (le sorellastre, si sa, sono racchie e cattive) e in pericolo, dall’altra il principe. Il principe che salva, insegue, bacia la ragazza, -sempre attivo – e la principessa che, passivamente e graziosamente, si lascia salvare, baciare, inseguire, e così via.
Frozen non è così. Le protagoniste, Elsa e Anna, sono sorelle e principesse. Elsa, destinata a diventare regina, ha dei poteri magici che non sa controllare, e cresce chiusa nel castello, prigioniera della paura di far male agli altri, soprattutto ad Anna. Anna cresce sola anche lei, e diventa una ragazza coraggiosa, ma ingenua e affamata d’affetto e di compagnia.
Gli elementi classici ci sono tutti: principesse, orfane piene di idee romantiche, castelli, regni, principi, magia e anche un bacio del vero amore che dovrebbe salvare la fanciulla in pericolo. Ma la combinazione è del tutto inaspettata e produce risultati piacevolmente sorprendenti.
Tanto per cominciare, il giovane principe c’è, ma si rivela subdolo e malvagio. A risollevare le sorti del genere maschile ci pensa Kristoff, un giovanotto scorbutico e povero, ma coraggioso, leale e dal cuore d’oro, che si innamora di Anna e la aiuta nella disperata impresa di trovare Elsa e interrompere l’incantesimo del ghiaccio che sta soffocando il regno. Tuttavia, l’amore romantico di Kristoff per Anna non è certo al centro della storia, che invece si concentra sulle due sorelle, e sulla sofferenza inflitta ad entrambe dall’assurda pretesa che Elsa nasconda i suoi poteri e si mostri sempre “perfetta”.
Poi, quando Anna viene colpita per la seconda volta dall’incantesimo di ghiaccio di Elsa, le viene detto che per salvarsi dovrebbe ricevere il bacio del vero amore. Con un colpo di scena, apprendiamo che il bacio salvifico non è di un uomo, principe o povero che sia, ma di una donna: sua sorella Elsa. Separate dalle avveristà, Elsa e Anna riescono a ritrovarsi e a salvarsi a vicenda. Infatti Anna salva Elsa dalla spada di Hans, ed Elsa restituisce la vita ad Anna baciando la statua di giaccio in cui la poveretta si è trasformata, sacrificando la propria vita per quella della sorella.
Frozen ci risparmia la solida broda stucchevole dell’amore romantico, e celebra invece altre forme di amore, l’amore fra due sorelle in primis. Inoltre le due figure femminili trasmettono messaggi per niente banali: l’importanza di essere se stessi e di dominare la paura, inclusa la paura di essere diverse.
Per una volta, compro volenteri le bambole del film a mia figlia. Non una oziosa Barbie, né una passiva e imbelle principessa, ma due ragazze che crescono e si aiutano vicendevolmente a raggiungere un equilibrio. Infatti è l’estremo atto d’amore di Anna che permette ad Elsa di capire una lezione fondamentale: non la paura, ma l’amore di e per gli altri le permetterà di convivere con la sua diversità e di farsi accettare.
Alcuni ritengono che la vicenda di Elsa, la sua problematica diversità, e soprattutto la sua indimenticabile ballata “Let it go”, rappresentino la condizione di un/una omosessuale (Don’t let them in, don’t let them see/
Be the good girl you always have to be/
Conceal, don’t feel, don’t let them know/
Well, now they know!
Let it go, let it go/
Can’t hold it back anymore).
Qualcuno invece ha visto in questo stesso passaggio (e nel personaggio in generale) la ribellione tipica dell’adolescenza (“It’s time to see what I can do/
To test the limits and break through/
No right, no wrong, no rules for me I’m free!/
Let it go, let it go/
I am one with the wind and sky/
Let it go, let it go/
You’ll never see me cry!)
Probabilmente hanno ragione gli uni e gli altri, e forse c’è anche di più. Quanto a me, Frozen è storia che, lungi dal ribadire l’idea che le ragazze debbano aspettare che un uomo le salvi da una spiacevole quotidianità, offre invece alle bambine e ai bambini dei modelli di comportamento che esulano dagli gli stereotipi di genere. Come tutte le protagoniste delle favole, anche Anna ed Elsa vivranno felici e contente, ma, nel caso loro, grazie al loro coraggio e al loro reciproco affetto.